I
Quando la sua faccia fu madida di sudore, diede un secondo calcio al cavalletto, la tela sbattè contro il muro, collassando contro di esso, dietro strati di pittura vi era la sua bella. Dietro strati di pittura vi era la storia di un amore infranto, e tanta voglia di rivincita.
Guardò fuori dalla finestra di quella palazzina di tre piani, a Milano sembrava fosse arrivata la tempesta del secolo XX, senza sé e senza ma, era bloccato, solo la tela davanti, ancora un’altra pensò, poi giuro mi appendo.
Si mise il cappotto, prese l’ombrello, tolse la spilla dalla scrivania, la mise al bavero, il fascio splendeva, illuminato dalla bolletta della luce, sempre più cara, ormai rimaneva in penombra due giorni su sette. Quando avrebbe fatto la prossima mostra? L’aeropittura, aveva futuro?
Il Futurismo aveva futuro?
Eccolo quindi prendere le scale, salutare la portinaia, girare la maniglia, uscire e rimanere impalato. Impallottato com’era nel cappotto, il freddo lo prese subito, con esso l’umido, con esso il fallimento.
Tornare in camera? Tornare a casa da mamma? Tornare a Monza disperato? Tornare, sì, ma dove?
Non tornare, scelta definitiva, affrontare tutto.
Non erano forse gli anni della guerra similari? Ora che era passata, quasi gli mancava.
Gli mancava papà che scriveva a sua madre che il Carso era una seconda casa. Non voleva tornare, nemmeno la pallottola voleva uscire, mutilato com’era.
Fiume o Morte? Morte di ipotermia semmai, pensò sul momento, se esco muoio.
Ma anche se rimango in casa muoio.
Ventisei anni e non sentirli.
Quando andiamo a rompere il culo agli inglesi? E alla loro schifezza di clima che ci mandano, pensò a lungo, la portinaia intanto rimaneva a fissarlo.
Vittorio rimase lì e lì per uscire. Sullo stipite che lentamente si raffreddava.
Ciula, il riscaldamento costa ne!, disse la portinaia, e proprietaria; deciditi, su su.
Lui decise infine di uscire, nel farlo urtò una ragazzina che stava passeggiando
, completamente zuppa, dall’ombrello ai piedi, cadde sul marciapiede, si sporcò in una pozzanghera.
Lui le tese la mano.
Figa, proprio ora dovevi capitarmi, dai su alzati!
La ragazzina aveva la mano fredda, la prese al volo e le diede uno strattone per farla alzare.
Dai su, vieni dentro va, mi sa che non esco. Scusami, capito?, perdono, cara mia, perdono.
Lei rimase muta.
Se vuoi ti chiamo mamma, papà, chiunque, basta che non stai sotto la pioggia a prendere un accidente. Aveva portato la ragazzina nell’androne.
La proprietaria entrò in scena: oggi nessuno telefona, soprattutto te che non paghi.
Pensa te, l’abbiamo avuto noi a Monza il telefono per primi e ora devo pure pagare per aiutare questa… come te ciami scusa?
Cecilia.
II
Cecilia entrò nello studio, osservò tutto il casino lasciatovi. Vittorio e il suo strano panciotto colorato, con fantasie che esistevano e no, con dodici matite tutte spezzate in due sulla scrivania, quindi ventiquattro strumenti traccianti. Osservava, capiva, un artista si riduce così solo per l’arte quindi?
Una sigaretta senza filtro ancora bruciava, odore di chiuso, persiane aperte.
Vittorio la fece sedere sul letto, senti, disse, non vuoi veramente che chiami casa?
Scosse la testa.
Hai qualcuno?
Scosse la testa.
Cazzarola, ragazza mia…
Non dirlo.
Cosa?
Non dirlo a loro…
A chi?
A loro.
Vittorio scosse la testa, non capendo proprio dove stava andando a parare, senti, se vuoi, ti faccio un disegno, così almeno mi sdebito.
Lei annuì.
E finalmente qualcosa mi uscirà dal foglio, aggiunse mentalmente.
Vittorio girò lo sguardo, guardò la finestra, nel riflesso il suo volto aveva una grossa cicatrice, attraversava dalla guancia al naso. Era caduto, da ubriaco, da qualche parte, sicuro, anche se non ricorda dove, e come, e quando soprattutto. Sa solo che ora l’aveva, e perciò lo scambiavano per una camicia nera, un ardito, un veterano d’Africa.
