Per registrare il tutto però ho bisogno di una mano e mi rivolgo ad una persona che, essendo un artista, sono sicuro che non abbia un cazzo da fare: il rapper Simon Pinkman. Pinkman infatti ha fornito il supporto audio per questa intervista.
Arrivati da Edoardo dopo un lungo viaggio sulla linea B, veniamo accolti nel suo ufficio. Ci accomodiamo e ci viene offerta dell’acqua.
L’intervista può finalmente iniziare.
Edoardo Ferrario, credi che i tuoi personaggi altoborghesi come Pips abbiano segnato un punto di svolta nella comicità romana, nel senso che prima i comici a Roma interpretavano solo personaggi coatti? Credi che questo sia dovuto solo a un fatto generazionale?
Edoardo Ferrario: Quando ho cominciato a fare il comico tutti i comici che vedevo facevano il personaggio o del coatto o di quello che non andava bene a scuola ecc., ed erano tutte cose che io sentivo molto lontane da me, perché io non ero coatto, andavo bene a scuola, sono nato alla Balduina ecc., però c’avevo molta voglia di fare il comico, quindi quando ho iniziato a scrivere i miei primi spettacoli tutti i personaggi di cui parlavo erano tutte persone che io avevo conosciuto. È molto difficile raccontare cose comiche inventandosele, ognuno parla di cose che conosce, quindi parlavo di cose che erano a me molto vicine: parlavo dei miei compagni di scuola del Mamiani o di persone che conoscevo della Balduina.
Facevano parte della borghesia, non è che raccontassi degli aristocratici ma erano personaggi all’epoca molto poco rappresentati perché quando ho iniziato a fare il comico la comicità era solo televisiva e in televisione funzionavano le cose più semplici, se dovevi fare un personaggio romano, il romano doveva dire sempre AO MA CHE CAZZO STAI A DÌ.
Io soffrivo molto perché volevo rappresentare una cosa diversa e mi son detto:
Perché non interpreto uno studente di Storia dell’Arte che come il mio compagno di classe s’è fatto un botto di canne prima dell’università?
Mi piaceva anche che fosse un po’ provocatorio perché mi rendevo conto che erano personaggi meno accessibili del classico coatto, e mi sono accorto che c’era molto interesse per questi personaggi da parte del pubblico, che nel frattempo aumentava. Col tempo è anche diventato il mio personaggio comico: quando salgo sul palco faccio il bravo ragazzo che si sente inadatto alle situazioni e dice la cosa sbagliata. A me diverte molto di più raccontare quello stile di vita borghese
perché è il mio stile di vita e penso che la comicità sia ovunque e si possa rappresentare in mille modi diversi: il romano non è solo quello che ruba il motorino e va fare gli strappi alle vecchie.
I meme sono un prodotto comico in alcuni casi decisamente più di nicchia dei tuoi spettacoli (come ad esempio quello su Netflix che può essere visto da milioni di persone in tutto il mondo), per questo essi sono fruibili a un pubblico più ristretto e accanito su certi temi. C’è mai stata una battuta che per la sua pesantezza non hai voluto o potuto portare sul palco ma che, ripensandoci, avresti potuto utilizzare per fare un meme, sfruttando anche l’anonimato?
Edoardo Ferrario: Onestamente no, perché tutte le cose che mi fanno ridere le porto sul palco: quando faccio una battuta mi chiedo sempre se avrò il coraggio di rifarla davanti al pubblico e se una cosa mi fa molto ridere alla fine risentendola il coraggio mi viene e quella battuta sul palco ci arriva. Io poi considero il mio pubblico abbastanza intelligente da capire che sto facendo satira, non penso che si possa offendere per ciò che dico, anche se tocco temi sensibili lo faccio in maniera tale da far capire che prima di farlo c’ho pensato molto. Anzi, mi dispiacerebbe un po’ sacrificare tutte le battute che penso per i meme, tra l’altro secondo me bisogna saperli fare i meme, c’è una saturazione di contenuti fatti malissimo sui Social, ma quelli fatti bene per me ormai rappresentano un genere letterario (o filosofico) e lo sono a tutti gli effetti, perché ci sono varie scuole. I meme sono un linguaggio che è giusto che esista e come qualsiasi forma d’espressione vanno saputi utilizzare. Non tutti sanno fare bei meme, tra questi ci sono io e li lascio fare a chi è capace.
Parlando di Roma invece, trovi che in questo periodo Roma sia la grande catalizzatrice delle avanguardie, soprattutto comiche, avendo essa scalzato la concorrenza di altre città come Milano, Napoli e Firenze? Pensi che la comicità romana e la romanità siano davvero in grado di rappresentare l’italiano medio, magari a discapito dei comici provinciali?
Edoardo Ferrario: Secondo me Roma ha sempre avuto una enorme centralità, soprattutto nella comicità, perché il modo di pensare romano è comico: è un modo di pensare che ti porta a voler raggiungere il maggior risultato con il minimo sforzo, c’è una pigrizia atavica nel romano
.
