Così commenterebbe Emilio Fede i recenti avvicendamenti in terra slovacca. Il partito di Robert Fico, Smer – SD, ovvero Direzione – Socialdemocrazia, ha ottenuto il 23% dei voti e 42 seggi su 150 al Consiglio nazionale slovacco. In seguito alle elezioni, Fico ha trovato un accordo con Peter Pellegrini, terzo arrivato, segretario del partito Hlas – SD, ovvero Voce – Socialdemocrazia, che ha ottenuto il 14,7% dei voti e 27 seggi, e con il Partito nazionale slovacco, che ha ottenuto il 5,6% dei voti e 10 seggi.
Complessivamente, Fico può contare quindi su una maggioranza di 79 seggi.
Ma chi è Robert Fico?
Cominciamo col dire che il suo cognome si pronuncia [̍fitso], a scanso d’equivoci con ex-presidenti della Camera che andavano al lavoro in autobus e pagavano la colf in nero o con allegre canzoni di Pippo Franco.
Eppure, il curriculum di Fico – lo slovacco, non l’italiano – è quello di un perfetto uomo di sinistra: figlio di operai, frequenta il Gymnasium; nel 1986 si laurea in legge a Bratislava e si iscrive al Partito comunista di Cecoslovacchia, poi al Partito della sinistra democratica suo erede in seguito alla rivoluzione di velluto.
- Nel 1992 viene eletto deputato dell’Assemblea federale cecoslovacca; lavora all’Istituto statale di Legge e al Ministero della Giustizia, studia a Londra e scrive una tesi di dottorato sulla pena di morte in Cecoslovacchia.
- Dal 1994 al 2000 rappresenta il suo Paese presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2002 diventa professore associato. Roba da far accapponare la pelle a Slavoj Žižek, e non solo a lui.
- Nel 1998 viene eletto vicesegretario del Partito della sinistra democratica, che però un anno dopo scende sotto la soglia di sbarramento.
- Fico critica il governo neoliberista di Dzurinda, che a suon di flat tax al 19%, crescita economica al 6%, politiche di austerità e deficit al di sotto del 3% del Pil getta le basi per l’ingresso nell’Unione europea, ma lascia anche il tasso di disoccupazione più alto d’Europa, al di sopra del 12%. Fico fonda il suo nuovo partito, Smer – SD, e introduce una regola che rivoluziona la politica slovacca, quella delle “mani pulite”, secondo la quale nessun individuo compromesso col regime comunista o coi precedenti partiti può assumere incarichi e le donazioni ai partiti devono essere rese pubbliche. Non proprio un concetto garantista…
- Inoltre, Fico critica i tagli del governo alla sanità e all’educazione.
- Nel 2002 il partito è terzo col 13,5% dei voti; nel 2004 ingloba il Partito della sinistra democratica e i rimanenti partiti di sinistra; nel 2006 vince le elezioni col 29,1% dei voti.
Insomma, davvero un bel giorno per la sinistra. Slovacca. Ma allora perché oggi la sinistra non esulta? Perché Fico e Pellegrini sono stati cacciati dal Pse? Cos’è successo in questo ventennio?
Già nel 2006, vinte le elezioni, Fico dovette trovare un accordo con il Partito del Popolo – Movimento per una Slovacchia democratica dell’ex premier Vladimir Mečiar e con il Partito nazionale slovacco di Jan Slota.
In seguito all’intervento della Nato in Kosovo nel 1999, Mečiar si era convinto dell’impossibilità di perseguire l’indipendenza politica. Se avesse vinto le elezioni, probabilmente avrebbe bloccato il processo di ingresso nell’Unione europea. Slota, invece, era un uomo all’oscuro passato, tra furti di auto e aggressioni ai danni delle minoranze, noto per i suoi discorsi contro le minoranze rom e ungherese, e in particolare per un discorso da ubriaco in cui minacciò di radere al suolo Budapest coi carri armati. Inoltre, il Partito nazionale slovacco ha cercato ripetutamente di riabilitare il regime collaborazionista di Jozef Tiso.
Fico non prende le distanze dalle dichiarazioni di Slota e i rapporti con l’Ungheria restano tesi.
Il Pse sospese il partito di Fico, poi inviò una commissione d’ispezione guidata da Piero Fassino , che riscontrò gravi elementi di incompatibilità coi valori del Pse. Roba da commissari stalinisti.
Comunque, nel 2008 lo Smer – SD e il Partito nazionale slovacco firmarono una lettera in cui promettevano di rispettare i diritti delle minoranze e lo Smer – SD fu riammesso nel Pse.
Nel frattempo, Fico ha fatto entrare la Slovacchia nell’Eurozona nel 2009. Il suo partito, però, ha un concetto particolare di socialismo, un socialismo rurale, nazionale, un socialismo con caratteristiche slovacche. Questo è ciò che si rimprovera allo Smer – SD: il fatto di essere un partito di sinistra non-blairiana.
Inoltre, il partito ha una posizione tendenzialmente conservatrice sui temi Lgbt, anti-immigrazione e fallaciana in seguito agli attentati di Parigi del 2015. Contrario alla dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo, non ha però mai messo in dubbio la sua appartenenza all’Unione europea e all’Eurozona.
Fico fu sconfitto nel 2010 a causa di uno scandalo sui finanziamenti ai partiti, poi vinse di nuovo nel 2012 col 44,4% dei voti.
Cercò di formare un governo di unità nazionale con l’Unione democratica e cristiana slovacca – Partito nazionale e con il Movimento cristiano democratico, ma poi dovette ripiegare su un governo monopartitico, il primo in Slovacchia dal 1993. Nel 2016 vinse di nuovo le elezioni e si alleò col Partito nazionale slovacco, col Most-Híd (partito della minoranza ungherese!) e col partito liberalconservatore Network. Già questo dato dovrebbe farci capire quanto siano faziose le accuse di razzismo nei confronti della minoranza ungherese.
Comunque, nel 2018 Fico viene travolto dallo scandalo Kuciak: il giornalista Jan Kuciak, che aveva indagato sui rapporti tra lo Smer – SD e la ‘ndrangheta, viene ucciso e si sospetta che il mandante sia Fico stesso.
Si sa: tutti i grandi statisti hanno un Mino Pecorelli nell’ armadio. Fico viene costretto alle dimissioni ed è sostituito dal suo vice Peter Pellegrini, che alle elezioni del 2020 è sconfitto dai conservatori di Gente comune e personalità indipendenti, il partito populista e manettaro di Igor Matovič.
Pellegrini opta per la scissione e fonda Hlas – SD, mentre Fico si convince che Soros gli Stati Uniti abbiano complottato contro di lui e organizzato le proteste. Fico attacca la stampa definendo i giornalisti feccia, maiali, prostitute. Allo scoppio della guerra in Ucraina, condanna l’attacco russo, ma afferma che quella in corso in Ucraina è una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti e si dichiara contrario alle sanzioni, che a suo dire indeboliscono l’Europa e rafforzano le politiche autarchiche russe.
Fino ad arrivare a questa campagna elettorale, in cui promette lo stop all’invio di armi all’Ucraina. Una posizione di buonsenso per un piccolo Paese di appena cinque milioni di abitanti che in proporzione ha già contribuito alla causa ucraina più di chiunque altro, una posizione condivisa anche dalla presidente della repubblica Zuzana Čaputová, che pure è stata fondatrice del partito del principale rivale di Fico, Slovacchia progressista di Michal Šimečka.
Eppure, per i nostri giornali le elezioni slovacche sono un Quarantotto europeo, una lotta tra democrazia e autoritarismo, con un Fico che viene ridotto a personaggetto macchiettistico, una sorta di Orbán slovacco (giova ricordare che i rapporti di Fico con Orbán non sono mai stati amichevoli)
Fico aveva anche condannato l’annessione della Crimea nel 2014. Tra le affermazioni nel mirino del Corriere, c’è anche questa: la guerra in Ucraina è iniziata nel 2014, con i fascisti ucraini che uccidevano civili russi.
Una semplice constatazione, ma evidentemente per quel quotidiano orwelliano non si può dire una verità storica, e cioè che la guerra è iniziata nel 2014. Se il giornalismo slovacco è ai livelli del Corriere, è facile comprendere le affermazioni di Fico.
