Artoldo: BLAST INTERVISTA (PRIMA PARTE)

Artoldo: BLAST INTERVISTA (PRIMA PARTE)
Lettura boomer
NFT, mostre, arte, cultura, robe sataniche. Solo in questa prima parte della intervista a Artoldo!

1) Come nasce Artoldo?

Artoldo
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Wundersaar: Genuina genesi sui generis la sua, ARTOLDO nasce in Germania genetliacamente a gennaio (201%), che gelo, gemmazione generata da gemellaggio giuriamo senza genepì.

Mi trovavo a Monaco per lavorare nell’antiquariato librario, dove mi aspettavo di trovare barocchi manuali alchemici e invece per lo più c’erano libri d’ore settecenteschi appartenuti a contessine, a conti fatti, mi sono chiesta subito dopo il mio imbucarmi in quell’ambiente così ermetico perché avessi voluto entrare in quel settore così senile e al contempo chiaramente così infantile, anche così criminale (che il libro raro ha tutta una sua storia intima dalla manovalanza attentatrice alla mafia senatrice) –, si trattava di uno sfizio che volevo togliermi, casa d’asta per libri rari, un tirocinio sabbatico, in Germania mi era stato possibile, c’ero tornata (alle spalle Sette anni a Berlino + le Elegie Bremesi), volevo essere in un serious game. Dove mi ero autocatapultata c’era, a causa di una vicenda salita alla ribalta delle cronache internazionali ovvero il furto alla Biblioteca Girolamini di Napoli, un’atmosfera assolutamente da crime story – che in effetti ha lavorato in me tanto in senso cinematografico. Magistrale nella disciplina clou delle Scienze Sociali, Sociologia, non ero filologa proprio per niente, manco madrelingua, poi capì perché mi avevano voluta lì a compilare voci per il catalogo nonostante tutte le mie difficoltà a leggere la Fraktur sempre rigorosamente in rosso e nero – tutta roba germanica tardo barocca. A fine giornata mi si chiedeva di telefonare per le ultime nuove al legale italiano del fondatore tedesco del rinomato studio bibliografico in custodia cautelare partenopea e quindi di riferire, a Poggioreale avevano avuto qualche delicatezza appaiando cultori d’arte, il dottore era in cella con un violinista – ricorda il violino di quel bugiardo di Kappler a Gaeta. E da lì ho iniziato a scrivere la sceneggiatura della mia nuova professione, filmmaker. Come succede dopo un po’ a parecchi sociologi, ci diamo al visuale.

Per iniziare di colpo tale professione mi procurai un’esperienza presso la Bayerischer Rundfunk – il cui acronimo è curiosamente BR – dove l’altro, futuro artoldiano, lavorava come cutter, montatore di filmati audiovisivi per la televisione, il migliore in campo, il più ambito, il più visionario dell’intera truppa o troup. Nel trovarci fondammo appunto subito Artoldo e il nome era un compendio di quelle cose che c’erano attorno, un po’ di arte antica, un po’ d’arte contemporanea ingessata, un po’ di vicende da polvere sotto i tappeti, d’altronde erano proprio i mesi dello scoppio dell’affaire Cornelius Gurlitts – nel frattempo ero passata ad un’altra casa d’asta -, un po’ di curatela, old art to told, una roba per lo più subconscia, pensammo subito al documentario culturale, monografico, più raccolto nella fase di pre-produzione, per quello di stampo sociale, ti devono accadere delle coincidenze.

E poi per l’asta natalizia la Kunstaucktionshaus dov’ero finita aveva organizzato una proiezione con regista presente del documentario su come avessero fatto un bel po’ di sana Provenienzforschung (ricerca della provenienza) per ripulirsi l’immagine da certi fattacci a ritroso riconducibili a crimini della specie NS-Raubkunst (opere d’arte depredate dai nazi) di cui c’era traccia anche da loro, i così detti file segreti di Adolf W., annotazioni supercompromettenti nei loro cataloghi dell’epoca magicamente rinvenuti in un piccolo armadio della vergogna. Il film era stato prodotto dalla Bayerischer Rundfunk, quindi quella era la mia direzione. Armadio chiama armadio e adesso vi racconto.