Allo stesso tempo questa città ti mette talmente tanta pressione che l’ironia è una delle armi che vanno usate per sopravvivere, anche perché, e qui è un altro discorso, a Roma è già successo tutto: è una città dove ovunque ti trovi vedi una storia che è molto più grande di te.
A Roma non è apprezzato chi arriva e dice E mo comando io
perché a Roma non comanda nessuno, ed è da qui che nasce il fatalismo che è in grado di non far prendere nulla sul serio al romano, un fatalismo che a Roma c’è da tempo immemore e genera comicità, anche da quando questa andava forte a Milano o a Firenze, e a Napoli tutt’ora. Un’altra caratteristica di Roma è quella di avere pochissimi spazi dove però esplodono contenuti.
Il romano rappresenta abbastanza bene tutti gli aspetti dell’italiano medio, in alcune zone del nord gli altoatesini saranno ligi a dovere, ma c’è un po’di romanità in tutti, prova ne è che mi è capitato di andare a Venezia e di sentirmi dire che anche lì gli assistenti di Economia si atteggiavano allo stesso modo del personaggio di Vigna Clara che interpreto nella serie Esami.
Evidentemente c’è una grande verità nel romano anche se ovviamente la bravura sta anche nello scrivere personaggi che siano comprensibili ovunque. È vero però che ci sono città più comiche di altre, credo che la comicità sia data dalla situazione stessa della città: sia Roma che Napoli sono due teatri a cielo aperto, Milano lo è stato per molto tempo, ma ora è una città efficientissima dove girano un sacco di soldi e paradossalmente in un contesto ordinato in cui le cose funzionano è più difficile fare comicità. Io ho degli amici che sono venuti a vivere da Milano a Roma (tipo Maccio Capatonda) perché lì è troppo difficile scrivere qualcosa di comico, funziona tutto troppo bene, è molto difficile fare il comico in città dove tutto funziona perfettamente perché perdi gli stimoli. I comici cesseranno di esistere quando Roma diventerà una città più vivibile. E per questo possiamo aspettare almeno un millennio.
Non abbiamo domande sul politicamente corretto perché ci sembravano scontate, ne abbiamo però una sul meme romano dell’essere fascisti.
Edoardo Ferrario:Ok, sono pronto
In una puntata di Tintoria i due presentatori (Il loro nome non viene citato per decenza) hanno spiegato che secondo loro la gag romana dell’essere fascisti ha origine dal fatto che solo in questa città (Roma) sia molto difficile capire se una persona che dice qualcosa di fascista sia effettivamente di estrema destra o no? Secondo te è solo questo layer a conferire qualità alla gag/meme o c’è dell’altro?
Edoardo Ferrario: Le battute sul Duce fanno ridere perché come tutti i tabù, quando vengono superati, fanno ridere. Quando io ero ragazzino il tabù era rappresentato dalla bestemmia, la bestemmia era una roba grossa che diceva il fratello più grande del tuo amico. Oggi secondo me l’ultimo tabù che ci è rimasto è quello del Duce.
Ti dirò la verità: questo tabù nasce dal fatto che la mia generazione, ma anche la vostra, è cresciuta in un’ epoca in cui governava Berlusconi. Berlusconi veniva rappresentato come la destra peggiore, la destra che annichiliva le buone intenzioni della sinistra arrivando a far pensare alla gente che quelli di sinistra erano tutti buoni e lui era il cattivone che stava devastando l’Italia. Da qui si è originata l’equazione per cui destra=male e sinistra=completamente bene.
In questo senso Berlusconi è diventato un po’ il Duce delle nostre generazioni.
Perciò molte persone, tra cui gente di sinistra, sono cresciute col terrore di essere considerati di destra e di conseguenza cattivi, ma una volta superato questo tabù, avviene una liberazione e si ride molto. Il fatto che al giorno d’oggi si possano fare delle battute di destra, anche sul Duce, non avendo noi mai vissuto davvero il Fascismo o il terrorismo nero, fa davvero tanto ridere perché non percepiamo il pericolo che questi hanno un tempo rappresentato.
Pensi che nel mondo di oggi la comicità e i meme abbiano preso il posto del cinema in quanto diffusori di massa delle idee grazie alla loro immediatezza? C’è secondo te il rischio che le persone prendano sul serio elementi che servono primariamente a far ridere?
Edoardo Ferrario: Sì, i meme e la comicità su internet in molti casi hanno preso il posto del cinema e questa non è necessariamente una buona notizia. C’è una crisi del cinema per varie ragioni, io continuo ad amare le commedie scritte bene ma non ne vedo moltissime. È come se il cinema si fosse trovato a un certo punto totalmente impreparato a un mondo che cambiava, le persone hanno cominciato a vedere film e serie in casa sulle varie piattaforme mentre il cinema non ha avuto la prontezza di rinnovare il suo linguaggio per un pubblico nuovo: per un certo periodo al cinema si son viste commedie tutte uguali che continuavano a puntare sullo stesso pubblico pensando che avrebbero funzionato all’infinito ma non è stato così, ogni tanto arriva qualche fuoriclasse tipo Checco Zalone che fa commedie divertentissime per un pubblico estremamente largo che va dagli intellettuali allo spettatore meno esigente.
