–Lo Stato moderno fabbrica le opinioni che poi raccoglie rispettosamente sotto il nome di opinione pubblica
-Le rappresentazioni collettive sono, oggi, opinioni che i mezzi di propaganda impongono.
Nicolás Gómez Dávila
Ora che siamo mentalmente pronti ad affrontare l’argomento, partiamo.
Gómez Dávila ha ragione. YOU ARE NOT IMMUNE TO PROPAGANDA – NON SEI IMMUNE ALLA PROPAGANDA. Già lo sapete dalla nostra (contro)mostra in Statale.
Ma egli, Gómez Dávila, è filósofo. Si vede. Parla senza un contesto specifico, in generale, per astratto, insomma. Ci mette in allerta: attenzione, l’Opinione Pubblica è uno strumento del potere, è emanazione ultima del Sistema, non fidatevi, anzi, diffidate proprio dell’Opinione Pubblica. Dice che nulla, se si parla di pensieri, emerge spontaneamente dal popolo; che sono i condizionamenti che arrivano dall’alto, dalle notizie, dai media telecomandati, a fare davvero questa “Opinione Pubblica”.
Ci dice, in ultima istanza, che il termine stesso Opinione Pubblica non significa niente in sé, che è una variabile totalmente dipendente nel discorso politico, che non ha una sua esistenza autonoma. In parte ci sentiamo di concordare. D’altronde Nicolás è un vecchio amico, ce lo teniamo sul comodino accanto alla pistola, lo recitiamo volentieri, come un rosario, appena prima di dormire.
Ma siamo anche gente concreta, noi siamo quelli che “o spariamo, o spariamo”. Dunque ci viene naturale domandarci:
MA QUESTA PUBBLICA OPINIONE, È FISICAMENTE UNA OPINIONE?
Penso che il Lettore non fatichi a concordare sui caratteri di questa Opinione Pubblica. Fiumi di inchiostro si sono spesi per descrivere di che cosa si parli quando si affronta questo argomento, eppure su internet alla voce “Opinione Pubblica” si trovano definizioni improprie come:
“Giudizio e modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini.”
Grazie Treccani, ma ovviamente questa è una bugia, o quantomeno una definizione molto obsoleta. Chissà quante cose che pensiamo tutti eppure non possiamo dire… Non voglio abbassarmi a fare esempi tratti dalla nostra storia recente, ma si scopre l’acqua calda a dire che opinioni scomode sono presentate nel dibattito pubblico come pensieri di minoranza perché in disaccordo con l’agenda politica dominante. Inoltre, parlare di “maggioranze” presuppone una logica democratica, che abbiamo quantomeno ampiamente trasceso ormai da tanto tempo (ponendo – per assurdo – di esservi anche solo per un istante realmente entrati). Se avete mai letto Nick Land, Blast o qualsiasi altra cosa di valore pubblicata dal 1989 ad oggi sapete di che parlo.
Un’Opinione Pubblica è piuttosto un pensiero precostituito, un omogeneizzato conformista, da somministrare a segmenti della società strategicamente importanti (si badi bene: non serve che la ingurgitino tutti: la democrazia, l’abbiamo appena detto, è morta almeno da trent’anni). Confezionata per noi nei migliori laboratori dell’Occidente (per le questioni più rilevanti, infatti, la produzione di questa preziosa materia è delocalizzata; in Italia si producono contraffazioni di second’ordine), l’Opinione Pubblica circola di mano in mano, rimbalza tra gli schermi come pensiero diffuso, come dato-asso(l)dato, fatta circolare da ripetitori depensanti (i nostri quotidiani) e smerciata ovunque. Se ne trovano grandi quantità nelle edicole, nelle televisioni, per le strade…
Abbiamo perso la corsa della vita per colpa di questa robaccia
Ma chi legge questi quotidiani? Chi guarda questi telegiornali? Potrebbe sembrare una banalità, ma molta gente non l’ha ancora capito… La piccola-media borghesia del Nord! Quella fascia di medietà assoluta, la versione vanilla con cui giocare un player in questo Paese, il consumatore perfetto di notizie (ma non solo): mediamente istruito, mediamente con medio tempo libero da dedicare al formarsi una opinione media che però ritiene tutta sua (che alla fine non è altro che la riedizione personale dell’Opinione Pubblica assunta proprio consumando quei giornali che gli promettevano di farsi un pensiero critico). In questo Paese, tutto il sistema culturale, dell’informazione, sia essa televisiva o giornalistica, si rivolge ed è centrato su questa parte (indubbiamente anche numericamente rilevante) della popolazione. E questo è un male.
Questa classe sociale, territorialmente ed economicamente ben definita, è da sempre il nerbo della nazione. Non beatevi nel vedere la forma purulenta e decrepita, invecchiata, unta, che ha oggi. Questa è la stessa gente che nel bene e nel male ha portato ai più grandi cambiamenti e sommovimenti in questo Paese, da prima ancora che esistesse, che da sempre sostiene (e pensa di sostenere: c’è una bella componente psicologica da non sottovalutare) sulle proprie spalle il Destino dello Stato. A cominciare proprio dall’Unità, passando per irredentismo, socialismo, futurismo, fascismo, persino il sessantotto… Tutta colpa/merito (lascio a voi ogni giudizio) di questi qua.
