Dopo le polemiche della scorsa edizione, non a caso svolta nella rossa e, ahimè, femminista città di Rimini, l’adunata degli alpini è tornata in patria, ovvero sopra il Po.
A Udine gli alpini sono a casa loro. Lombardi, Veneti, Trentini, Friulani, Piemontesi… dagli angoli più remoti delle province padane un’orda di OMENAT
si è riversata nelle strade e nei vicoli del centro storico friulano. Come la grande Russia vomitò i Cosacchi e altri popoli guerreschi ai
(non)confini orientali europei
, così la grande Padania ha rigettato i suoi uomini migliori. L’unica differenza: al posto di appariscenti colbacchi portano un cappello con la lunga lunga lunga penna nera. Non si sa cosa facciano nella vita: impiegati, operai, liberi professionisti, pensionati, contadini… Non importa, lo spirito di corpo annulla le differenze: gli alpini sono interclassisti.
Mi sono interrogato a lungo sul perché gli alpini generino nelle genti alpino-padane tutta questa simpatia, questa affezione, questo amore. Non ho ancora trovato risposta: è una sensazione innata, un sentimento popolare autentico, guadagnato col sudore, col sacrificio e col sangue dell’Ortigara e delle altre battaglie che hanno segnato la storia di questo corpo.
Forse, più di tutto, conta l’impegno che gli alpini profondono per il sociale: nelle mie zone (il trevigiano, ma si può estendere anche alle province limitrofe) ogni comune, grande o piccolo che sia, ha la sua casa degli alpini, instancabilmente impegnati nel volontariato.
Chi trova gli alpini trova un tesoro.
Oggi sono qui per questo: ringraziare gli alpini, bevendo con loro e vergognandomi di non aver fatto la Naja.
nàia (meno com. nàja) s. f. [dal friul. naie, ven. ant. naia «razza, genia» (che è il lat. natalia)], gerg. o scherz. – La vita e il servizio militare, nel senso più ampio e con particolare riferimento a quegli aspetti della vita militare che erano più gravosi fisicamente e ritenuti più duri da sopportare: essere sotto la naia; ho già fatto sei mesi di naia.
A onor del vero, l’altro motivo per cui amo gli alpini è che il mio prof. di italiano delle superiori (comunista, non potrebbe essere altrimenti) li odiava.
Arrivato a Udine alle 17, noto subito il pallido sole salutare le masse festanti; cosa più unica che rara nella città soprannominata Pisciatoio d’Italia, considerata anche la situazione metereologica del nordest della scorsa settimana.
Ma io non sono la figa di Studio aperto, anche perché verrei fischiato camminando per i vicoli friulani.
(giustamente)
Giriamo l’angolo usciti dalla stazione e becchiamo lei:
LA FIAT MAREA ALPINA
Dietro a una trentenne culona sbronza come una damigiana arriviamo davanti ai baracchini dell’unto. Gli alpini apprezzano il cibo etnico: pugliesi e siciliani si adoperano dietro piastre, griglie e friggitrici. Oggi lavorano solo i terroni.
A dire il vero, sono a Udine da meno di dieci minuti e già le mie certezze vacillano: incrocio degli alpini con un accento strano…
Sono abruzzesi, poco male, montanari anche loro; sembrano spaesati vedendo le abitudini alcoliche dei commilitoni settentrionali.
Per le vie del centro, tirate a lustro come la macchina quando devi andare a prendere la tipa e vuoi andare in buca la prima sera, la gente inizia ad accalcarsi e gli ambulanti si confondono alla folla.
La marea umana accorsa in città è inebriante, canti alpini a ogni angolo di strada, profumo di griglia e di affettati, fiumi di birra, vino e grappini, damigiane e botti montate su carretti spillano ombre di rosso, profumo di Diesel bruciato dai trattorini d’epoca che trainano frasche ambulanti (Greta? Chi? Forse la biondina che è passata prima)
Un’orgia esperienziale, un crescendo di sensazioni, un senso di benessere mi pervade; nella folla, annego.
Il Leone di San Marco dall’alto benedice la folla festante davanti alla Loggia, mentre Garibaldi guarda soddisfatto gli Italiani qui riuniti a celebrare i propri eroi, non sembra zoppicare, il vino lenisce tutte le ferite.
La fiumana di gente è per il momento abbastanza fluida ed è facile guadagnare la via del bar. Qui qualche alpino fa apprezzamenti su mia morosa, quando vede che siamo insieme, molto rispettosamente, si complimenta col sottoscritto e vuole la foto insieme. Fatalità sono dalle mie zone e, infatti, senza neanche conoscerci, nessuno ha parlato in italiano: lingua bandita all’adunata, usata solo dai superiori e dai pischelli imbucati coi finti cappelli (lungi da me fare paragoni tra primi e secondi)
Ad ogni modo, l’alpino coneglianese dice di stare col suo socio e gli da un bacino sul collo, rispondo che ormai non mi stupisco di niente. Ci mettiamo a ridere tutti e tre: non si è mai visto un alpino frocio.
Circa i cappelli finti devo fare una precisazione: indossarlo è disonorevole, il pennuto cappello ce lo si guadagna con un anno di Naja. Punto.
Salutati i due come fossero amici di vecchia data tastandoci vicendevolmente i maroni, mi butto nello stretto vicolo per raggiungere Piazza primo maggio, cercando di non perdere mia morosa perché i veci alpini sono sempre in agguato.
Nel vicoletto rimaniamo bloccati da quanta gente c’è, non si avanza e non si retrocede, due furgoncini degli spurghi, i cessi sparsi qua e là per la città per venire incontro agli urinici bisogni, cercano di farsi largo tra la folla senza investire nessuno ma è ardua impresa, specialmente se qualche imbriago rivendica la propria friulanità imbucato sul cassone dietro.
L’austera bandiera giuliana mi si presenta ora sotto un’altra veste, non cozza né col mio amato Leone né col tricolore, e si dissipano i dubbi: gli alpini sono federalisti. Anzi, gli alpini sono IL FEDERALISMO.
Fratelli d’Italia venuti dalle più lontane province (perfino gente d’Appennino) che brindano insieme e fanno festa; e festanti vagano per le strade e i vicoli di una città che pare rinata ora che la pioggia ha lasciato il posto alla birra.
Abbandonati gli autisti degli spurghi al proprio destino, mi ritrovo coi miei amici in piazza; dopo un’ora di spintoni e due birre bevute alla goccia, la fame inizia a farsi sentire. Per un attimo, forse, mi ero illuso di essere fuori dal tempo e dallo spazio, la bionda media a 5 euro sembrava a un prezzo accessibile quasi calmierato. In realtà anche all’adunata l’inflazione batte e se si prende il primo camioncino unto col tipo sudato alla piastra che pulisce la spatola e si asciuga i sudori con lo stesso scottex che poi userà per incartarti il panino, con meno di 15 euro non si mangia.
Ancora una volta saranno gli alpini a salvarci, sotto il loro capannone con 7 euro puoi prendere un’abbondante porzione di pasta al sugo. Io esagero, prendo anche mezzo polletto e pago un litro di rosso: alla fine mi sono sputtanato lo stipendio.
L’euro e novanta a pallina che mi chiede il gelataio dà il colpo di grazia al mio portafoglio; dovevo capirlo dal nasone e dai riccioli neri… Trombato, mi dirigo verso la Loggia.
Contrariamente al clima di caccia alle streghe che qualche associazione arcobaleno aveva fomentato a Rimini, qui tutti i disordini filano liscio come l’olio, anzi, sono le stesse friulane ad attaccare bottone con gli alpini chiedendogli una foto.
Fuori da una gelateria, dove prima c’erano gli spurghi, una sudamericana mostra tutto il suo potenziale spillando birre. Mio nonno (alpino anche lui) me lo diceva sempre: tira de pì un pel de figa che un car de bò
. Motto non a caso diffuso in tutta la penisola. Io scatto col flash, lei si mette in posa e mi chiama appresso: sono un debole di cuore e mia morosa è distratta, io e il mio amico ci avviciniamo.
Ci si parano davanti 4 bergamaschi, un friulano, un pordenonese con la morosa che gioca a calcio a 5 a Conegliano (non so perchè continuava a ripeterlo)
Credono sia un fotografo di quelli seri che lo fanno per lavoro,
chiedono una foto, la faccio volentieri: è perfetta per l’articolo.
Si erano appena conosciuti ma sembravano amici di vecchia data.
L’adunata è questa.
E un blastide ad honorem me lo dice: festa, amicizia, convivialità, nessun maranza che rompe i coglioni, conoscere gente nuova che altrimenti non incroceresti mai nella vita… Me l’ha ripetuto cinque volte nel giro di mezz’ora, io me lo son segnato e riporto pari pari.
Lui e i suoi si son fatti quattro ore e mezza di macchina da Bergamo alta per venire, lo voglio ringraziare se mai leggerà l’articolo, specialmente per le due birre offerte a me e al mio amico (vero sfacciato lui, scroccherà pure il Montenegro che il friulano ha nello zaino)
Continuerei volentieri la serata in compagnia dei miei nuovi amici ma si è fatta l’ora infausta di tornare nel mondo reale. Facciamo l’ultimo, la vita è bella seduti davanti a una bionda media; mollo uno scurreggione fetente, sospettano di me, dico che io di solito le chiamo, li convinco.
Camminando verso la stazione un dubbio mi assale:
Esisteranno ancora le adunate degli alpini quando sarò vecchio? Io e tanti altri il nostro turno lo abbiamo saltato…
Sconsolato prendo il treno delle 23.00 alle 00.15, ma la domanda continua a frullarmi in testa.
Esisteranno ancora gli alpini?
Ai posteri l’ardua sentenza.