Cinque Luglio Duemilaventidue
Ore 5:55
Sono con mio fratello al bar della Stazione Centrale di Milano, ordiniamo due caffè, tempo di pagare e un pakistano passa e ciula una briosche sul bancone. Io non vorrei subito partire razzista, ma questa è società allo stato puro. Sul momento: stringo la catena da 2 chili che ho in tasca, mia compare fidata, lei è la mia migliore amica in questi casi. Esaspero.
Oh, Fratello-di-Anonimo-Milanese, questa stazione è passata da Capostipite dell’Architettura Fascista a semplice alloggio per barboni.
Eh sì.
Eh sì, è così.
Troppa realtà. Il fatto che la stazione sia diventata una baraccopoli, dove tra busti e aquile ci sono i risultati di dieci anni di governi dei migliori, mi fa veramente sorridere.
Sarà un viaggio all’insegna dell’assurdo.
Allora mangio una briosche da fighetti, quelle cioccolato DOP e farina turca, perché Milano è così e da Roma mi aspetto, sul momento, almeno quel poco in meno di puzza sotto al naso.
Milano è una famiglia disfunzionale: ti regala cose come il Museo del ‘900 e i biglietti dell’ATM che con un fai mezza Lombardia in treno, poi crea una linea pubblicitaria sulla Ferragni e ti cancella il ciuff-ciuff per casa.
Non so come sarà Roma, non mi aspetto nulla che già non sappia.
Spero solo di non dover lottare contro i cinghiali.
Salgo su un Italo divino, veramente figo
, mi obbligano a mettere la FP2 (We ciula, va che appesti così, figa) ma mi offrono caffè, acqua, succhini e briosche. Faccio colazione due volte, la terza la farò a Roma diretto. Sono obeso e nella mia obesità io do sfogo ai peccati.
Allora sto lì, bello bello, seduto, vicino a me un IMBRUTTITO, maiuscolo eh, che mai si potessero vedere sotto al Po. Un IMBRUTTITO VETERANO, 60 anni circa, capelli bianchi e giacca sportiva grigia e camicia rosa con tre bottoni sciolti. Mi dice qualcosa del tipo: eh sono qui per lavoro
.
In realtà lo immagino, sta zitto tutto il viaggio a controllare le mail, sta lì muto, imbruttonito, a guardare le mail. E mi sento un po’ così: di troppo.
Io faccio tipo quattrocento (400) euro al mese, loro ne fanno tremila (3000). Io abito in casa con i miei, in provincia, il mio divertimento è vedere i bagaitt la sera fare a botte sotto casa mia. Loro pippano cocaina dal culo delle modelle di Vogue.
Bevo il caffè e arrivo, con il potere della iper-velocità, a Roma. Scendo a Termini, esclamo: Porcaputtana ma è identica a ogni altra stazione. E lì, ci fosse stata la musica, sarebbe partita la Sarabanda di Handel, intervallata da Splash di Paperissima con Gabibbo che urla e smatta.
Perché di lì a breve avrei abbandonato l’ATM per darmi all’ATAC. E io non ero pronto.
Esco da Termini, cerco un Bus per il Battage, mi fa male la testa, fa caldo, voglio andare a casa, tanto i treni ci sono, dai adesso faccio il matto e torno a Milano, no, no, non c’è il bus. Sclero contro Ranpo al cellulare, come una suocera del Sud. E nulla alla fine vado a pè, la curiera minga gh’è…
Alla fine però prendo sto busso (il 40) vicino a un posto che sembrava Montecitorio, forse lo era, io non sono qua per fare il turista. Ma qui stiamo divagando.
Io quindi arrivo a Via dei Coronari 44, e mi accoglie lo staff, mi sento famoso, forse perché sono l’unico di BLAST che non sta lavorando a qualcosa, sono off, sono dormiente, sono una cellula che si sveglierà, ma non ora.
Incontro in rapida successione:
- Sebastiano Caputo, capo indiscusso di tutta la baracca.
- Lorenzo Vitelli, capo indiscusso di GOG, nostro spacciatore di libri.
- Ranpo Farhenheit, il principale ponfo della Redazione.
- Tutta la famiglia di GOG, poeti maledetti insomma.
Chiedo, dopo un viaggio senza liquidi sotto i 40° romani, un po’ di acquetta per rinfrescarmi.