Non impazzite: non sto dicendo che il resto del corpo nazionale ne fosse escluso, ma, è evidente rileggendo la storia, che è su di loro che si è innestato da sempre il cambiamento, il moto nel Belpaese: è logico che sia di loro che la Stasi, lo Status Quo, deve occuparsi se vuole che nell’Italiosfera regni l’immobilismo, l’imbalsamazione. Stesa prima dal consumismo, fiaccata da spaccature sociali (dovute anche a immigrazioni mal gestite o proprio non gestite), resta comunque, ancora oggi, nel mirino dell’Opinione Pubblica, che proprio delle piccole-medie borghesie nordiche vuole farsi portavoce e parlare.
Nel ripensare il caso Cecchettin, emerge distintamente questa cosa
Si è discusso tanto del perché Filippo Turetta e Giulia abbiano destato così tanto scalpore nell’Opinione Pubblica italiana. Se ne parla, se ne straparla, in tutte le salse…
Le femministe ricercano più o meno improbabili motivazioni per spiegarselo, ma, come spesso accade, finiscono per crearsi un racconto che probabilmente non capiscono nemmeno loro:
“Giulia ha fatto scandalo perché era una bella ragazza”
“Vedi che la bellezza è oggettiva e che forse la tua amica è effettivamente obesa e non ha solo le ossa grosse?”
“Ok, bella e carina, non si discute, ma siamo sicuri sia l’unica ragazza “carina” ammazzata così barbaramente?”
“Giulia ha fatto scandalo perché i media ne hanno parlato!”
“Sorella, stai spostando la domanda: perché i media ne hanno parlato?“
“Era una storia perfetta, archetipica”
“Vero, ma ancora una volta, perché non è diventato archetipico uno stesso evento in un’altra parte del Paese con protagonisti, vittima e carnefice, di età ed etnia differenti?“
DITELO, ZIOPERA!
Giulia e Filippo venivano dalla piccola provincia veneta (dove – è noto – non succede mai assolutamente nulla), ragazzi di famiglie normali… Questo vi ha destabilizzato! Entrambi studenti universitari, con buoni risultati. Nessun motivo apparente per uccidere: nessuna situazione sociale a rischio, nessun contesto squallido, di povertà.
Anzi! Il padanian dream totale: la casetta col giardino, mono/bifamiliare, nella tranquillità del paesino; genitori che facevano un lavoro normale (il padre e la madre di Filippo avevano un ristorante; il padre di Giulia un piccolo imprenditore come ce ne sono tanti in zona). Nulla che non fosse in regola…
Ecco cos’ha segnato la Opinione Pubblica: “Erano due di noi”
Davvero è un caso che non siamo in una periferia del Mezzogiorno, abbandonata dallo Stato (avremmo reagito con decisamente più indifferenza: “eh vabbè, Napoli…”), nei sobborghi di Milano o di qualche altra grande città abitati da operai o da immigrati (il caso Impagnatiello, ad esempio, che pur aveva avuto eco sulla stampa nazionale, non si può minimamente paragonare a ciò che è successo a livello comunicativo con Giulia Cecchettin)?
La mancanza totale di degrado, questo è il vero e unico motivo di tanto clamore mediatico. Quindi sì, l’archetipo, ma l’archetipo di cosa? Dell’omicidio che NON PUÒ succedere, che NON DEVE succedere. Perché femminicidi ok, ci dispiace, ma finché non siamo noi…
Ecco che allora, al di là del caso di Giulia, possiamo trarre qualche conclusione
L’Opinione Pubblica, l’immagine giornalistica del Paese, o meglio, l’immagine di ciò che i giornali vorrebbero che il Paese fosse, quando pensa all’Italia pensa a questa “piccola” porzione di persone. Fa leva sui loro ventri, sulle loro aspirazioni bottegaie, ingorde, consumistiche, parla a quella parte di italiani che si è dimenticata le proprie radici e si è comprata il macchinùn; facendo credere a tutti che questa sia la rappresentazione reale dell’Italia o che, quantomeno, sia l’obiettivo che tutti dobbiamo raggiungere. Grazie all’immobilismo, all’opulenza, in cui lo culla, l’Opinione Pubblica controlla mediaticamente il suo pubblico, quieta le acque e domina praticamente incontrastata anche sul resto della Penisola.
A questa dobbiamo opporre una nuova Opinione, anzi, un Pensiero (che in un certo senso è il contrario di opinione): per ora individuale (i mezzi che abbiamo sono quelli che sono), poi, infine, collettivo e comunitario. Entrare nella testa della gente: psyoppare, risvegliare il dinamismo che ci è proprio, per una nuova guerriglia culturale. Rigettare la narrazione dell’Opinione Pubblica, smascherarla, e fare in modo che la divergenza diventi regola, che ogni teoria “del complotto” risulti più credibile della versione ufficiale! Perché l’aggettivo “ufficiale” è solo uno specchio per dire “corrispondente a ciò che deve pensare il medio-borghese padano”. La macchina della Propaganda è guidata da un potere che non possiamo controllare, un potere ester(n)o, che ci porta dove meglio crede a furia di “notizie verificate” e “opinione corrette”. Noi tifiamo incidente! (se facciamo l’incidente…) TIFIAMO RIVOLTA!
Se vogliamo liberarci dai vincoli che ci tengono legati, ora sappiamo a chi dobbiamo rivolgerci e a chi dobbiamo parlare. La Storia ce l’ha insegnato.