Fashion week, design week, art week, games week, stocazzo week… ogni settimana DEVE essere speciale a Milano. Ma c’è veramente qualcosa di speciale in tutte queste passerelle borghesi? Un nostro agente sotto copertura è stato inviato ad indagare, di seguito il suo resoconto.
Ore 21:00, mi trovo davanti allo specchio indeciso sul da farsi; funziona meglio la cravatta verde o quella marrone? Il cappotto lungo o il Barbour? Ma che ne so. Meglio il Barbour, anzi no, meglio il cappotto lungo, con la cravatta marrone poi è il top, mi fa più alto e misterioso. Anelli. Li metto? Non li metto?
Troppo cafone forse, ma vabbè sono tutti cafoni in effetti a sti eventi.
Sigarette, chiavi, accendino, portafogli; si esce.
Ore 21:15, fermata della metro, sigarette fumate: 0. Metto la mano nella tasca interna della giacca per prenderle e mi rendo conto che c’è un intruso: un taccuino con annessa penna; maledizione chissà da quanto è nel cappotto, vabbè, poco importa, me lo porterò dietro.
Ore 21:50, sono arrivato in periferia. In mezzo ad una distesa grigia di palazzine anni ’70 e capannoni semi-abbandonati
noto una lunga scia tipo esodo di guitti variopinti e luccicanti, paillettes, calze a rete, glitter, camperos argentati… il mio fiuto mi suggerisce che la sfilata sia da queste parti.
Seguo il caleidoscopio e questo mi porta ad una interminabile fila che si protrae fino ad uno dei capannoni da cui proviene della musica ovattata:
BINGO.
Ore 22:15, sigaretta numero 3, la fila è immobile. Mi trasformo in una spia del KGB: devo mimetizzarmi, infiltrarmi, conversare e trovare qualcuno con un invito a tutti i costi.
Familiarizzo con wannabe soubrette e “modelle”, fotografi sottopagati, stilistucci dalle insaziabili brame e tutta una lunga serie di altri personaggi appartenenti al sottobosco modaiolo della irrespirabile Milano.
La fila inizia a marciare man mano più velocemente tra le urla e gli strepiti generali che esplodono ogni qual volta passa una “celebrity” di terza lega. Ad un passo dall’entrata incontro un gruppo di studentesse marangoniane, una delle quali ha un pass in più, il buon dio me l’ha mandata buona:
mi avvisano che all’interno c’è l’open bar.
Ore 23:00, sigarette fumate: 5, citando Foucault:
“datemi del liquore altrimenti soffoco”.
Altra fila, prendo 2 Negroni e inizio a sorseggiarli con voluttuosa scroccaggine.
Mi sento come Robin Hood, ora posso cercare la vita intelligente.
Il luogo è sconfinato, “la plebe” però può visitarne solo una parte: un limitato recinto che va dall’entrata fino alla ex- passerella ora sala da ballo, delle scale portano poi ad una zona sopraelevata e difesa da un esercito di lanzichenecchi in cui posso solo immaginare cosa ci sia.
Ore 00:00, Negroni: 3, sigarette: 8, devo ammettere di avere i sensi abbastanza alterati, non per alcol, ma per le conversazioni, che si ripropongono periodicamente come un eterno ritorno.
“Amo, fucking adoro la tua cravatta marrone” “Slay, Queen” ”Oddio, ma quella è la bassista dei Maneskin”.
Sento la gola sempre più secca, allora mi ripresento al bar che è assediato da una massa informe di carne che mi ingloba completamente. Il tempo si ferma.
Non riesco a muovermi e non ho nulla per passare il tempo se non fissare la fila che lentamente, molto lentamente, avanza o tentare di staccare a morsi la coda di procione appesa al cappello del gentiluomo dinnanzi a me. I minuti passano infiniti, forse passa mezz’ora, non lo so, non ho fisicamente accesso a nessuna tasca tranne quella interna vicino al petto, ci infilo la mano tanto per e trovo il mitico taccuino. Sono salvo. Lo sfilo dalla giacca e inizio a fare qualche disegnino per distrarmi.
Quando ormai ho riprodotto Guernica a memoria sento una mano poggiarmisi sulla spalla, mi giro e vedo un dio greco alto circa 2.15m con degli zigomi tanto affilati da poter tagliare il burro che mi fissa e mi chiede
Percepisco il vuoto che si cela dietro le sue pupille. Chiudo di scatto il quadernino e sento un brivido gamblizzardo lungo la schiena poi con un ghigno sussurro “of course, of course I’m a journalist”.