Entrata nella nuova parte, da lì a qualche giorno si materializzerà il personaggio protagonista del primo documentario, in un caffè di una Monaco gelata mentre sbrigavo faccende amministrative, sentì raccontare in un tedesco romanesco di un arzillo decrepito nazista signorotto di una grossina falegnameria locale, un po’ Geppetto un po’ Giuseppe ma che era stato böse, sehr böse (cattivo, molto cattivo) nonostante l’ormai incanutimento completo che lo rendeva un grosso Teddybär. Il personaggio che ne parlava si presentò come l’unico italiano che aveva assistito all’unico processo in Germania ad un criminale di guerra tedesco finito con l’unica condanna nonostante le tante italiane nel ciclo di processi a La Spezia nel post Armadio della Vergogna post Muro nella prima decade del nuovo millennio, amen. Inutile prendersela troppo con i tedeschi, se si pensa all’amnistia generale di Togliatti ‘46 e questo basta per ogni ulteriore riflessione, per cui la liberazione del pentito bugiardo Frank Reder nell‘85 e del suo finto pentimento per Marzabotto rimane all’interno del cerchio del solito buonismo italico misto alla più triviale Realpolitik sempre in cerca di mance – Craxi preferiva fare il duro con gli americani, più da film inedito. Tornando a Monaco, il giudice del processo per la strage minore di Falzano presso Cortona era passato poi ad occuparsi di NSU (Nationalsozialisticheruntergrund), specializzandosi quindi in tizi che a modo molto loro amano tipici rave sui generis, che siano questi fatiscenti ma vispi nasorossuti come il Joseph Scheungräber, frequentatore di annuali rimpatriate di Gebirgsjäger (che c’erano quelli della Heer forze armate regolari – regolarmente criminali, storiografia lo ha appurato che che se ne sia sbraitato il contrario – ma anche i loro omonimi Cacciatori delle montagne solo, piccolo particolare, leggermente afferenti alle SS, che mica si facevano mancare cose così idilliche gli ultimi – che saranno i primi) o come le Beate Zäpsche, della serie giovini pogatrici in clique subculturali di sottoboschi prima punk e poi unchained solo un filo troppo sopra le righe, appartati perché nonostante anche una certa creatività frustrata incapaci di esprimere altro se no un climax che dal disagio del menefreghismo strafottente diventa sempre più ripiegato su un abominevole culto del niente, del grido della giungla, succedaneo del battito del gorillaz, che belloz, successo assoluto, due morti suicidi tra quei dementi e un’ergastolana con una scia di poveri morti ammazzati. Se non sono rave questi casi, non spiegatemi cosa sono. Io comunque per parte mia ho preso parte a parecchi di quelli veri, uno in particolare very Blair Witch Project alike.

Il film documentario su sta vicenda di giustizia tardiva e una tantum per le tante rappresaglie naziste c’è, manca un po’ di post-production, che avverrà a breve, intanto l’inquadramento di quelle vicende si sono rovesciate anche in un mondo sintetico.

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Non si trattava solo di mettere assieme professionalità appunto, che queste sono solo strumenti, ma idealità a cui dare ali, scelte dopo una tirata di dadi, aleatorie, cosa che ha senso fare se prima è stata operata una scelta anche inconscia, opportuna se fortuna e sorte han fatto andare alcune cose storte. Mi aveva sempre destato una grande meraviglia l’uso di After Effects per rianimare la Storia.

Comunque la faccenda della Provenienzforschung in cui mi ero imbattuta così surrealmente da vicino in puncto libri rari e opere d’arte e di cui nel neonato Artoldo si era discusso così tanto, ci ha portato un lustro dopo a riflettere molto su rintracciabilità, tracce, archiviazione, marche temporali, autografi e firme, in una parola, blockchain.

Contemporaneo al documentario sul falegname di Ottobrunn abbiamo girato ad Amsterdam – arrivandoci col treno di notte e tutta l’attrezzatura – Bibliotheca Philosophica Hermetica.

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Dopo l’avventura libri rari era rimasto quell’imprinting misto alla voglia di vederne di ancor più particolari, volevamo immergerci soprattutto nella loro parte visuale, ovvero quei tomi dove illustratori visionari avevano raffigurato inaudite tesi esoteriche in epoca tardo barocca e illuminista. Ma l’interesse non finiva lì, volevamo vedere in azione come cultori della materia immersi in mondanissime professioni vivevano secondo quella che sentivano come loro peculiare missione Rosacroce. Il professore di filosofia ermetica dell’Università di Amsterdam intervistato ci fece subito quella che al nostro orecchio ci arrivò come una soffiata – non lo era, era il nostro cadere dal pero, che loro praticassero anche con relativa ritualità quelle dottrine ci sembrò uno scoop sensazionale, che affiora per tutto il documentario solo come una tensione sottotraccia, la loro personalissima tensione verso la scintilla, the spark, così perno nell’immaginario rosacrociano.

