Droga. Roba. Dose. Polverina. Bamba. Coca. Acido. Vizio. Stupefacente. Narco. Neve. Adam. Molly. J. Bomba. Speed. Cinese Rosso. Uccello Nero. Panetto.
Se perdonerete l’ozarkiana1 lista di sinonimi della droga (sì, confesso che mi ha dato una mano pure la Treccani, così ci capiamo subito: no, non ne uso, ma sì, guardo serie su di essa), mi concentrerei sull’ultimo dei nomi. Panetto, in inglese Brick
. Generalmente si usa per indicare droga, anzi “ero”, ma in ambito cinefilo ricorda ai più uno e un solo film.
2005. Soleggiata, ma fredda, popolata, ma deserta, povera e madama California: la scenografia di quello che è un thriller, un noir, ma teen. Brick è uno di quei film maledetti dal voluto anatema dello stesso autore. Come Teti decide il destino del figlio, Johnson, famoso per aver diretto i minuti che collegano inizio e fine dell’ultima trilogia di Star Wars (esatto, non è una metonimia, proprio non me lo ricordo nemmeno il titolo da quanto era brutto), il migliore – Cena con Delitto (non a caso), Looper e Brick per l’appunto, sa cosa sta letteralmente incollando alla pellicola della propria opera. La ricercata e difficile capacità dello zero. La somma data da più uno e meno uno. Il tutto e niente.
L’impronta del film è teen, ma potrebbe guardarlo anche il centro Auser di San Martino Siccomario. Ha noir, ha giallo e qualche goccia di sangue in tutto il film. Questi colori vi ricordano la bandiera tedesca? Non è un caso, perché c’è una punta di espressionismo, ma la mansuetudine dei personaggi ne smorza la fioritura. Finisce con un pareggio, ve lo dico. Tutto sembra, tutto non è. Mentre seguiamo un giovane Joseph Gordon Levitt che cerca di capire chi ha ucciso la sua ex, lui si districa con la sola intelligenza sua e del suo amico, Brain, il cui nome è tutto un programma, nel risolvere un rompicapo che collega squallidi e infidi personaggi nel vano tentativo di reggere una sceneggiatura che potrebbe bastar leggere. Tanto vale chiamarla sceneggiapura2, senza dimenticare che i toni del regista vi faranno sentire mille sapori e mai sazi. Questo è un magico break-even.
La famosa strada in cui Brendan comprende stia succedendo qualcosa.
Colonna Sonora
Mi piacerebbe vedervi, dopo che sarete andati su Prime a vederlo (sarebbe ora di cominciare ad essere pagati). Mi piacerebbe sì, in un corridoio del centro commerciale, sentire quel metallofono che orienta su di voi un peso geofisico dato dal mistero delle vostre ultime settimane. Così che perfino la cassiera non è più carina mentre vi domanda come mai non avete comprato il cubo di Rubick in offerta al reparto omicidi.
Caratteristico è come ogni personaggio goda di una propria musica, dalla tastiera di Laura, ai misteriosi fiati di Cara e al cool jazz del Perno, un personaggio che non fosse per la natura contraddittoria di Brick diventerebbe un McGuffin tra le mani di un Hitchcock qualsiasi.
Va bene, mi do una calmata, ma Brick n’è pregno di temi musicali: composta dal fratello del regista, la colonna sonora è delicata e inquietante, pur non avendo particolari scene di pathos omicidiario comunica con grande estro anche la situazione sentimentale che il turbato Brendan vive a causa del suo amore per la ragazza uccisa. Da turbato a conturbante è un attimo: da subito sa che è stata uccisa, che quello che è successo non è un errore. Dio non voglia abbiate una campanella a vento a casa vostra, oppure vi sembrerà di doverne uscire perché il cerchio si sta stringendo; che appaia una pistola o una femme fatale fa poca differenza.
Donne
Tra morte e vive il film è caratterizzato da una variegata rappresentanza di donne, nelle quali il regista ripone tutto. In-nocenza, in-ganno, in-quietudine, in-nato amore o in-naturale morte. In- sta per qualcosa che è dentro, ma tutto questo verrà sparato fuori contro il ragazzo, che ad ogni ora che passa sta sempre peggio. Dentro e fuori, tutto e niente, o tutto e il contrario di tutto se preferite. Femministe delle cancellanti culture a parte, trovo bello che in Brick sia la donna l’inizio e la fine, il buono e il cattivo, perché in fondo abbiamo litigato tutti con nostra madre, ma cazzo se l’amiamo. Bianca o nera, giovane o vecchia, tagliata o pura, cocaina o eroina il casino è iniziato, come il film.
Scenografia e stile registico
Qui arriviamo nel cuore, qui arriviamo nell’anima e stiamo ancora cercando un assassino. Per noi la serenità viene interrotta dall’imprevisto, dalla tristezza, ma in Brick non esiste nessun sentimento o sensazione che non sia riconducibile al mistero o all’inganno. Niente di queste cose, niente interruzione, si vive costantemente in un limbo composto da immagini e personaggi che sanno di fumo di sigaretta e stanno appesi come scheletri nell’armadio.
Avrebbe potuto girarlo in bianco e nero, Johnson, ma perché, quando una stanza o una scuola deserta ti danno il brivido per un qualcosa di raramente vissuto? I parcheggi, i cassonetti dei magazzini, i corridoi esterni delle scuole con gli armadietti come vasi comunicanti tra studenti dai visi dipinti da un impressionista. Nulla ha un’identità, forse per far spazio alla cerchia di attori su cui si regge il detective film che Brendan squadra, studia e analizza conoscendone le prossime mosse, astute o non, sempre intorno ai soliti soldi. Questo affascina, ma scotta.
La freddezza dello scenario è perlopiù voluta, perché la drammaticità della trama esca fuori meglio, se non coinvolge feste studentesche con scene e dialoghi molto teen. Il cielo è plumbeo, i dialoghi quasi sempre decisi, a volte spinti al limite della digestione da inquadrature capovolte o dal basso. Fine, conclusione, epilogo, sì, certamente, un film, solo un film da vedere. Dicono non importi la meta, ma il viaggio. Perché le risposte sono sempre potere e avidità. Soldi. Grana. Contante. Capitale. Gruzzolo. Pecunia. Baiocchi. Cucuzzi. Dindi. Quattrini. Verdoni. Sì, insomma, se di ozarkiana memoria vivrete, allora Brick vedrete.
1Ozarkiano: genere moderno di film noir, con filtro parzialmente blu, che comunica rimembranze associative al…. avete sentito quello sparo?!
2Sceneggiapura: una sceneggiatura così buona che basterebbe anche leggerla senza vederla filmata. Ceci n’est pas un film.