Figli della Stessa Rabbia- Overanalisi dell'Identità Europea

Figli della Stessa Rabbia- Overanalisi dell'Identità Europea
Lettura boomer
Kefiah, Pennacchi e Pickelhaube. Imparare dai nostri compagni oltre il mediterraneo per liberarsi dai coloni oltreoceano

Il recente dibattito sulla guerra in Palestina ci obbliga ad una riflessione su un tema che siamo stati abituati a mettere da parte: il legame di un popolo con la sua terra e con la sua cultura.

Sono stati resi pubblici da qualche tempo i presunti piani di Israele che prevedono di deportare il grosso dei palestinesi nella zona del Sinai, per poter impiantare coloni nei territori occupati e sgomberati. Inoltre è ormai da più di mezzo secolo che la cultura, i simboli e le tradizioni degli stessi Palestinesi sono sotto attacco o addirittura banditi.

I palestinesi ce lo dicono a gran voce e a ragione:

la forza del loro popolo deriva dall’attaccamento alla terra che hanno coltivato per generazioni e la volontà di Israele di cacciarli da quella terra e di cancellare la loro cultura (il tutto condito da una qualche decina di migliaia di morti di rito) è un atto di genocidio.

E in mezzo a questi discorsi ogni tanto rispunta fuori questa cosa della “cultura europea”.

Tutto questo sapete,  fa pensare… Ma allora noi esistiamo ancora? Si noi.

Noi Europei.

Anche noi siamo stati colonizzati. Militarmente? Anche.

Ma dal lato culturale le cose non sono meglio .

E i nostri simboli non banditi, ma dissolti, da anni di propaganda e di laboriosa filologia, dispersi nelle nebbie degli antiquari.

La cultura rimpiazzata da brand: film, musica, moda e televisione.

Vi siete accorti che le persone che passano più tempo davanti al televisore finiscono addirittura con il confondere il proprio sistema politico e giudiziario con quello d’oltreoceano? Forse è ipocrisia, o forse semplicemente un modo per riconoscere che sono quelle le uniche elezioni che contano. La politica è l’ultimo tassello, perché forse la nostra Repubblica non l’ha mai fatta. Anzi, a differenza dei palestinesi, da noi anche il terrorismo era dei colonizzatori.

Ricordiamolo: loro sono i buoni, lo dice il mio telegiornale preferito,

e loro non prendono mai, danno !

E la terra?

Le nostre élite, quelle che si credono tali, ormai sono ormai totalmente cosmopolite.

Stormi di cittadini del mondo, per cui è giusto (e necessario) che le multinazionali possano vendere e guadagnare in un paese  e pagare le tasse in un altro, rigorosamente evadendo nel tuo.

La mobilità, la flessibilità e la buona disposizione a disimpiantarsi dalla propria terra sono facoltà elogiate,

sono le nuove virtù del futuro,

che la povera gente deve imparare nel presente per ottenere il proprio posto e riconoscimento nella società.

L’aspirazione massima del piccolo borghese Europeo è andare in altre grandi città per trovare esattamente le stesse cose che troverebbe nella sua, con il bonus di avere un corredo di fotografie da poter schiaffare sul proprio profilo social che, gestito dai transumanisti della Silicon Valley, le sfrutta come merce.

L’attaccamento ad un’identità culturale è rimasto rigorosamente povero, nella periferia periferica delle periferia che crede ancora. La cultura o altri ammennicoli li puoi trovare a prendere polvere sui mobili tua prozia Ermenegilda, e questo forse è un bene.

Solo pochi sono ancora così folli da perseguire dei valori, ma quei folli sono principalmente i padri dei nostri padri, letteralmente: i nonni.

Considerati dinosauri, certo, ma non così tanto da marcire in un museo. A loro bisogna rivolgersi per imparare, perché finché i loro cuori batteranno, ci sarà ancora speranza. E se anche dovessero venire a mancare (chi scrive sa cosa significa) la loro storia continua a vivere ed essere accessibile: nei ricordi, nelle case piene di libri, nei diari che tenevano (perché all’epoca si insegnava a tenere diari, soprattutto in periodi di crisi)

La “memoria storica” è una cazzata, già lo abbiamo detto, noi rivogliamo la vita che ci è stata tolta.

La vita che si esplica in usi e costumi, la maggior parte dei quali nati nelle campagne e che, forse, ancora oggi lì vivono. Il nostro mondo sembra non esistere più, quello che ci è stato promesso, dato e in cui siamo vissuti, non ci soddisfa.

La famiglia, la cultura, la terra, (i valori di una volta signora mia) sono tutte quelle cose di cui dobbiamo assolutamente liberarci, e se possibile vergognarci, al fine di entrare a far parte del mondo veloce e interconnesso, del mondo globalizzato e cosmopolita.

Il mondo che vive nella contraddizione di sé stesso. Ma il nostro mondo (r)esiste, e non è quello che vogliamo o che desideriamo, ma quello che viviamo e che portiamo avanti ogni giorno. A fatica, ma è questa la fatica che ci fa riscoprire la realtà. Perché al “tutto subito” di qualcun’altro, che dura come un reel, preferiamo il nostro  “giusto a tempo debito”, che rimane per le generazioni.

Se la nostra cultura e la nostra terra ci appartengono come peso, cosa siamo noi europei? Possiamo ancora chiamarci popoli?

Si, popoli. Perché questo è ciò che siamo. Una pluralità, che solo chi guarda da lontano può pensare di omologare. Non basta essere un continente per essere uguali. Chi ci vive dentro sa perfettamente che ogni 100km attraversi 4 confini,15 lingue e dialetti e almeno una trentina di conflitti etnici irrisolti. Risulta difficile dire “europeo” in un contesto del genere.

Non so voi, ma io coi francesi non voglio condividere troppo. 

A ben guardare siamo noi a dover imparare dai palestinesi, indossare i nostri Pickelhaube e cappelli con pennacchi per infilarci nella trincea della guerra culturale, trincea che dobbiamo scavare a fondo, proprio in casa nostra,  per trovare sepolto dalla sabbia del tempo quello con cui combattere.

E allora domani quando suona la sveglia spacca il tuo iPhone, disdici tutti gli abbonamenti a piattaforme, sputa nello Starbucks della gente al tavolo con il mac, sfascia a testate le vetrine del McDonald’s più vicino, metti le bombe sotto ai server di Internet e distruggi i cartelloni pubblicitari della nuova serie Netflix. Vai in centro con i tuoi amichetti vestiti da Ussari della Morte e scava mille e altre mille trincee culturali da dove sparare in ogni direzione per far esplodere tutto.

Fare sventolare in alto la bandiera della libertà, la nostra,

“Come chi combatte col cuore
La causa dei poveri contro l’oppressore”

Riscoprire di chi siamo figli, per difenderci e difendere i figli dell’altra sponda del Mediteranneo. I cortocircuiti possiamo lasciarli ai computer, ai dispositivi di controllo, all’elettronica. Fuori dalla nostra mente.

Perché se non sappiamo chi siamo, chi siamo noi per difendere i palestinesi?

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