(Nel 2023 il sequel, stiamo leggendo Arthur Edward Waite, a sto giro sapremo tutti gli antichi pettegolezzi di sorta su ogni contrada rosacroce e cercheremo di individuarne i risvolti attuali).

Subito dopo venne Ugo Dossi, altoatesino nonostante i natali sotto le bombe a Monaco e tutti gli inverni e le altre stagioni della sua vita, i genitori commerciavano in coltelli molto affilati ed apprezzati, ogni tanto tornavano ai morti nelle montagne dove erano ancora vivissime le immagini di Totentanz, lui carismatico, flemmatico, iniziatico artista stampigliato da Biennali e documenta varie, versato in disegno automatico, evocazioni, invocazioni e convocazioni artistiche, seancé alquanto sentite e ça va sans dire, telepatia, ipnosi, riproduttore di macchine rispondenti alle leggi sull’orgone di Wilhelm Reich e al magnetismo animale di Franz Anton Mesmer, autore di una serie di tarocchi che riescono ad essere modernisti (quasi mondrianici), postmoderni e oltre pur rimanendo fedelissimi alla tradizione detta marsigliese che poi è di chiara provenienza italiana (mannaggia, non c’era ancora appunto la blockchain)

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Questi due lungometraggi ci hanno fornito le credenziali per approcciare il nostro successivo lavoro documentario ovvero quello sull’opera junghiana Psicologia e Alchimia, per cui l’allora direttore della Stiftung der Werke von C. G. Jung dopo un lungo colloquio ci ha dato il suo benestare per un documentario su un suo prozio altrimenti noto come Carl Gustav Jung. Quell’apertura ci ha dato l’incredibile possibilità di girare niente popòdimenoche nello studio privato del genio svizzero, a contatto con i suoi personali tomi spiegati da esperti finissimi, che abbiamo avuto il piacere di intervistare proprio in quella casa-museo e down-town sul lago di Zurigo, in un minuscolo studiolo di ebano delle meraviglie, dove il Dott. Stein ci rivelò l’aneddoto per cui Goethe was here, poi ancora in un sottotetto parigino di un’emerita della Sorbona nel Marais zeppo di libri sulla storia delle religioni, per finire con Eranos ad Ascona, dove l’Oroborous si morde la coda e sulla cui strada d’acceso trafficata da frontalieri stressati ci siamo quasi rimasti. No risk no fun te lo immagini altrove, ma invece è sempre così. Primo documentario serio dopo la famosa intervista del ‘54, non ci sembra ancora vero, infatti il film non è ancora uscito, sebbene a un passo dal fotofinish e in programma per primavera 2023. When We Were Jung.

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Poi c’è quello che sarà infine un trittico o anche un quartetto, un’opera tra il video essay e la video arte, il mockumentary e il documentario, una disamina del sentimento sociale della nostalgia a partire dal mio poderoso lavoro di tesi Per una sociologia della nostalgia in cui rintraccio i riferimenti culturali in cui inquadrare tale fenomeno nella fattispecie dell’Ostalgie ovvero della nostalgia per la ex-DDR e della Westalgie, la nostalgia per la Germania della guerra fredda nonchéper tutta una serie di ipotesi politiche facenti parte del clima politico democratico tedesco all’indomani della Die Wende (la svolta, come loro chiamano la caduta del muro) e rimaste in pratica inesplorate. L’impianto teorico di quell’esplorazione la rende comunque applicabile ad altre nostalgie, un po’ tutte, della serie, nostalgia nostalgia canaglia, di una strada, di un amico, di un bar, di un paese che sogna e che sbaglia ft. là dove c’era l’erba ora c’è una città ft. the grass was greener / the light was brighter / with friends surrounded / the nights of wonders. Vabbè, la prima tranche si chiama Hauntology of the Retrodromomania, una flânerie in una Parigi al neon noir incalzati dalla teoria critica sull’incipit del discorso nostalgico agli albori della modernità poco prima della notte incendiaria di Nôtre Dame. Da allora, nel mentre ed intanto ci sono oltre trenta lavori, che si muovono nel solco delle moving images arts anche con lungometraggi (Secropolis, girato nelle Vie Cave etrusche e nella città ideale di Tomaso Buzzi, La Scarzuola a Montegiove), dei corti sperimentali (MicroGnosing,Prampolini-Menarini Express), delle video performance (WhimSeaCall, Mascara Cartridge Déjà War, VE®NICE69), clip interattive a 360° (Sfarfallii liberalii, Dead As A Dodo, Black Sudo Rising), video arte (Timor panicus, TempoRally, AtMoreSpheres, Synedoche Turin), NFT (NFT in the Afternoon), installazioni video (Once Upon A Time: Castello Raggio D’Acciaio, Anticorpi in corpisanti, Glitching Offshore), net art (The Luther Blissett Legacy). E quest’anno molta VR, con tre altri progetti in fase sviluppo (Paracelsus in Wonderland, But Who Was Fulcanelli Bernus?, Clavis artis even more puzzling, Otium & the City). Sip, abbiamo usato la parola arte, perché non paghi di altre definizioni per noi non è più importante, ma va bene anche Marte, sarte, parte, carte, con buona pace degli anti-artivisti – anti-inteventisti. Impara l’arte e mettiti in disparte a giocare a carte su Marte con le sarte di parte.