Purtroppo però al cinema si vedono spesso commedie che sono sempre uguali.
Io credo che la comicità sia un’arma molto potente, il bello è che la puoi declinare in tanti modi diversi: puoi fare un film comico lungo due ore o un meme. Secondo me oggi c’è la possibilità di fare delle belle commedie al cinema anche se bisogna trattare meglio la sala, anzi va trattata diversamente da come lo si è sempre fatto: oggi che la gente preferisce vedersi i film a casa la sala va resa un evento, va cambiata il modo di pensarla. Io spero che in futuro ci siano commedie migliori al cinema, ci sto pure lavorando a ’sta cosa.
Io non sono troppo per la comicità super immediata e senza pietà. Se, come me, ti vuoi prendere un tempo in più per capire una battuta o per scrivere uno sketch, i meme dopo un po’ ti rompono il cazzo. Non si possono fare solo i meme, daresti per assodato che il tuo pubblico ha la soglia dell’attenzione che dura un secondo.
Penso che quando un comico scrive lo fa sempre per un motivo, o per far ridere o per lanciare ambiziosamente un messaggio. In questo senso il comico non può mai porsi limiti, perché la battuta serve a questo, a superare i limiti. Se poi il comico è davvero razzista o omofobo, il pubblico lo capisce. È lì che entra in gioco l’intelligenza del pubblico: non puoi permetterti di pensare che il pubblico possa fraintenderti. Se tocchi temi sensibili con le battute ma non sei davvero un bigotto, quella battuta non sarà necessariamente un offesa. La cosa grave che succede oggi è che fare una battuta su una categoria alla quale non si appartiene viene vista come un insulto ma la battuta come la intendo io è un confronto, un modo per incuriosirsi. Al giorno d’oggi si corre il rischio che gli artisti e i comici, per paura di essere considerati misogini o omofobi, finiscano per parlare solo di sé stessi. Questo è davvero ghettizzante. Ma se io mi rapporto a una determinata minoranza con una battuta, mi rapporto a cosa c’è di diverso tra me e loro mentre se dicessi che siamo tutti uguali sarebbe la visione più superficiale che esiste al mondo, una visione che mi inquieta perché appiattisce completamente il dialogo. Tra il dire che siamo tutti uguali e il capire le differenze che esistono tra noi ridendoci su, io sceglierò sempre la seconda opzione, perché credo che questa sia la verità.
Un autore contemporaneo ha detto Oggi il gusto è per l’essenziale, in effetti ora come ora e di altro che abbiamo bisogno. Di cultura meno dotta, più pratica e applicabile all’intricato mondo odierno. Quanto ti trovi d’accordo con questa affermazione? Credi che la Stand-Up Comedy faccia già parte di questa nuova cultura?
Edoardo Ferrario: Mi trovo parzialmente d’accordo con questa affermazione.
L’epoca degli intellettuali di un tempo che facevano grandi dialoghi è finita, fa parte del ’900: Comizi d’Amore di Pasolini con lui e Moravia che parlano di grandi temi fa parte di un’epoca terminata. Forse nel ’900 era tutto un po’ più semplice e vivibile perché c’erano delle istituzioni forti che rendevano meno complessa la società come la Politica o la Chiesa: se non sapevi dove sbattere la testa andavi in parrocchia o in sezione e lì trovavi delle comunità che ti abbracciavano. L’unico mezzo di trasmissione di massa valido era la Rai, dove arrivava ciò che della musica, della cultura e dell’intrattenimento funzionava meglio, non sapremo mai chi è stato scartato ai provini della televisione dell’epoca.
Ad oggi invece ciascuno vale uno e tutti hanno la possibilità di esprimersi su mezzi a grande diffusione, rendendola un epoca troppo complessa e chiassosa per il classico intellettuale novecentesco che infiammava la gente dalle pagine di un giornale. C’è bisogno di una comunicazione più comprensibile e contemporanea che non si adatta a quelle figure, una comunicazione che può passare anche per i meme, di tipo multidirezionale. La Stand-Up in Italia ha decisamente fatto presa su un nuovo pubblico rispetto alle avanguardie comiche precedenti, grazie al suo linguaggio diverso e immediato. Da 7 anni a questa parte si è creata una nuova scena di comici che fanno il loro lavoro con un modo di esprimersi più contemporaneo: al giorno d’oggi un comico esordiente la lingua adatta ai mezzi coi quali può sfondare, ossia le piattaforme social. Non saprei se definire la Stand-Up una cultura, lo può senza dubbio diventare. Ma a tal proposito, devo dire che sono già stato oggetto di due tesi di laurea.
Con questa flexata finale si conclude l’intervista di Blast a Edoardo Ferrario. Resta qualche minuto per regalargli una maglietta di Blast nera (quelle viola erano finite signor giudice lo giuro)
Prima di congedarci il mio sodale Simon Pinkman si esibisce in un disperato e volgare tentativo autopromozionale nei confronti di Ferrario, tentando di strappare il sostegno di Mostro, rapper fratello del comico. Una volta salutato e ringraziato Edoardo, quando la porta si è richiusa alle nostre spalle, guardo Pinkman e gli faccio: