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CLUB DOGO: ELOGIO DELLA TEPPA

CLUB DOGO: ELOGIO DELLA TEPPA
Lettura boomer
Il sogno di ogni zanza si è avverato. Venerdì 12/01/2024, all’una di notte, è iniziata la festa nazionale dei maranza, perché è uscito il nuovo album dei Club Dogo. E se i maranza, come abbiamo già spiegato, sono la prima forza rivoluzionaria di questo Paese, allora certi politici farebbero bene ad ascoltarsi la loro musica invece che demonizzarla. Quale occasione migliore del ritorno sulla scena del cane a tre teste che ha fatto impazzire la Milano underground?

Un ritorno, quello dei Club Dogo, su cui rimane qualche dubbio. Personalmente non ho visto da parte dei tre artisti coinvolti, Guè in primis, tutto quel trasporto emotivo che ci si sarebbe aspettati quando rispolveri una parte importante della tua vita. Alcuni fan, soprattutto in seguito all’annuncio della data a San Siro che in un certo senso “taglia fuori” tutti gli acquirenti delle dieci date al forum, parlano di “gigantesca operazione economica”. Le polemiche sono anche legittime, non bisogna essere dei ciechi fan boy, ma sono sicuro che Jake risponderebbe così: 

“Sbarbato, ti hanno detto che tutto è sbagliato. Che per i soldi non l’hanno mai fatto, sembra che fanno il volontariato”

Club Dogo

Passando al lato musicale, l’album sembra presentare al mio orecchio inesperto delle sonorità abbastanza classiche dei Dogo, il che è apprezzabile in un momento dove più o meno tutti hanno inseguito la trap o si sono “imborghesiti”, alleggeriti, si pensi agli ultimi album di Marracash o di Massimo Pericolo. Unica nota stonata, probabilmente, è il featuring di Sfera Ebbasta: non per la collaborazione in sé, ma perché Sfera poteva anche provare a rappare invece di fare la sua solita roba frufrù con l’autotune. Lo stacco tra le strofe di Guè e Jake e quella del Vate di Cinisello infatti è abbastanza traumatico.

Più o meno lo stesso mi sento di dire nel caso di Soli a Milano con Elodie: una canzone con due ottime strofe, una bella base, e il ritornello della pop star non sembra starci benissimo. 

Parlando di testi, non mancano nell’album i riferimenti sociali. Il rap da sempre rappresenta fasce del Paese che non si riconoscono nella politica e nelle istituzioni, si pensi al primo Marracash che cantava “sinistra o destra, resta una trappola per topi”. I nuovi Dogo non fanno eccezione, con Guè che canta “non ti voto, dell’orgoglio italiano me ne fotto” (chiaro il riferimento alla Giorgiona nazionale), ma con questo non si può certo dire che i ragazzi si schierino a sinistra, o comunque non con questa sinistra. E anzi come tutti gli artisti stanno bene attenti a non schierarsi, lo dimostra Jake la Furia che ha parlato della comparsa di Beppe Sala nel video di lancio dell’operazione, spiegando che “non è lì in quanto Beppe Sala, ma in quanto sindaco di Milano”. Volevano ricreare la scena di Batman con il commissario, serviva “il capo della polizia” e hanno pensato al sindaco di Milano, tutto qui. L’immancabile Marracash poi, presente in “Nato per questo”, lancia una stilettata alle forze dell’ordine tirando in ballo la caserma di Piacenza e spiegando come per molti, oggi, il rap sia l’unica certezza. 

Del resto, è uno dei motti che li accompagna da quando sono tornati: Club Dogo is for the people. Uno dei pochi punti di riferimento, in cui ci si può riconoscere, una fonte residua di “ideologia” o presunta tale: il rap. Nel parlare di Sala, Jake è stato anche bene attento a spiegare come “il nemico immaginario” del video fosse “la brutta musica” (“rimo da quando i rapper si vestivano da rapper”) e non la criminalità, perché anzi il progetto Club Dogo è fatto proprio per quei mattacchioni che si arrangiano in qualche modo nella city, lasciando pure indietro quella che è la lettera della legge. 

Per tutti quelli che non si accontentano, di tutti questi brand e di tutte le marchette e le comete che passano dal cielo di Milano e dell’Italiosfera. Qua non stiamo parlando di chi si è ritrovano in terra ostile.

I Club Dogo sono un’esperienza che la vita l’ha vissuta e ritornano per farci risorgere, per un tempo in cui sono tutti morti dentro. Un modo che si è perso ad ogni livello e che ha bisogno di loro. Una critica a 360 gradi quella che emerge dall’album. Perché il male si insinua ovunque. 

“Torno e caccio gli infami via come Gesù dal tempio (Yeah)”

Lei mi dice

Questo è la potenza. Quella cui parla Castellitto in Enea. Perché è real, richiede integrità, è quella che ti tiene vivo. Non solo, mentre Roma è una grande bocca che prima o poi ti mangia, Milano è una città “che ti sputa dopo che ti mastica”. Per questo i Dogo ci mostrano la via.

Il Cerbero, e le tre teste, non solo sono alle porte di Milano, ma vigilano sulla scena. Hanno ringhiato, perché al varco dell’ascolto devi passare con la tua vita e confrontartici: se non ci stai o cambi o muori. Al Nord c’è spazio solo per i Ciarru, per i “Gorilla nella nebbia”. Le bandiere sventolano, quelle della gente, di quelli che seguono il cuore. Di quelli che ne hanno ancora uno che batte o che grazie ad una botta di Dogo (di doge) torna a vivere. Non ci vuole molto, ma ci vuole serietà, vecchio stile? Stile fuori dal tempo perché è quello che conduce la storia.

Questo è il mood dell’album, totalmente back che sono tornati in pista, anzi, sono letteralmente i proprietari della scena.

Qua ogni canzone è un’esplosione, un vero colpo al cuore, che ti fa avere nostalgia, ma soprattutto invita a prepararsi ché la vita è tua e la devi domare.

E quando abbiamo detto la storia, intendiamo proprio la Storia di tutta la musica. Non mancano riferimenti ad altri idoli (e cocainomani):

La canzone che si commenta veramente da sola, per tutta la sua milanesità è In Sbatti. Se nel 2016, col Pagante, ci mettevano un # davanti con il degrado di oggi siamo noi In Sbatti perché “non parlo, no, faccio i fatti”.

“OnlyFans non ti fa un indipendent woman”

Qui i Dogo dicono la verità. Noi siamo d’accordo e ve l’abbiamo anche spiegato perché…

E nella bomba che apre l’album, “C’era una volta in Italia”, sempre Jake fa una chiara dichiarazione d’intenti: 

Questo è l’inno alla marmaglia

O ancora “l’inno di Mameli della gente coi problemi”. I maranza, dicevamo, sono la prima forza rivoluzionaria di questo Paese (si pensi al Fronte Maranza per la Palestina), e allora questo inno alla marmaglia ricorda “l’elogio della teppa” di mussoliniana memoria. Neri non solo nelle grafiche. Ma se per il pelatone le masse erano passive, si facevano ammaliare e possedere dall’uomo di turno, in questo caso sussiste una perfetta identità tra l’alto (i Club Dogo) e il basso (the people).

I Club Dogo escono proprio dalla piazza, con loro la massa: la teppa si fa protagonista e può sentirsi, almeno per un giorno, Regina di Milano.

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