Morte della musica
La Musica – quella dei Visionari – è morta con Battiato. Qualche ultimo profeta, reduce degli stermini discografici – ancora vaga in deserti remoti, vestito di pelli di cammello, a divorare grilli e cavallette, a gridare (o cantare) inascoltato:
Max Gazzé, Tuttifenomeni, Colapesce/Dimartino, Morgan. Successi momentanei, comete.
Oppure colossi in frantumi. O, ancora, nullità assolute, dalla voce potentissima ma inudibile.
La Musica – quella dei Romantici – è morta con Battisti. Qui i sopravvissuti all’Apocalisse sono qualcuno in più. Della Vecchia Guardia spicca Grignani, giovane angelo pentito. Tra i giovani ci sentiamo di salvare Fulminacci, reazionario mascherato.
Lei
E poi? Poi c’è l’Olimpo dei vivi. La cui unica Giunone porta il nome di Mina. La tigre di Cremona.
Ritratta, nascosta, obliata in terre remote – dicono in Svizzera –, Mina ha fatto perdere le sue tracce ormai da decenni. Lasciando palcoscenici e riflettori. Esprimendosi per note telegrafiche, epigrammatiche. Con la velocità della lama di Marziale.
Ho vergogna a scrivere il suo nome. Da suo concittadino, come tutti i cremonesi, troppo spesso mi sono riempito indegnamente la bocca del suo nome. E, come ogni cremonese, anch'io conosco qualche storia sulla Diva. Conosco la sua parrucchiera. E lo zio di un amico sembra averla frequentata qualche anno, in gioventù.
Leggende. Mina non è mai esistita. Mina è Dio. È la personificazione dell’amore.
Come tutte le leggende, anche Mina è scomparsa in una nube di fitto mistero. Probabilmente nella nebbia. Alcuni dicono di aver visto la sua ombra aggirarsi tra piazza del Comune e via Solferino, immersa in una coltre di nebbia. La nebbia della sua Cremona.
«Se una voce miracolosa non avesse interpretato nel 1967 “La canzone di Marinella”, con tutta probabilità avrei terminato gli studi in legge per dedicarmi all'avvocatura. Ringrazio Mina per aver truccato le carte a mio favore e soprattutto a vantaggio dei miei virtuali assistiti». Fabrizio de André
Mina consacrò al successo canzoni straordinarie, da La canzone di Marinella
di Faber a Il cielo in una stanza
di Gino Paoli. Una voce radiosa, profonda, assoluta e assolutizzante.
Il suo ultimo concerto risale a più di 40 anni fa. Era il 23 agosto 1978 e a Bussoladomani, Viareggio. Poi il nulla. Escono una marea di dischi, ma Mina scompare totalmente dalle scene. Si fa vedere sempre di meno. Le foto sono sempre più rare. Si congela il tempo. Come i kouroi. Sorriso arcaico. Sguardo arcano. Nel ghiacchio dell’Alpe svizzera si preserva quella bellezza così non-convenzionale, così struggente.
Ma la tigre è tornata a ruggire
Nel nuovo album di Blanco, Innamorato
, spicca, tra le tredici tracce, la terza: Un Briciolo Di Allegria (con Mina)
.
L’album, di per sé, conferma un processo di maturazione artistica di Blanco, che non si riduce al giardinaggio sanremese. Blanco non si snatura, ma raddoppia. Rabbia, vergogna, vomito continuo. Una malignità angelica necessaria, che sfocia fino al sangue. A Blanco bisogna concedere l’onore – e l’onere – dell’onestà. Così, racconta la sua Anima Tormentata
(primo brano dell’album). Continua con una nettissima citazione minoica
: Ancora, Ancora, Ancora
è il titolo della seconda canzone dell’album. Lo stesso titolo della canzone scritta da Malgioglio per Mina nel 1978. Breve climax ascendente che ha come acme Un Briciolo Di Allegria,
la canzone che vede il feat. della Tigre.
Poco ci interessa l’attenta disamina del resto del disco. La filologia la lasciamo agli accademici – che non ci piacciono –, dunque mi rifiuto in questa sede di entrare nello specifico di ogni canzone del Nostro. Ci limitiamo a elencare le altre canzoni: Lacrime Di Piombo, L’Isola Delle Rose, Innamorato, Scusa, Fotocopia, Giulia, La Mia Famiglia, Raggi Del Sole, Vada Come Vada.
Blanco, riassumendo, snocciola il suo vissuto con l’acerba maturità di chi ha vent’anni. Ma è bello, perché onesto. Ma ora veniamo a ciò che ci interessa.
Un briciolo di allegria
Il dialogo generazionale, la voragine temporale, si snocciolano in un confronto sublimato, celestiale, angelico. Blanco, angelo decaduto, e Mina, arcangelo con tanto di sciabola – come le tigri della preistoria, del resto. Il pezzo si apre con invocazioni angeliche, cori delle falangi. Segue uno straniante – tipico – falsetto blanchiano. Entra Lei. Esplode.
Dove il Cielo è bordeaux / Immerso nel verde / Dove Dio creò / Distese di niente
In quattro versi c’è tutto: natura, provincia, visione, criptocristianesimo. Insomma, Blast!
Poi il duetto/duello. Due mondi che si scontrano trovando una congiunzione astrale (o lunare) favorevole.
“Darei la mia vita / Che non è infinita / A un prezzo onesto”
(Due secoli l’un contro l’altro armati: ma Mina immortale lo è per davvero).
Ma per fortuna che / Che poi ci siamo trovati / Sotto un chiaro di luna / Forse un po’ stropicciati / Da una storia vissuta /Poco dopo eravamo /Stesi sopra una pietra / Coi capelli in mano come una matita
Un incontro fortuito, felice, generoso. La luna crea la cornice ideale: e una Mina che si dice stropicciata – pur sapendo di non esserlo – prende per mano un giovane che vuole arrivare al Paradiso.
Eppure questo dialogo irenico – che sembra svolgersi tra l’etereo e la provincia (Blanco è bresciano, Mina cremonese e Michelangelo, il produttore di Blanco, è di Vescovato, in provincia di Cremona – e la città di Vescovato è citata nel brano “Innamorato”: «Innamorato delle stelle che ogni notte poi ci spiano dall’alto / Mentre noi cantiamo in balcone a Vescovato») – non è mai avvenuto.
Blanco ha dichiarato di non aver mai incontrato Mina. Di non averla neanche sentita per telefono. Anche nel videoclip, Blanco – in blanco y nigro, in stile noir – corre per stanze, corridoi e giardini alla ricerca di un’ombra dalle fattezze della Tigre. Mina è rimasta nella sua torre eburnea, non si è manifestata nemmeno questa volta.