In seguito all’articolo Adealismo vs Decadenza, un lettore di quella isola fedelissima che è la telegram-sfera, ha posto delle questioni scomode e invero importanti a noi di Blast e a chi scrive.
Il punto fondamentale in questo scambio risiede in un apparente paradosso che ha bisogno di alcune premesse.
In sostanza è stato affermato che le illusioni sembrano naturalmente fondate sull’inconsapevolezza di sé e dello spazio culturale in cui si è immersi. Questo conduce di conseguenza ad affermare che l’uomo è l’essere della dimenticanza ed, essendolo, vive costantemente nel puro atto.
La fine delle illusioni dunque risiederebbe nel loro rivelamento all’Io, dal nominarle, dall’esporle alla luce. L’Io agente sarebbe la causa della decadenza, contro l’Io agito, dimentico di sé. Nel caso dunque dell’Io agito solo un terzo esterno all’Io stesso potrebbe nominare ciò che lo muove, ma senza comunicarglielo pena la fine delle illusioni.
La soluzione alla decadenza sarebbe quindi vivere nel puro atto, vivendo dunque dimentichi ma in una coerenza complessiva tra le illusioni e la realtà.
Ora tutto ciò apparirebbe a ragion veduta un paradosso bizzarro, in quanto l'Adealismo provocherebbe la decadenza che voleva contrastare.
L’Adealismo in sé incarnerebbe la fine delle illusioni nel suo punto più estremo.
Ma lo stesso Adealismo non è la scala finale di un processo di razionalizzazione (o evoluzionismo) di ciò che muove l’uomo, ne è un rigoroso metodo scientifico.
Perché esso nasce con un guizzo d’intuito, uno squarcio epifanico nella quotidianità e che dunque non può non essere partorito dalla realtà, ovvero da quel mondo della pura (s)oggettività e del puro atto.
Quindi è la stessa natura dell’Io agito, non consapevole, che spinge per mostrarsi.
E se ciò accade è unicamente per il fatto che l’origine dell’illusione è andata perduta mentre gli atti, e dunque la vita, diventavano mere riproposizioni meccaniche e piene solo di un Idea lontana. Per vivere realmente nel puro atto c'è bisogno di un suffragamento costante,
ogni atto deve essere frutto di una fonte viva che non è mai troppo lontana e che è pulsante (l’esempio è quello della cultura contadina italiana descritta da Pasolini)
Una volta reciso il legame con la Storia vivere nel puro atto diventa solo un prendere atto di ciò che c’è, di ciò che esiste e quindi diventa un vivere nel puro apparire. In questo senso l'Io agito contemporaneo è profondamente positivista.
Mentre l’Adealismo è per sua natura anti-positivo perchè alla ricerca costante della sua origine.
Ovvero in quel punto in cui le illusioni trovano la loro genesi, la fonte pura nella realtà, che non è una semplice sovrapposizione (contro cui combatte l’Adealismo perchè ogni problema della modernità è dato da una soffocante sovrapposizione, non da un’alienazione) ma un incarnazione generatrice.
È per questo che l’Adealismo non provoca la fine delle illusioni. Oltretutto perchè esse sono già finite se non possono più incidere storicamente (destino ben peggiore l’imbalsamento di una morte rapida) rimanendo confinate in uno spazio residuale come principi astratti, etichette.
L'Adealismo dunque è quel moto dello spirito che riconosce nelle illusioni residuali, con un atto quasi sovraumano o esterno, il loro carattere assoluto e sterile e che, alla luce di ciò, ed emancipandosi dal vivere nel puro apparire, mette in discussione la struttura immanente della contemporaneità.
L’Adealismo riconosce nelle illusioni residuali il residuo del suo Essere: totalmente a-temporale, a-spaziale e privo di qualsiasi riferimento storico o culturale chiaro.
Primo perchè il deserto delle illusioni esiste in sé come realtà a priori, frutto di una precisa eredità storica, anche se si vuole porre come a-storica, che si perpetua con l’inconsapevolezza dell’Io. Accorgersi del deserto implica quindi per forza di cose una forza terza, esterna, (la miccia di un momento epifanico) che scardina la continuità del deserto stesso e permette all’Io di astrarsi, farsi altro.
È una forza che non può che essere almeno inizialmente che negativa.
Negativa perchè si mette di traverso al tempo, e perchè non conosce che la sua immanenza. Essa può solo definire la sua nemesi.
Secondo perchè il nominare l’illusione la strappa dal regno dell’etereo e dell’assoluto (dove più un illusione è vaga e totale più si adatta coerentemente al consumatore) piombandola nella quotidianità più infima e nell’attimo più umano, sporcandosi con l’ambiguità della realtà e dell’Io, rendendosi particolare ma non particolaristica e, in forza della sua originaria matrice reale, separa in abisso l’Io e la realtà tutta, chiarificando così i paradossi viscerali dell’uomo.
Come è possibile però un radicamento delle illusioni più consapevole, e quindi più vero
, se esse rappresentano agli occhi dell’adealista il simbolo di una distanza assoluta e di una vita inerziale?
La risposta è contenuta in verità nella stessa domanda, perchè il disvelamento del deserto implica una tensione tutta protesa a scontrarsi con il Nulla e a trovare nelle illusioni l’unica alternativa possibile.
È il riconoscimento della necessità di una origine che altrimenti non sarebbe mai stata.
Ed un riconoscimento che è già un radicamento, seppur vergine, seppur fragile e in-coerente. Perchè l’adealista è in-coerente con il tutto e lo può essere solo perchè si è riconosciuto come tale nel momento in cui si stagliava in fronte il deserto.