Ranpo prende la parola, indica una fontanella, attaccata al muro del San Salvatore in Lauro, acqua santificata che vive nelle fottute pareti.
No dai Ranpo, non è imbottigliata.
Non fare il borghese, non sei a Milano.
Riluttante mi abbevero alla fonte dissenterica, mani che sanno di COVID si fanno a cucchiaio e prendo un sorso, disseta ma non sa di ricchezza come una San Pellegrino frizzante.
Entro nel luogo dell’evento, dopo essermi rinfrescato e sciacquato alla fonte come prima della preghiera, una fila di sedie lunghissime. Avevo portato da casa la bandiera della sezione Ranpo, la porgo al ponfo Caputo, lui ride e apprezza, la appendo a un balcone come fosse quella del Milan durante il Derby. Il posto è pronto.
Skip-temporale, è pomeriggio:
Arriva Profeta al Battage, sono lì da solo e la visione si fa mistica, l’uomo chiede prima se può scavallarsi dei libri, poi chiede un caffè, subito dopo è per terra a fare flessioni, ne fa 35, poi si alza e gli faccio i complimenti per la Palermo Male, lui completamente fuori dal mondo ringrazia.
Skip-temporale, è sera: È l’inizio della Liturgia, questo era solo la preparazione alla Funzione.
Siamo, noi di Blast, a fare il nostro servizio d’ordine per l’evento. Io do il benvenuto alle persone, Ranpo e MM sono a indicare dove andare, Lorenzo Alderaan
(aggiuntosi alla compagnia cantante verso sera)
Passa gente assurda, poi arriva Pietrangelo Buttafuoco e io sono lì, così, di sasso, non mi aspettavo di vedere il Maestro in persona.
Poi esco a vedere se manca qualcuno ad entrare e vedo due uomini con una folla dietro.
Un freschissimo Massimo Zamboni, che non riconosco subito, e un uomo barba e taglio monastico: Giovanni Lindo Ferretti.
Entrano all’evento, accompagnati da applausi e da Annarella a tutto volume, le ultime salmodianti strofe le canta Ferretti in persona.
Arriva Davide Brullo, scrittore e poeta, sul palco. Inizia quel matrimonio sacro e profano che è il loro ritornare sul palco dopo anni, un decennio quasi, quindici anni. Mi metto a sentire l’intervista.
Parafraso un po’, perché il discorso era lunghissimo e assolutamente ricco, denso:
Dovevo capire se le nostre canzoni fossero preghiere, io non avevo mai riascoltato nulla della mia produzione musicale, lo feci e capii che cantavo per pregare, per dare sfogo allo spirito.
Quando l’Emerito (Papa Ratzinger ndr) smetterà di pregare, quel giorno l’Europa smetterà di esistere
Il giorno in cui verrà a meno l’ultimo pastore, scenderà di nuovo l’Arcangelo Michele a farci fuori.
Beato colui che vive all’ombra di un monastero.
Tutte attribuite al Lindo Ferretti monastico
Iniziamo gli aneddoti sugli anni ’80 emiliani, tra strumenti rubati, il buon 77, lotta operaia, Berlino e quel clima che fu. Il politico che fu, gli ideali, tutto è politica. Ma anche nulla è politica, perché quei momenti non esistono più, vivono nei cuori di Ferretti e Zamboni che li raccontano e ci fanno emozionare.
Per tre ore assisto a un Pontefice Zamboni, che parla del suo rapporto con la natura e il Creato, senza barba come un filosofo francese. E all’Abate Ferretti, che parla di preghiera e di cattolicesimo liturgico, punk-barbuto quanto lo era un Padre della Chiesa. I loro fan sono tutti in estasi mistica.
Fine serata:
Tutti si avvicinano a prendere l’Eucarestia di Punk Emiliano e la Pastorale si compie. L’Oriente ateo-sovietico si è riallacciato con l’Occidente cristo-monastico.
Faccio una foto con Ferretti, mi avvicino poi a Zamboni e lui dice, deciso:
Eddai una serata possiamo pure stare senza telefono!
Zamboni, la voce del popolo.
Esco di lì con una rinnovata fede, il cielo di Roma è un Cristo Pantocratore, che benedice la Capitale, la Urbe Eterna ha quella giusta movida, non troppo milanese, non troppo provinciale, è giusta.
Un amico, più o meno noto, ha commentato così:
Sì.