Il bennato rimane incantato e inizia a chiedermi del più e del meno della mia professione, mento spudoratamente su tutto fabbricando una storia piuttosto credibile su una internship per una nota rivista di moda la quale mi ha inviato per riportare della sfilata, a tutto ciò egli risponde annuendo con una sfilza di calorosi
“ORRAIT”.
Ore 00:45, Negroni: 5, sono fuori a fumare la sigaretta numero 11 con quel simpaticissimo palo della luce britannico che mi ha preso sotto la sua ala chilometrica e mi presenta a chiunque come “my friend, the journalist”, ammetto che a questo punto sono brillo ma al grido “let’s get some champagne” davvero non posso resistere.
Ore 01:15, sono ufficialmente entrato nella zona “vip” dai vetri oscurati dove la creme della creme fa la doccia nelle bollicine,
fortunatamente il cibo è per lo più intatto (ricordo che è una serata di modelli), arraffo qualche tartina vegetariana,
ma non trovo i bignè, il che è un gran peccato, li avran finiti, il che spiegherebbe perché hanno tutti il labbro superiore sporco di zucchero a velo, vabbè mi accontenterò dello champagne.
Il mio amico mi chiama e mi introduce alla cricca che poco prima aveva sfilato, la quale nella sua eterogenea interità è piuttosto trepidante nel voler conoscere l’opinione della stampa italiana. Uno di loro chiede disperato “hai visto la modella che è caduta” io (che la sfilata non l’ho vista nemmeno col cannocchiale) rispondo “pensavo fosse fatto a posta, studiato, programmato” “NO NO E POI NO, era una caduta genuina, vera, un errore sincero” gli credo sulla parola
da lì monopolizzo la conversazione per i seguenti 15 minuti annunciando una profezia tipo Zarathustra sul futuro della moda “tra 20 anni non ci saranno più modelli, il povero vuole solo il capo col logo e non gli interessa vedere com’è indossato, il ricco vuole sempre più l’abito su misura e quindi il modello diventa inutile” la supercazzola (s)fila liscia come olio e addirittura mi invento una risicata storia di nepotismo (sarei il pronipote dell’editore).
Non riesco a credere che davvero se la stiano bevendo, ma funziona, ho addosso un cappotto preso all’usato di 5 taglie più largo e sto spiegando a dei modelli come funziona la moda, pendono dalle mie labbra. Jouissance, orgasmo.
Ore 03:00 Negroni: 5, sigarette: circa 15, non lo so, 4 o 5 bicchieri di spumante, usciamo fuori e ci accendiamo un sigaro magico, a quanto pare si stanno annoiando e mi propongono di spostarci in un altro locale, le mie funzioni vitali sono ridotte a quelle di un nudibranco, ma, con la compostezza tipica di un giornalista del calibro di Montanelli riesco a rispondere affermativamente alla proposta (l’alternativa sarebbero state probabilmente 2 ore di camminata dalla periferia fino a casa mia).
Un NCC nero ci carica e ci porta fino ad un locale al quale rimaniamo per le seguenti 2 ore circa.
Alla nostra uscita questo ci aspetta, accompagna ciascuno dei modelli a casa i quali mi abbracciano fraternamente chiedendomi per favore di contattarli non appena il mio articolo verrà pubblicato. Rimango da solo con l’autista al quale confesso la mia disavventura e chiedo se può accompagnarmi a casa.
“Sì, è tutto pagato dall’agenzia tanto”.
Ore 06:00, le prime luci della giornata illuminano via Vincenzo Monti, sono spaparanzato sui sedili posteriori come un nababbo e il rimbalzare del mercedes sul porfido mi massaggia piacevolmente la schiena.
Siamo arrivati. Mi precipito in casa barcollando come un salöm, tento di buttarmi sul letto, lo manco, ma fortunatamente i vestiti che ho lasciato a terra la sera prima attutiscono la caduta.
Potrei davvero scrivere un articolo su quella sfilata, non sono il genere di persona che conta balle.
Gli uccelli cinguettano e la vicina si sporge sul pianerottolo mentre esce di casa, il Giovin Signore si addormenta, l’oblio e l’incoscienza lo attendono.