Più che alle nostre elezioni del Quarantotto, in cui si scontravano Stati Uniti e Unione sovietica, queste elezioni slovacche assomigliano a quelle ucraine degli ultimi decenni: se Usa e Urss erano imperi, Huntington ci insegna che il mondo globalizzato conosce solo civiltà.
Le elezioni in Ucraina, in Grecia e in Slovacchia appunto sono elezioni di faglia, dove si scontrano due grandi civiltà, quella occidentale e quella slava.
Ora, facciamo lo stesso giochino che abbiamo fatto per la Grecia.
Se sommiamo il risultato ottenuto dallo Smer – SD, da Hlas – SD, e dal Partito nazionale slovacco, scopriamo che quasi il 44% degli elettori ha espresso un voto contro l’Occidente, o quanto meno contro questo Occidente. A questo dato vanno aggiunti il 4,75% di Republika, partito neofascista e – questo sì – filorusso, il 6,3% di Libertà e solidarietà (partito euroscettico e nazional-conservatore, nel gruppo dei Conservatori e riformisti europei insieme con Fratelli d’Italia), il 4,4% di Alleanza (partito ungherese alleato di Fidesz, nel Partito popolare europeo) e il 2,2% di Sme Rodina (Siamo una famiglia, partito nazional-conservatore ed euroscettico nel gruppo Identità e democrazia con la Lega e il Front National)
Otteniamo che almeno il 61% degli slovacchi, in qualche modo, ha espresso un dissenso nei confronti di questa Europa. Peraltro, si può notare come i partiti “problematici” per l’Ue siano presenti all’interno di ogni gruppo, dai socialisti ai popolari e dai conservatori a ID.
(Tralascio qui i comunisti e tutti gli altri partiti con percentuali da prefisso telefonico e specifico che la soglia di sbarramento è al 5%, quindi alcuni dei partiti che ho nominato non hanno ottenuto seggi ma sono rimasti fuori dall’Assemblea nazionale).
Attraverso i governi Fico, la Slovacchia ha riscoperto una propria identità slava. Slava occidentale, come la Polonia e la Repubblica Ceca, ma pur sempre slava. E in quanto tale sorella sia dell’Ucraina sia della Russia, ma più della seconda, che della civiltà ortodossa è – o quantomeno vuole essere – il Paese egemone. Ancora una volta, assistiamo quindi al risveglio della civiltà slavo-ortodossa.
A differenza di qualche mio collega, io sono assolutamente convinto dell’esistenza degli scontri di civiltà, ma questo ovviamente non significa che io pensi che l’Occidente sia destinato a vincere.
Anzi, vedo ovunque i segni di un Occidente al tramonto e della riscossa delle altre civiltà.
Mi limito a citare qualche episodio.
In primis ci fu la guerra tra Russia e Ucraina. Poi le già citate elezioni in Grecia. Poi la Serbia, che proprio non vuole rinunciare alla regione simbolica in cui nel lontano 1389 furono sconfitti i turchi ottomani. Ai confini, l’Azerbaigian che invade il Nagorno-Karabakh, con l’Occidente che non muove un dito perché prende il gas da Əliyev e la Russia che non difende l’Armenia, suo alleato storico, perché impegnata in Ucraina. E infine le elezioni slovacche.
Appena al di fuori, la Turchia di Erdoğan cerca di ritagliarsi il ruolo di mediatore, nonché di Paese egemone sia del mondo turco, col quale sta cercando di costruire un ponte che passa attraverso l’Armenia, sia di quello islamico.
Mondo islamico che è attraversato dalle guerre civili, in Yemen e in Siria, con l’Arabia Saudita che lotta contro la Turchia e l’Iran per il ruolo di potenza egemone. Si delinea un fronte che comprende l’Iran, l’Iraq suo vassallo, Hezbollah, i ribelli Ḥūthī e Ḥamās.
Gli occhi dell’Occidente sono puntati sulla Palestina, e rigorosamente foderati di prosciutto. Quello è il campo di battaglia in cui l’Occidente ha gettato la maschera rivelando apertamente di pareggiare per Israele. La comunicazione mediatica ha assunto toni patetici al fine di impietosire. Il doppiopesismo diventa evidente quando si parla di israeliani uccisi e palestinesi morti, o quando si parla di Ḥamās che ha invaso Israele.