Abbiamo fatto cose così serie con una tale non-chalance che alla fine ci siamo appassionati definitivamente di serious game e ultimamente di teoria dei giochi, del loro fallire piuttosto, che la razionalità è sempre limitata e che gli effetti inintezionali dell’agire sono in composizione immensi.

Da qualche tempo infiliamo qualsiasi nostro progetto in mondi sintetici di realtà virtuale, più che in opere di debunking, crediamo nella necessità di creare bunker di deprivazione materiale, disintossicazione, con un audio potente. Buen retiro nei meandri della rete, cyberdelights, pratiche hacker anche se da super principianti, trascendentalismo ancora un po dummy, poesia al V.I.T.R.I.O.L, stesura di un manifesto che funzioni come un white paper – concetto con cui abbiamo iniziato a sperimentare creando gli pseudocriptoprotocolli Proof of Prank & Proof of Workerism e celebrando figure già +o- esistenti/esistite della critica sociale molto diverse fra loro come Luther Blissett, Martin Lutero e Satoshi Nakamoto, nomi collettivi ma anche collectable, crypto punks –, un manifesto che valga come dogma solo a tempo determinato.

2) Perché gli NFT? Puntate solo alla speculazione?

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Chripto: No. L’NFT (Non-Fungible Token) rappresenta una rivoluzione sia tecnica che intellettuale. Nella speculazione capitalistica riguardante ogni oggetto da collezione o raro la guida è data dai semplici principi della domanda e dell’offerta e la scarsità è regolata. Nel paradigma NFT la sua modalità di funzionamento e la filosofia sottostante aprono una prospettiva completamente nuova su ciò che chiamiamo proprietà.

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Lot’s of Money because I am many! Luther Blissett

La proprietà digitale è stata ovviamente finora protetta dal diritto d’autore, le cosiddette rivendicazioni DMA (Digital Millennium Act) consentono, tra l’altro, di impedire la distribuzione e l’appropriazione non autorizzate, almeno teoricamente, ma torrent, reti di condivisione di file e cloud provider rendono praticamente impossibile perseguire qualsiasi potenziale violazione del copyright. Ce ne sono semplicemente troppe per farlo valere.

Ed è qui che entra in gioco l’NFT: quando il copyright non può essere protetto adeguatamente perché un bene digitale diventa più o meno accessibile alla volgarità dell’umanità nel momento in cui viene pubblicato e il famoso right-click-save ne è l’emblema, il download e il salvataggio dei vari contenuti multimediali, il loro remix, la diffusione e l’archiviazione di file è una parte importante della cultura di internet. O per dirla senza mezzi termini, se i tuoi contenuti non vengono condivisi o replicati su torrent, blog, siti Web e social media, il lavoro originale semplicemente non esiste o semplicemente non ha importanza. Questa affermazione è ovviamente sbagliata, ma è una base importante per rispondere alla domanda su come possiamo proteggere la proprietà digitale se non può effettivamente essere protetta.

L’idea di una blockchain pubblica è quella di creare un libro mastro immutabile e decentralizzato che registri e visualizzi tutte le attività di ciascun utente. Inoltre, tutti i beni sono documentati in modo anonimo e datati, il che, per dirla semplicemente, è il sogno di ogni ricercatore di provenienza.

Non appena creo un’opera d’arte o un oggetto da collezione in forma di NFT e ne congelo i metadati e il contenuto multimediale, ovvero li memorizzo decentralmente in un IPFS (InterPlanetary File System), l’NFT costituito da token, token ID e timestamp viene archiviato per sempre e nemmeno io stesso e medesimo, in qualità e veste di autore, non posso più cancellarlo. Tutti vi hanno accesso, ma solo chi è in possesso dell’hash (chiave) può elencare l’NFT nel proprio wallet e dirlo proprio.
Questo risolve due problemi con un’idea elegante: per proteggere il copyright e l’autore di un’opera, è sufficiente creare un registro pubblico che disponga cronologicamente tutte le opere e i loro autori e le documenti con il rispettivo token ID univoco collegato.