Ma il punto finale non è una coerenza, o una unità dell’individuo con il tutto.
Non è un tentativo di ritorno a un’epoca morta, un rimpianto amaro di un età dell’oro perduta.
L'adealista è battezzato con il vuoto sordo di un'epoca e ne è consapevole.
Un vuoto vergine in cui calarsi compiutamente, un fondo d’argilla liquida in cui bagnarsi e la cui chiave di volta risiede tutta nelle trincee del quotidiano dove si frange lo spirito, in quel continuo infuriare sul deserto che è l’unica dimensione in cui l’Io riscopre l’eco di una originarietà.
È quindi nell’in-coerenza, nelle voragini abissali dell’anima che l’Adealismo trova il sentiero verso la sua giustificazione che non può che risiedere nel reale. Il punto in cui illusioni e realtà coincidono è il punto dove l’Io proietta fuori di sé, nel quotidiano, il suo abisso. Dove cioè il puro atto è riflesso di un puro Essere, ovvero dove l’incontro tra l’Io che è agente e l’Io che è agito si concretizza.
Comprendendo la natura totalizzante, e ideale nel termine più negativo, delle illusioni residuali contemporanee dunque, ma allo stesso tempo desiderandole come origine viva, si instaura quel conflitto che consuma la sua tragedia nella quotidianità.
Spazio (meta)fisico tirato all’inverosimile da due tensioni opposte: la vita come moto inerziale, come puro apparire, o la vita come suffragamento costante.
In mezzo l’adealista può fare una cosa sola, ovvero aprire continuamente la sua ferita, fare in modo che il suo sangue sgorghi in abbondanza per non essere vinto dal muro di gomma del deserto delle illusioni.
Da qui la natura duplice della realtà, nemica e alleata, che si esplica nella quotidianità, stato del puro apparire e nello stato d’eccezione, momento di eversità dell’Io e di ciò che lo circonda.
In questo senso l’Adealismo è una maledizione salvifica perchè crepa l’universo regolato dei tempi correnti, sabota l’unità continuativa del consumatore contemporaneo scorgendo oltre il suo intonaco immacolato i sottili fili su cui si erge.
Eppure non potrebbe non nascere che in questo presente, in uno stato di cose ben preciso. L’Adealismo è storico nonostante nasca nella post-storia. Non è però un movimento reazionario a tutti gli effetti perchè l'adealista è nudo di fronte alla Storia e volto in guerriglia con la quotidianità.
Sono della Storia ma non nella Storia.
Esse mostrano la loro necessità e purezza in forza della loro persistenza. Ciò che si staglia dunque di fronte all’adealista è un deserto, un cimitero silente in cui le conseguenze di un ritorno delle illusioni nella Storia umana sono impensabili, nuove, destabilizzanti, aperte ad una deflagrazione creatrice di enorme portata perchè questo stesso ritorno si struttura intorno ad una profonda consapevolezza, ad un bisogno riconosciuto in un tempo presente conseguente ad un Nulla.
Le dis-illusioni, o Adeali, realizzano nel contatto con la realtà la possibilità di una nuova Genesi e il deserto una tavola su cui disegnare un’oasi.
Per concludere però l’Adealismo non può essere compreso solo come una parabola, un movimento transitorio che si opponga ad uno stato di cose solo per approdarne ad un altro.
Non può essere pensato solo come un ponte tra post-storia e Storia, o come un movimento di qualsiasi tipo funzionale all’instaurazione di un sistema migliore.
Perché l’Adealismo trova la sua originalità in quella realtà trascendente che scaturisce dalla quotidianità e che non può essere intesa mai come stato di cose, dato di fatto acquisito su cui stratificare e conformare ogni atto.
Al diavolo le grandi narrazioni! Esclamerebbe l'adealista radicale.
Al diavolo tutte le narrazioni con cui si pensa in modo meccanico di far lievitare le masse buie verso il bene del Potere.
Al diavolo perchè esse, nel momento in cui diventano immanenza, regola, maniera non fanno altro che replicare un puro apparire, un esistere inerziale che ingabbia l’Io in un deserto rovesciato, in illusioni di deserti.
E questo è tanto più vero tanto più esse vengono imposte dall’alto e con fini ambigui, non è il Potere che può donare all’uomo un progetto di illusioni, perchè esso è solo il frutto di un lavoro ingegneristico su cui l’uomo non può esprimersi.
L’Adealismo fuoriesce dalla realtà progettata dal Potere e dagli abitanti di questa realtà, quindi anche da sé stesso, ovvero dal doppio consumatore, o consumatore dalla doppia natura.
Fuoriesce per riportare all'Io, sotto forma di Adeali, la libertà di un tentativo sincero, radicale, incontrollabile di comunione con una illusione la cui patria, la cui fedeltà va ben oltre quella per il Potere o per un sistema di mercato o per una immanenza di cose.
Una comunione che necessita di puri atti suffragati costantemente, giustificati criticamente e che che non può non scontrarsi necessariamente con la quotidianità in quanto mondo della dimenticanza, e del puro apparire.
Sta tutta qui l’origine viva e il suffragio.
Vivere nel puro atto, cioè quello spazio in cui si incontrano l’Io agente e l’Io agito, è quindi quella realtà trascendente che trova la sua origine nell’attimo più umano. E’ la saldatura dell’uomo contemporaneo con la Storia, dove si incontrano le forze che muovono la stessa, cioè le illusioni (e si potrebbe parlare anche del Dio) e il bisogno dell’Io che di quelle stesse forze è orfano.