E guardateli, quei poveri bambini israeliani rapiti!
Io penso invece che abbia ragione Elena Basile: Ḥamās non ha rapito abbastanza bambini per giungere una trattativa. Ecco, l’ho detto. Sono machiavelliano, forse anche machiavellico, e non sarà un caso se quando al liceo la mia professoressa di italiano chiese chi fosse il più cinico della classe tutti si voltarono verso di me. Si scandalizzi pure Gramellini.
C’è un argomento dei pro-israeliani che proprio non mi va giù, ed è quello umanitario-fallaciano. Quello secondo cui ci sarebbe una grande discrepanza tra i valori in cui crede la sinistra occidentale pro-Palestina e la realtà della striscia di Gaza, con i miliziani di Ḥamās che giustiziano gli omosessuali e vorrebbero le donne sottomesse. Laddove – si dice – Tel Aviv è la capitale gay del Vicino Oriente e, pur non conoscendo altre forme diverse dal matrimonio religioso, riconosce persino l’adozione per le coppie omosessuali. Questa lettura non tiene conto di diversi fattori. Il primo è che Israele non è un Paese laico, bensì religioso, e con un testo sacro che condanna esplicitamente la sodomia.
Israele è governato dai conservatori e nel 2019 il ministro della salute Cabinet ha dichiarato che gli omosessuali possono essere sottoposti a fantomatiche terapie di conversione. Inoltre, e proprio per questa ragione, diverse associazioni tra cui il giornale Haaretz, Jewish Voice for Peace e alcuni movimenti Lgbt hanno accusato Israele di avere una politica gay-friendly solo per tornaconto (geo)politico, in una parola di pinkwashing.
Per dirlo con le parole dei movimenti Lgbt israeliani, “there is no pride in occupation“ (specifico qui che il regime israeliano è definito da Amnesty International senza mezzi termini: apartheid)
Il secondo elemento di cui non tiene conto questa lettura è che uno Stato palestinese di fatto non esiste. Se nella striscia di Gaza governata da Ḥamās l’omosessualità è punita con dieci anni di carcere e talvolta con la pena di morte, in Cisgiordania è depenalizzata dal 1951. Al-Fatḥ è pur sempre un movimento laico e di sinistra e negli ultimi anni sono nate anche associazioni Lgbt arabe a Ramallah. Come disse Vattimo alla Zanzara, tra un Paese colonizzatore che rispetta le minoranze e un Paese colonizzato che lotta per l’indipendenza sceglierò sempre il secondo. Come del resto i marxisti che nel 1979 si unirono alla rivoluzione khomeinista. E come disse una volta Alessandro Di Battista, il terrorismo è l’ultima arma violenta di chi si ribella.
Comunque, l’apice della propaganda – o forse dovrei dire della paranoia -, è stato raggiunto con la cacciata di Patrick Zaki da Che tempo che fa e dal pre-Salone e con alcune dichiarazioni di Corrado Augias, che, intervistato da Floris, ha detto che gli israeliani sono degli irresponsabili, perché protestando contro le riforme della giustizia di Netanyahu hanno creato un clima di incertezza perfetto per Ḥamās
Ora, io non so se questa guerra si stia preparando davvero. Non so se erano giuste le previsioni di Obama, secondo cui la terza guerra mondiale sarebbe scoppiata nel 2025, o piuttosto quelle di Trump, che hanno spostato questa data al 2030.
Non so se le elezioni polacche segni o un risveglio dell’Occidente europeista. So che tutto il mondo è in movimento e so che secondo la profezia di Luigi Bonanate il Kazakistan, così ricco di risorse naturali, crocevia di popoli, tra i giganti russo, cinese e islamico, è il terreno ideale di scontro (quando la profezia è stata formulata c’erano anche gli americani in Afghanistan, ma pazienza)
E quindi cosa vuoi di più compagno per capire che è suonata l’ora del fucile? Vi aspetto in Kazakistan l’anno prossimo.