Anche se qualcuno provasse a copiare e duplicare un’opera già pubblicata, i cosiddetti copycats, il timestamp indicherebbe che non si tratta dell’originale ma di un falso.

Pertanto, gli artisti digitali hanno ricevuto uno strumento che consente loro non solo di commercializzare le proprie opere, ma anche di inserirle in un database decentralizzato mondiale che li verifica come autori delle proprie opere.

Inoltre, la tecnologia dell’NFT e della blockchain consente di preservare l’anonimato se necessario, poiché l’autenticità di un’opera non può più essere verificata tramite l’identità dell’autore, ma tramite l’indirizzo del wallet, l’ID del token e l’ID del contratto, tutti dati disponibili pubblicamente ma resi anonimi: una rivoluzione per la privacy.

Un modello concettuale simile è stato ad esempio utilizzato con l’app Imuni, per convertire in modo anonimo i dati dell’utente e lo stato dell’infezione in un codice numerico che è stato memorizzato in modo decentralizzato sul dispositivo finale dell’utente e confrontato solo quando necessario e non archiviato centralmente su un cloud server.

Con così tante rivoluzioni tecniche, sorge spontanea la domanda sul perché e su chi ne beneficia. Innanzitutto, la crittografia è un tentativo di staccarsi dalle grandi aziende e diventare di nuovo il padrone di dati, finanze e diritti d’autore senza dover fare affidamento su fornitori, intermediari e terze parti. Ed è qui che il modello Web 3 fallisce, almeno nel suo stato attuale. L’attuale crollo traccia meravigliosi parallelismi con la bolla dot-com alla fine degli anni ’90, quando i giganti della tecnologia hanno innescato fin dall’inizio una corsa all’oro digitale su Internet, che ora si è ripetuta nel crollo di grandi scambi di criptovalute e di NFT e speculazione attorno alle criptovalute. Il problema del diritto d’autore digitale può quindi attraverso questa tecnologia venire risolto, per ora, ma il problema dell’avidità umana rimane.

Sarebbe interessante, ad esempio, mettere in relazione il modello NFT e della blockchain con oggetti e trattati del mondo attuale comunemente esistente. E non appena lo si farebbe, si verrebbe a scoprire che ci sono già moltissimi parallelismi. Il modo in cui funziona il Codice Fiscale è simile a quello di un indirizzo di portafoglio, ad esempio esiste una sola volta ed è assegnato solo a una persona fisica o legale. Simile anche l’idea del servizio SPID per l’identità digitale e quello della PEC, della posta certificata. Ciò significa che un buon approccio per risolvere la corruzione nella politica e negli affari sarebbe rendere tutte le transazioni pubblicamente accessibili e anonime in una blockchain.

NFT e wallet offrono ad esempio la funzione di ripartizione delle entrate, ovvero la divisione percentuale automatizzata del reddito che può essere documentata pubblicamente e tassata direttamente al ricevimento nella blockchain senza la necessità di un commercialista: trasparente, efficiente, semplice. Il segreto bancario del sistema FIAT basato sul numero di conto e sulla reale identità del titolare è la radice di tutti i problemi. Teoricamente, questo problema non esiste nella blockchain e con l’NFT, poiché tutte le transazioni sono memorizzate pubblicamente per l’eternità e possono quindi essere tracciate anche retrospettivamente.

Tornando alla cultura, l’interessante parallelo tra lo pseudonimo di Luther Blissett e gli NTF è che entrambi i modelli sono riusciti a fornire l’anonimato senza sacrificare identità e autenticità. L’unica differenza è che chiunque può firmare il proprio lavoro come Luther Blissett, ma gli NFT possono avere un solo profilo utente con lo stesso nome. Inoltre, l’NFT offre meravigliose opportunità di collaborazione per creare, curare e gestire insieme raccolte di opere.

La maggior parte delle persone vede gli NFT solo come un altro oggetto di speculazione, o come anticipato dal progetto Luther Blissett: molti soldi perché siamo molti.

