Ah, Il tagliaerbe. Negli anni ottanta credevamo che la realtà virtuale, realtà dai tanti poligoni pre- renderizzati, vaporwave si direbbe ora, avrebbe cambiato l’umanità rendendoci più intelligenti. Che ingenui, eh? E così immaginavamo anche i videogiochi del futuro; videogiochi fighissimi, caschi per la realtà virtuale e tutto il resto.
Avrete certo visto qualche film del periodo? Avrete certo visto i ragazzini giocare a “videogiochi” dalla grafica pre-renderizzata, intenti a pigiare tasti a caso per far sembrare quello strano video, tanto avveniristico, così interattivo?
Questa era la visione dell’epoca, e credo che il buon vecchio Angst: Rahz’s Revenge, per quanto sfasato, abbia centrato in pieno la mentalità del periodo senza volerlo.
Prodotto nel 1996 dalla ManMachine Games, piccolo team teutonico, Angst: Rahz’s Revenge, conosciuto in italiano come Angst: La vendetta di Rahz, si distinse presto in senso negativo sul mercato, finendo additato molto presto come uno dei peggiori FPS della storia, e non a torto.
Sapete? Nel mercato videoludico è pieno di videogiochi ingiustamente criticati, ma Angst non ha scuse, è proprio un gioco osceno, eppure… È un gioco con un fascino strano, morboso, kitsch. Un gioco che originariamente doveva essere il primo episodio di una quadrilogia mai uscita, composta da:
Angst: Rahz’s Revenge
Wrath: Rahz World
Fear
Attrition
La curiosità di chiedersi come sarebbero stati i sequel era forte in me all’epoca, e certo era forte anche la curiosità di vedere come sarebbe stato il gioco se fosse stato migliore.
D’altronde feci vari tentativi, tutti falliti, di fare un rifacimento del primo, ma…
Perché tanto interesse per un gioco osceno?
Perché Angst è un gioco che ispira, per quanto orrendo. Tuttavia andiamo in ordine con la nostra storia.
Era il 2015 quanto lo scoprii per la prima volta. Un risultato correlato tra le varie ricerche di FPS vecchia scuola su Youtube. Spuntò così a caso, un piccolo thumbnail tra tanti, che mostrava una delle tante scene di gioco.
Lo guardai, e subito capii di trovarmi davanti a un FPS di scarsa fattura.
Nulla funzionava. Tutto era improvvisato. Le mappe erano di quelle fatte in un’oretta per cazzeggiare, di quelle che facevo io anni fa su Doom Builder; i nemici si bloccavano o erano di una stupidità disarmante; le collisioni erano fatte a caso; le armi erano sbilanciatissime e non avevano feedback visivo per indicarti che colpivi i nemici; il sistema di munizioni era primitivo a dir poco; la grafica era fatta senza alcuna direzione artistica, mischiando elementi fumettosi con altri pre-renderizzati, e tutto era buggato.
Tutto era un disastro… E lo adorai per questo.
Angst aveva qualcosa che mi attirava non poco. Qualcosa che poi inquadrai in un termine preciso:
Visione.
Come il tanto osannato Grezzo2, visione di un videogioco violento dal punto di vista di un ultraconservatore; Angst è la visione di quel futuro dei videogiochi che la gente di un’epoca passata avrebbe voluto.
C’è tutto! Una trama fuori di testa ultra complicata, che parla di una città futuristica votata alla biotecnologia. Una trama che parla perfino di complotti industriali, conflitti con razze aliene e realtà virtuale. C’è perfino spazio per l’estetica vittoriana, steampunk, come dimostra l’ambientazione e certi strani nemici alla guida di biplani o perfino di vecchie Citroen dei ruggenti anni ‘20.
Verneville, la frazione vittoriana di Futura City. Città dalle tinte anglosassoni, teatro di guerra tra Werner Mueller, teutonico protagonista della storia e sgangherato sysop in una delle tante sezioni della Global Insurance Company, e i Rahz, nemici rettiliani dall’estetica prerenderizzata.
C’è tutto! Il nerd anni ‘90 che diventa l’eroe; i nemici dall’estetica 3D, tipica del periodo, e all’apparenza usciti da un videogioco che il protagonista adorava, come spiega la rocambolesca storia sul sito ormai archiviato.
I nemici usciti da un videogioco! Credo ci fosse un film del periodo con una storia simile, ma purtroppo non ne ricordo il titolo. Forse non era nemmeno l’unico.
C’è tutto! Anche il macello totale, che richiama allo stereotipo di pigiare tasti a caso, e un soundtrack che definire radical e pedal-to-the-metal balls-to-the-wall, come si sarebbe detto negli anni novanta, è dir poco.
Sì, sto usando termini a caso che andavano di moda nel periodo, ma lo shredding di Paul Hanson, preso senza permesso dall’album The Visitor, si presta assai bene a questa sgangherata, ma strana esperienza quasi onirica.
Un incubo febbricitante di un giovane degli anni ottanta che sognava i videogiochi del 1996.
Un incubo che senza la musica forse non sarebbe stato così caratteristico. La musica è uno dei fulcri di un videogioco, e brani come Vacuum, The Web e Doomsday Machine richiamano davvero tantissimo a un atmosfera da nineties, pur essendo brani dell’87. Strana cosa, ma con me fece proprio quell’effetto all’epoca. Un effetto che, come detto all’inizio mi portò a dirmi:
“Come sarebbe se fosse fatto meglio?”
L’idea era ottima, la trama pure, e tutto il gioco ai miei occhi sembrava quasi una capsula temporale che meritava di essere fatta meglio.
Purtroppo non sono mai riuscito a fare ciò, vuoi per mancanza di voglia, vuoi per mancanza d’esperienza, e tornando al tema rifacimento… Avrebbe avuto senso rifarlo e rischiare di perdere lo charme dell’originale?
Forse sì. O forse sto overanalizzando fin troppo un gioco decisamente scrauso, ma è davvero strano come la ManMachine Games, nel suo tentativo malfatto di creare un videogioco, abbia finito per creare involontariamente una capsula temporale quasi perfetta di una visione di dieci anni prima. Una visione che, in molti casi, si è rivelata infine errata, dato che la realtà virtuale è tuttora appannaggio di pochi, e i videogiochi si sono evoluti in maniera totalmente diversa da come ci si immaginava all’epoca.
Angst: Rahz’s Revenge
Un simulacro di una passato mai esistito
Un simulacro di un sogno. Sgangherato, ma un simulacro. E chissà che un giorno qualcuno non lo rifaccia meglio.
Da UomoMacchina-6502 è tutto, miei cari supporters della nuova dittatura dei Rahz.