«Parole caute e moderate. Con tutto il rispetto per questi imam, per queste PALANDRANE DEL CAZZO!»
(Mario Borghezio)
A.D. 1527.
L’imam Ahmad ibn Ibrāhīm al-Ghāzi detto Ṣāḥib al-fatḥ (‘il Conquistatore’) riunisce tutte le tribù del sultanato di Adal e ne assume il controllo, pur mantenendo nominalmente la figura del sultano. L’imam si rifiuta di pagare il tributo al nəgúś d’Etiopia Lebna Denghèl Dawit II (1506-1540), scatenando la sua reazione, che si rivela inutile.
L’imam dichiara allora il jihad, con le straordinarie tattiche introdotte dagli ottomani nel Mar Rosso.
L’imam è un brillante condottiero. Siamo negli anni di Solimano il Magnifico, con i turchi alle porte di Vienna. Il favoloso regno del Prete Gianni è il baluardo della Cristianità in Oriente. Si dice che sarà proprio il Prete Gianni a infliggere il colpo decisivo all’impero ottomano.
Invece, il regno vacilla. La periferia crolla. Cadono, nell’ordine, Bale, Sidamo, Hadiya e Kembata. Ora anche il cuore del regno salomonide è in pericolo. Le chiese e le reliquie vengono distrutte, i libri bruciati, i monaci barbaramente assassinati. Nel 1528 i cristiani sono sconfitti a Shimbra Kure e l’imam occupa Dawaro, Shewa, Amhara e Lasta.
In quegli anni, la Chiesa etiope è nelle mani di un paladino della Cristianità.
Si chiama Abūl-Fataḥ, uomo della conquista, ed è un iracheno convertitosi al cristianesimo. Arrivato in Etiopia nel 1489, Abūl-Fataḥ è stato battezzato dal patriarca Ṗetros e ha assunto il nome di ‘Ənbāḳom, ovvero Abacuc. In quel tempo, in Etiopia il patriarca era nominato da Alessandria, con grande ostilità da parte del mondo islamico.
Il patriarca (‘abuna, ‘nostro padre’) non era il vero capo della Chiesa, che era controllata invece dal nəgúś e dall’abate di Däbrä Libanós, l’əččagé. Il patriarca era sempre uno straniero, mentre l’əččagé un etiope. Ebbene, ‘Ənbāḳom è l’unico straniero a diventare ’əččagé, grazie alle sue buone relazioni con Alessandria. Tuttavia, a causa di alcune dispute con il sovrano, decide di ritirarsi a vita privata a Bisano, in Etiopia occidentale.
Da qui, il monaco scrive una lettera in arabo al condottiero musulmano, che gli etiopi hanno ribattezzato Graň (‘il mancino’), al fine di convincerlo che la conquista islamica è sbagliata anche secondo il Corano e che il Corano dimostra la validità della fede cristiana.
Infatti, la seconda sūra del Corano dice – trascrivo il testo in gə’əz perché purtroppo ignoro l’arabo – <Aléf-lam-mem zəkkú mäṣḥäf zä-‘älbo näwrä wəstetu märḥä lä färahəyán> (<Alef-lam-mem: quello è il libro nel quale non c’è macchia, guida per i timorati>)
Se la sūra si riferisse al Corano stesso – dice il nostro ‘Ənbāḳom – ci sarebbe scritto <zəntú mäṣḥäf>, ovvero <questo è il libro>. Invece, il Corano si riferisce in realtà al Vangelo.
L’imam gli avrebbe risposto:
«Credo in tutti i tuoi libri e credo nell’Antico Testamento, nel Vangelo e nei libri dei profeti che il Signore ci ha mandato. E da questo momento in poi giuro sul Signore che è Grande e sul divorzio dalle mie mogli che non brucerò più chiese, non ucciderò più monaci né poveri, a parte coloro che si oppongono a me. Ecco, ora ti permettiamo di mostrarci la fede dei cristiani a partire dal libro del Corano, dal momento che ci hai detto “Ve la mostrerò affinché la possiate ammirare”».
O almeno così dice ‘Ənbāḳom nell’introduzione al suo libro ‘Änḳäṣä ‘Ämín, La porta della fede. In realtà, Graň continuò a rappresentare una minaccia per la dinastia salomonide, che chiese aiuto al Portogallo, che mandò 400 moschettieri guidati da Cristoforo Da Gama. Sconfitto una prima volta, Graň chiese aiuto all’impero ottomano, che inviò a sua volta 800 moschettieri. La battaglia definitiva si svolse il 25 febbraio 1543 sul lago Tana e vide la vittoria decisiva dei cristiani e l’uccisione di Graň.
Tuttavia, la Storia avrebbe dato ragione a Graň. Le invasioni oromo nel XVIII secolo avrebbero spostato l’ago della bilancia a favore dei musulmani, a cui il colonialismo italiano garantì la libertà di culto, il diritto di nominare giudici musulmani, l’insegnamento dell’arabo nelle scuole islamiche e la costruzione di moschee. Non a caso, i musulmani etiopi ricordano positivamente la dominazione italiana, appoggiarono in parte la resistenza del Comandante Diavolo Amedeo Guillet e furono perseguitati dagli inglesi.
I tempi sono maturi. Il cristianesimo è sprofondato in una crisi irreversibile, mentre l’Islam continua a crescere e ad accogliere nuovi adepti.
Si calcola che entro il 2050 l’Italia avrà una percentuale di musulmani compresa tra un minimo dell’8,3% e un impressionante 14,1%.
Il 14,1% non è più una minoranza. Se questa minoranza
fondasse un partito potrebbe vincere le elezioni. In altre parole, il pericolo non è la sostituzione etnica
che tanto piace al ministro Lollobrigida, quanto piuttosto la sostituzione etica
.
La possibilità che l’Occidente liberaldemocratico – e, ahinoi, oicofobico – soccomba di fronte all’incedere della shari’a.
Ma questa, a ben vedere, è più un’opportunità che un pericolo. Non dobbiamo temere l’Eurabia, come quella paranoica di Oriana Fallaci. Semmai, dobbiamo anticiparla.
Dobbiamo riconoscere che l’Islam è la religione del Futuro, piaccia o no a ‘Ənbāḳom e a Borghezio.
Dobbiamo cercare di addolcire la shari’a, creare un Islam occidentalizzato, non un Occidente islamizzato. L’Islam può essere un baluardo contro il relativismo, il male dei nostri tempi. Morto Ratzinger, la Chiesa ha fallito miseramente la sua lotta e con Francesco ha abbracciato il progressismo.
L’Islam è la sintesi perfetta tra la filosofia antica, l’Oriente e l’Occidente giudaico-cristiano. L’Islam è la Tradizione, è il nostro passato, avveratosi in Sicilia e respinto, dimenticato in altre terre d’Europa. Ne scorgiamo ancora le tracce in certi sabaudi tozzi, tarchiati saraceni, scuri islamici.
Non dobbiamo chiudere le moschee come vorrebbe Foti, ma semmai costruirne di nuove, riprendere in mano la spada dell’Islam.
L’Islam è accelereazionario.
Pensate alla poligamia: è un tema capace di scardinare la famiglia tradizionale e difenderla al tempo stesso! Certo, noi la dovremmo introdurre in salsa occidentale.
Sono talmente a favore della famiglia tradizionale che voglio che ciascuno abbia diritto ad avere più padri e più madri contemporaneamente e che un uomo possa vivere felicemente con le sue tre mogli e i suoi cinque mariti e felicemente coltivare un campo di carne sintetica.
L’Islam è la rivincita di Cleopatra, l’Oriente che, dopo duemila anni, trionfa sull’Occidente e ne assume la difesa e la tutela.
Non abbiate paura: Graecia capta ferum victorem cepit. Sogno un futuro opulento, dissoluto e islamo-futurista. L’Islam può farcela perché non ha bisogno di santi, di icone o di altri vezzi occidentali.