La cosa interessante dei mercati decentralizzati è che si autoregolano e, come tutti i capitalisti, soffrono dello stesso errore di credere che ci sia una crescita infinita. In questo senso, un NFT è un’interessante combinazione di ideali comunisti, capitalisti e liberali. Tutti hanno il diritto di creare NFT, tutti possono guardare gli NFT, praticamente non esiste più la cultura dell’annullamento, ma solo pochi che raccolgono il capitale necessario possono davvero possedere gli NFT.

In sintesi, un buon compromesso per soddisfare l’ambizione capitalista di proprietà, per placare la generale spinta comunista alla proprietà condivisa, ma allo stesso tempo per liberare il libero pensatore creativo liberale dalle grinfie dei curatori e dei top dog: l’artista riprende la sua autonomia artistica, le sue opere per sfruttare, pubblicizzare, collocare e proteggere in modo indipendente il suo lavoro intellettuale e artistico in tutto il mondo con un investimento di capitale relativamente basso, come ad esempio nel caso della blockchain eco-friendly Polygon e Soluna.

Se non fosse per l’utopia che minaccia di far fallire tutti i sistemi democratici: se tutti possono creare tutto in qualsiasi misura, in un tempo relativamente breve sorgerà un colossale mostro di dati, che consumerà innumerevoli risorse di energia e spazio di archiviazione, che in tempi di cambiamenti climatici e le imminenti guerre mondiali potrebbero diventare gli oggetti davvero rari del nostro pianeta.

In definitiva, però, resta da dire che l’NFT, con le sue innumerevoli funzioni di smart contract, offre al grande pubblico qualcosa di più di un semplice oggetto di speculazione, come avviene ad esempio per le criptovalute. Un NFT promuove e protegge i beni culturali e offre anche preziosi standard di protocollo, come l’.mp4, per poter esporre e presentare il contenuto in quanti più luoghi possibili, come pure nel metaverso.

Il nostro obiettivo con la collezione The Luther Blissett Legacy era mostrare quali ideali un NFT può rappresentare e, oltre a celebrare una retrospettiva sullo pseudonimo di Luther Blissett e Wu Ming (cinese per anonimo), dimostrare il potenziale di un progetto di criptoarte di oltre 428 video NFT. Sul nostro sito web del progetto troverete, oltre alla spiegazione filosofica relativa ai nostri protocolli inventati del Proof of Prank e del Proof of Workerism, basati sulle beffe di Luther Blissett e quindi sul problema di come verificarle senza lasciarsi prendere, così come su una rilettura di alcuni scampoli di scritti di autori afferenti al movimento dell’operarismo poiché l’NFT consente ai lavoratori di lasciare il lavoro schiavo nelle fabbriche e diventare finalmente autodeterminati come creatori, indipendenti dalla servitù del capo reparto o consiglio di amministrazione. Almeno in teoria, perché in futuro saranno sostituiti da robot e creatori di intelligenza artificiale, che produrranno arte e NFT sulla catena di montaggio 24 ore su 24.

Oltre alla raccolta di testi, articoli e interviste di, con e su Luther Blissett, abbiamo narrato anche nel nostro white paper basato sul modello concettuale utilizzato per le criptovalute, una meravigliosa ricostruzione della storia della blockchain in connessione con Luther Blissett e Satoshi Nakamoto, l’inventore di Bitcoin. Infine, in un indice si elencano tutti i 428 video artwork che abbiamo creato, inclusi tutti gli ID token associati. Cinquantadue di loro sono stati poi presentati in una mostra personale della durata di un mese nel Decentraland Metaversum.

3) Come nasce questa mostra?

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Wundersaar / Chripto: Noi, come tanti altri, abbiamo diverse identità, come in un multiverso, dove per ogni realtà, esiste la sua storia. Ecco perché lo pseudonimo Luther Blissett, ne siamo stati affascinati, Wundersaar lo conosce dai tempi del seppuku, era interessante riprenderlo. Ma purtroppo l’anonimato di oggi non esiste più, anzi è quasi pericoloso non essere presenti online – ma non stiamo riferendoci ai cazzo di social, da cui siamo usciti già da anni – perché altrimenti potresti finire in una storia di fake-identity di un gruppo hacker che vende non solo il tuo passaporto, ma anche tutto il resto nel darknet. Tutte quelle polemiche sulla privacy sono solo un metodo di marketing per raccogliere ancora più dati su di te. Il mondo dei social è la più grande merda mai cagata fuori della tazza. Inoltre i famosi Cookies banner hanno creato un mercato d’asta per la pubblicità, che ha definitivamente rovinato l’internet. Proprio per questo motivo serve il WEB3, un nuovo paradigma e proprio per quello abbiamo fatto la mostra. Tutti parlano del mondo cripto come speculazione, ma che cazzo è la realtà, se non speculazione. Pubblicità über alles!

I pionieri come Eva e Franco Mattes fanno personali da mo’ – l’ultima a Modena – e ciò, Cip e Ciop, la dice lunga sul fallimento dell’anonimato nonostante sia molto romantico-insurrezionalista (che dolce coppia, come si dice oggi, la vera rivoluzione è stare assieme così tanto). Crea suspense, crea la replica del gesto, crea Banksy, come una serie Netflix che finisce sempre con un cliffhanger. Nelle pratiche anonime di guerriglia d’avanguardia alla prova del fuoco del foglio di via e del carcere l’anonimato cessa, ma cessa anche molto prima, perché la firma è affermazione, rivendicazione del pensiero, autografo automatico. Più genuino lo pseudonimo, che è darsi e stare alla macchia, umana. Chissà come patiscono i ghost writer mediamente malpagati, quelli non incensati almeno dal denaro – perché le professioni della scrittura sono l’emblema del precariato intellettuale -, e per di più non recensiti, non individuabili, come non pervenuti in una società dall’individualismo condensato nelle miniature delle foto iconcine.

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Il sito web architettato è in sé il progetto artistico stesso: ci sono sia gli artwork in forma di NFT (e lì in formato GIF nonostante in sé sulla blockchain/IPFS siano videoclip) – siamo partiti dall’immagine iconica di Luther Blissett, quella che forse era lo scrittore Giuseppe Genna ai tempi, tra le nuvolette come un puttino raffaellesco e quella dell’omonimo giocatore flop del Milan pre-Berlusconi in maglietta milanista in arrivo dal soccer club Watford del Sir Elton John, ma se ne sono dette tante, tra cui avessero preso un giamaicano per un altro e che Genna fosse un altro Genna – sia i testi di approfondimento come pure i titoli sensazionalistici sparati a mo’ di scritta effettistica sulla fascetta dei bestseller anglosassoni e in cui abbiamo citato operaisti e post-operaisti in maniera pseudo-algoritmica – nel senso che, quando si googhelano il nomi di fantasia sotto le fake quote è il motore di ricerca che si prende la briga di svelarne le identità celate dietro i nomi ironicamente reinventati-rivisitati. Abbiamo voluto celebrare quel corpus di teoria radicale in maniera forse un po’ triviale, ma volevamo l’effetto spiazzante e per questo abbiamo preso alcuni testi dei prolificissimi autori in questione e sostituito parole e un certo qual senso con della terminologia cripto, trasformandoli in super entusiastici sostenitori della novità NFT. L’idea era provocatoria, per aiutare ad immaginare come trasformare la cultura cripto frutto del pensiero accelerazionista in un qualcosa di comunista per semplice osmosi – tra parecchie comunità di artisti l’ideale NFT proiettato proponeva a gran voce istanze che ne liberassero energie altrimenti speculative, roba di qualche mese fa che è già neve di ieri archiviata sulla blockchain per future indagini sulla storia delle idee – tra l’altro in modo analogo e per nemesi a quello che la cultura californiana neo-liberale ha fatto della cultura hippy libertaria, anarcoide e protestataria. Nel farlo siamo rimasti a modo nostro nell’immaginario cyberpunk zen immaginandoci appunto una reincarnazione cripto di Luther Blissett in Satoshi Nakamoto. A quel punto urgeva un white paper con due nuovi protocolli, Proof of Workerism (PoW) (ovvero operaismo in inglese) che fa il verso al Proof of Work (l’acronimo è infatti sempre PoW, per cui si gioca sulla sostituzione occulta dei termini, sul loro scambio, quando se ne accorgeranno si spera sarà troppo tardi per i padroncini immateriali ;-) e potenziata dal Proof of Prankche abbiamo immaginato fosse il lascito della miseducation di Luther Blissett, una nuova forma per creare una catena di beffe al capitale per sempre esistenti nella blockchain, sampietrini cripto. Abbiamo ricostruito poi la catena delle reincarnazioni come in una sorta di regressione (che ormai te la fanno cani e porci) fino al-L’utero Martino per poi risalire a Caspar Hauser, il fanciullo d’Europa, il selvaggio roussiniano ma tedesco, enigma insoluto, sul filo della traccia techno come nel film indie di Davide Manuli Io sono Caspar Hauser!, per noi altro nome potenzialmente collettivizzabile; che fosse Satoshi la reincarnazione precedente illuminista di Luther stesso, come Martino fosse quella riformista (vedi, The Reformation of Luther Blissett)?

Satoshi’s Garden


E poi dato Q di mezzo, con tutte le varianti più pro vedi -Anon, come non pensare alla Riforma, dato che il romanzo è ambientato al tempo delle coeve rivolte contadine? Inoltre in rete alcuni hanno addirittura avanzato – con tutta un’argomentazione a partire dall’email con cui è stato diffuso il white paper del bitcoin da un provider tedesco e poi con uno studio della mentalità ritenuta sottostante a quell’idea, antistatalista – che Satoshi Nakamoto fosse in realtà un collettivo o un Unikat tedesco…

Il lutherblissettlegacy strizza l’occhio all’insuperabile lutherblissett.net e da lì alle riflessioni postoperaiste, snaturandole tra il serio e il faceto, provocatoriamente storpiandole – perché a sinistra gli NFT sono stati accolti con estrema freddezza -, un po’ sadisticamente confrontandole con una terminologia oscura, finanziaria, speculativa per vedere che effetto che fa (sebbene in buona fede, del resto è stato un filo difficile cercare di creare un fake stralunato di opinioni attorno al fenomeno NFT come apice della cultura crypto in chiave di continuazione di quella cyberpunk, il tutto nell’ottica di celebrare l’immaginazione sociologica dei postoperaisti, visionarietà in verità realmente esistente come il socialismo reale, i soli che hanno fatto previsioni audaci in puncto trasformazioni del lavoro).

Siamo riusciti a forzare le porte di Decentraland, quasi eludendone la sorveglianza che non ammette riferimenti a religioni e quindi nemmeno al satanismo: il titolo era infatti Satanic panic, una detournement del progetto, una deriva, un offspring, poteva finire che la stampigliassero come roba alt dato che abbiamo avuto davvero poco spazio per spiegarla, invece è andata liscia e così abbiamo celebrato in un metaverso l’omaggio all’opera di svelamento di Luther Blissett riguardo alle distorsioni create dal sistema mediatico per cui tutti lavoriamo e che ci divora in maniera ben più satanica della comunque famigerata strategia dissimulatrice del panico morale. La mostra è rimasta un certo tempo in stato pending nell’event page forse perché gli americani si sono allertati davanti al potpourri di parole appunto come satanic, Q-Anon,alt right, ma alla fine si sono convinti della sua ratio.

La nostra beffa, il nostro prank funziona differentemente proponendo attraverso la rivisitazione fake davvero una rilettura, nel senso di andare a rileggerseli, degli autori che citiamo tra gli operaisti e post-operaisti (Toni Negri preferendoli chiamare tutti come i primi, identifica i secondi nei compagni chiusi in carcere negli ‘80 e relative riflessioni sociologiche sul lavoro che si fa socializzato e da lì post-industriale). Dalla tripletta ritmica di affermazione-negazione-superamento in Hegel e di negazione-superamento-affermazione in Marx – a parte la variante aforistica dello sfottò di Giuseppe Prezzolini (i fessi lavorano, pagano, crepano, che prima sapeva al massimo di butade bon vivant, qualunquista in bocca ad altri, oggi da trap ma quella più bieca – non ha contribuito molto all’analisi sociale, al massimo è da analisi lei stessa), Giovanni Lindo Ferretti chiosa (produci-consuma-crepa), mentre Luther Blissett (aggiunge poco, solo un e/o crepa e sbattiti, fatti, crepa).

Tra i GIF noi ci abbiamo visto anche Antonio Gramsci e Leon Trockij, forse con uno sguardo un po’ più duro ma così ha voluto la macchina della post-produzione mitopoietica, forse è giusto che paiano così, ma un po’ spiace, li avremmo voluti un po’ meno satanici (vedasi gli NFT n. 376 e 339)

Summa summarum, come moltitudini anche noi lavoratori cognitivi a tempo pieno, vogliamo decolonizzare lo spazio cripto e non lasciare l’esoterico (che nel nome cripto stesso è incluso) sempre nelle stesse mani, che ha un grande potenziale trasformatore e forse ci sono occultati dentro mezzi di cui può essere socialmente utile dotarsi in nome di una trasformazione della società in direzione del comunismo – certo ci hanno già provato e ottenuto solo ripiegamento, ma riproviamoci come i cosmisti russi 4.0, se no il cosmo se lo prendono anche quello, micro e macro.

THANKS FOR READING! (: (: (:

Read before (we’re all) burning

ARTOLDO crypto (Wundersaar feat. Chripto)

© GIFs / Images di Wundersaar &Chripto

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