Russia, Ottobre 1993
Limonov e Dugin sono in piazza. Gli OMON, la polizia antisommossa e antiterrorismo russa, circondano la Casa Bianca. Difficile dire se si aspettassero la folla esaltata che si presentò. Migliaia di persone con bandiere rosse e molto incazzate. Simpatizzano tutti per gli assediati: sono i Costituzionalisti, ovvero il generale Ruckoj e i suoi fedelissimi.
El’cin, assieme ai suoi Democratici
, ha tentato un colpo di mano e cercato di sopprimere il Soviet Supremo della Federazione Russa (in sostanza il Parlamento). La spaccatura è evidente. Da un lato i nostalgici dei Soviet, invocano i tempi dell’Unione e gridano alla dittatura.
Sono frequentemente provinciali, vengono dalla gublinka (la Russia più sommersa e interna), che hanno mal digerito Gorbaciov e la Perestroijka e, in mezzo a loro, si trovano anche molti che fino a poco tempo prima si sarebbero potuti definire fascisti: sono le avvisaglie di ideologie inedite, sincretiche, ma soprattutto anti-americane e patriottiche.
Il clima è decisamente teso.
Questa divisione, grossomodo, ricalca rispettivamente le posizioni favorevole e contraria alle riforme liberiste del neo-presidente El’cin, che, sostengono i costituzionalisti, stanno portando il Paese verso un genocidio economico
e ad una disgregazione ancora più accentuata. È una forzatura non da poco quella di Boris, che con una zampata mette in crisi la fragile democrazia russa ma lo scontro interno tra le diverse fazioni dello stato profondo doveva risolversi in una qualche forma di sintesi.
Il parlamento democraticamente eletto finirà sacrificato all’altare della democrazia…
Limonov era tornato dai Balcani per salvare il suo Paese. Ha lasciato le milizie serbe nelle quali combatteva per cambiare la sua Russia. Gli sembrava l’occasione della vita. Perché Limonov è stato un personaggio che ha sempre sognato di fare qualcosa di grande, ha sempre vissuto lo spauracchio di essere uno dei tanti (nella politica, nella scrittura, nella vita) e ha fatto di tutto per non diventarlo, a costo di servire come maggiordomo per un riccone americano – non è una metafora. Era tornato per regolare i conti coi criminali che hanno distrutto il suo impero, portato alla rovina il suo Paese consegnandolo agli stranieri.
Per lui era ovvio: se l’Occidente sostiene El’cin, El’cin è il nemico. Quelli hanno un solo obiettivo: vedere la Russia in ginocchio. Nonostante tutto, Limonov fu un acerrimo nemico di Putin.
-Vladimir Putin (ma anche Eduard Limonov)
La caduta dell’Unione Sovietica è stata la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo
Russia 23 Giugno 2023
A poche ore di distanza dal proclama di Prigozhin la situazione appare ancora confusa. La Wagner, dopo anni di fedele servizio a Mosca, avrebbe girato i fucili dall’altra parte e marciato in direzione di Rostov-sul-Don.
Il prossimo obiettivo? Mosca, pare.
La situazione evolve di ora in ora. Le prime immagini che arrivano sono già meme. Il netturbino che continua a fare il suo lavoro imperterrito, i soldati della Wagner ci fanno l’okay mentre sorseggiano una bevanda ristoratrice, il primo canale russo che trasmette un documentario su Silvio Berlusconi…
A proposito di immagini, in una notte l’immagine del capo della Wagner in Occidente è stata stravolta in barba alle solite fanfaronate che ci vengono propinate quotidianamente su diritti umani e democrazia. Vince la massima il nemico del mio nemico è mio amico
. E se Prigozhin è nemico dell’esercito russo, Prigozhin è amico nostro. Si è visto sopra che anche El’cin seguì una parabola ascendente di questo tipo: da burocrate sovietico, grigio e oscuro nelle sue posizioni, a campione di libertà nel momento in cui si mise ad accelerare la dissoluzione dell’URSS e a bombardare il Parlamento.
