Petronio contemporaneo, Arbiter elegantiae antagonista della modernità liquida, Lino Ieluzzi è un baluardo di ordine e bellezza in un tempo in cui l’eleganza è considerata spocchia e lo stile vacuo intellettualismo.
Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra. (Isaia 2, 4)
La sua boutique è un trionfo di colori, di barocchismi, di sfide. Si entra e si respira un’aria tutta nuova. Piccole stanze collegate da stretti corridoi (con gli zaini quasi non si passa). Superato ogni corridoio si ritrovano stanze inaspettate, recondite, ritratte: quando vengono scoperte, però, sono un’esplosione di colore e stravagante eleganza. Il dandismo di Wilde o di d’Annunzio, il saper vestire unito al saper osare. Quella sprezzatura che, da Baldesar Castiglione allo stile dell’Avvocato Agnelli, caratterizza i Grandi.
Ci serve un commesso serioso, ma ironico.
Distinto, con un gessato grigio.
Dovevamo comprare una cravatta.
Nella parete variopinta, troviamo quello che stavamo cercando. Una cravatta gialla con decorazione in Paisley. Poi, uscendo, salutiamo Lino Ieluzzi, solare, gioioso, trabordante, elegante. Un mito. Un profeta.
Non è difficile notare che Lino Ieluzzi – profeta dell’Estetica Audace, magister della Sfacciataggine, cavaliere del Bello – utilizza una serie di parole e sintagmi piuttosto ricorrenti.
Parla per aforismi, visioni, parole gettate nel buio come lanterne che illuminano una via tortuosa e oscura. Dietro a quella frammentazione sintattica c’è la chiara intenzione di far prevalere il Concetto, il Verbo. Come facevano i profeti.
Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro. (Isaia 5, 20)
Ho isolato una selezione di lemmi ieluzziani, per una più accurata indagine del vocabolario di Lino Ieluzzi.