El’cin divenne, da quel momento in poi, un buon presidente, un interlocutore fedele nella narrazione d’Occidente. Le conseguenze nefaste che ebbe quel processo per la Russia, Limonov le intendeva tutte.
La Russia spaventa quelle fighette degli occidentali solo se è impero, solo se è in grado di proiettarsi verso il suo estero vicino e preservarsi militarmente. Da questo presupposto, ogni individuo che mina la stabilità russa assume nel mondo occidentale caratteri democratici, amichevoli, libertari, liberali, progressisti, eroici.
Prigozhin ha varcato il Rubicone prendendo Rostov-sul-Don. Lo avevamo già scritto: quest’uomo ha superato in pochi mesi tutte le linee rosse imposte nella storia della Russia putiniana.
Con il suo messaggio rivolto alla nazione, il presidente Putin ha rievocato un parallelismo storico con l’anno 1917 quando la vittoria fu rubata:
la marcia dei bolscevichi contro Kerenskij e la presa del Palazzo d’Inverno portarono alla disastrosa pace di Brest-Litovsk (il primo trattato di pace della Grande Guerra) che, nella narrazione del presidente Putin, avrebbe privato il paese di una possibile vittoria nella prima guerra mondiale. Prigozhin incarna un tentativo di golpe analogo all’Ottobre rosso del 1917, seguito da una pace-sconfitta firmata con la Germania nel 1918: una delegazione guidata da Trostky venne letteralmente piegata da quella del suo omologo Hoffmann, un fatto che costò alla Russia la perdita di molti territori (Finlandia, Ucraina, repubbliche baltiche…)
Per Putin Prigozhin è la personificazione di quello scenario. Ordunque, non è più il capo-orco che razziava Bakhmut, ma un uomo politicamente utile, la creatura che si ribella al creatore come nel romanzo di Mary Shelley.
È abbastanza chiaro che i media italiani stanno già ri-caratterizzando il cuoco di Putin
con appellativi completamente diversi rispetto ai mesi precedenti, secondo un copione ormai scontato: non importa chi sei, ma con chi stai.
Un esempio lampante di questo canovaccio è stata la rivalutazione ideologica del neonazismo ucraino che c’è stata nei nostri media fin dai primi giorni dell’invasione: non neonazisti, ma patrioti, non hitleriani, ma kantiani, non demoni, ma angeli che scelgono di stare dalla parte di Dio (epico, in questo senso, il paragone proposto da Gramellini tra un neonazista di Azov e Schindler sulla tv nazionale)
Fare gli interessi occidentali significa firmare un contratto in bianco a livello mediatico: chiunque tu sia verrai rivalutato con tutti gli escamotage possibili. E Prigozhin è stato rivalutato in una manciata di minuti: da braccio armato del Cremlino a ‘ribelle anti-putiniano’, da incompetente capo dei mercenari a coraggioso insurrezionalista, da venditore di hot dog e crauti a statista militare, da terrorista
(così l’Assemblea Nazionale francese e l’UE avevano definito la PMC Wagner e il suo fondatore) a utile pedina anti-russa contro ogni pronostico.
Lo stesso presidente ucraino Zelensky subì nella nostra narrazione una repentina transunstanziazione dopo l’invasione russa: il Beppe Grillo di Ucraina (così lo ha etichettato con fare dispregiativo la nostra stampa per due anni e mezzo) diventò improvvisamente l’uomo che difendeva la democrazia in Occidente, divenne noi.
Da El’cin a Prigozhin, passando per un’infinità di personaggi in questi trent’anni, lo schema narrativo è sempre quello.
Russia 24 Giugno 2023, tardo pomeriggio
Allarme rientrato, Lukashenko ha mediato. Non ci resta che attendere per capire cosa succederà. Se ci fidiamo dei pacifisti nostrani: una guerra civile con Prigozhin al Cremlino e, di nuovo, la caratterizzazione del suo personaggio invertita dai media. Se crediamo a quello che abbiamo visto: la riorganizzazione della Wagner, una nuova offensiva russa e, chissà, se non è questa la volta buona che finalmente vincano.
p.s. oh, una guerra civile la aspettiamo in casa nostra