Cecilia rimase sul letto, si tolse il cappotto.
Sotto una camicia di seta, un foulard rossiccio, con una fantasia floreale blu chiaro e grigia.
Se vuoi, posso darti degli abiti, certo son da maschio, ma chi prendo in giro, te sei tipo sconosciuta a tutti, sei piombata qua per caso. E per caso, proprio oggi devo dipingere qualcosa, sennò non mangio.
Mi tornerai utile.
Mentre parlava, stava schizzando le forme primitive della ragazzina, immobile sul letto.
Un rettangolo qui, dove c’è il corpo, forme, vuoi per caso il petto più grosso, vuoi sembrare più grande, più piccola, vuoi un foulard di un altro colore, cosa vorresti tra le mani, una bambola, un fucile, un pennello?
Tracciò il baricentro, lei iniziò a muoversi, cercando di mettersi comoda.
Un cerchio per la testa, certo che hai dei capelli ben curati per essere una trovatella, quel fiocco poi, sei una figura dinamica col vento, peccato piova. Non vuoi per caso qualcosa da bere?, ora dico, avrai freddo. Insomma, puoi anche stare muta, basta che stai ferma. Anzi muoviti, fai una giravolta, balla, alza il braccio, saluta, così sarai più dinamica, e saprò cogliere tutto.
Tracciò il profilo del letto, Cecilia era con le mani sulla pancia.
Sicura che non ti sei fatta male cadendo? Varda che me ne intendo di cicatrici. Non stai male però vestita così, sappilo, fossi più grande, ti chiederei la mano, sei una musa, insomma, saresti una musa come la Garbo, cavolo, anche il foulard, puoi anche metterlo come velo eh, darà un tocco esotico.
Iniziò a tracciare i boccoli, aveva i capelli castani, e gli occhi smeraldo.
Sicura che nessuno ti viene a cercare, che non mi incarcerano, nel senso, avrai una famiglia, sicuramente se ti trovano qui, in questa baracca, passo dei guai, e come ben vedi, non so parlare così bene. Poi qui manca la luce, manca il riscaldamento un giorno sì e pure l’altro.
Sicura… ma stai bene, non parli?
Vittorio si sporse dalla sua postazione.
Cecilia era sdraiata sul letto, tremava.
Dio, sta svenendo, Carla, Carla!
Carla, presto sali!
Vittorio si avvicinò, deciso, per levarle i vestiti, quantomeno per evitare che l’umido le facesse venire una febbre, ma appena la toccò, lei spalancò gli occhi.
Brillavano di luce bluastra, i suoi occhi erano violacei, e rossa la sclera.
Vittorio rimase fermo, ora era lui a tremare.
Cecilia?
Cosa sei?
Che vuoi?
III
Vittorio aprì gli occhi, vuoto di memoria:
da Cecilia tremante al suo risveglio, gli facevano male le gambe e la schiena, guardò intorno a sé, era legato a una sedia. Era in mutande. Cercò di allentare i lacci, ma erano ben serrati. Le sue gambe erano piene di lividi, blu e nerastri.
Cecilia, dove è finita?
Sono svenuto?
Dove sono?
È un sogno?
Una sola flebile lampadina illuminava la sedia di Vittorio, nel buio solo muri di cemento grigio.
Una voce maschile rieccheggiò nella struttura, squillante e allerta, decisa e ritta.
Bensvegliato, orbene, vedo che abbiamo una spia.
Vittorio stette muto.
Camerata, camerata che succede?, caro il mio piccolo inglese, funesta Albione, chi abbiamo qui?…
Un uomo si avvicinò, era uno dell’OVRA, divisa nera, l’aquila sulla bustina reggeva il littorio. Una cicatrice attraversava l’occhio monco del commissario Aristide Bertolucci
, l’occhio ferito era di colore azzurro, il viso scavato, la mandibola fremente, l’altro aveva l’iride marrone ed era molto più aperto del sinistro.
Bertolucci si accovacciò vicino a Vittorio, ponendosi all’altezza del viso del ragazzo.
Vittorio Perego, classe 1909, artista fallimentare, di una corrente ormai morta, senza futuro diciamo, e probabilmente spia inglese, almeno secondo il fascicolo.
Lei conosce anche una certa Cecilia Mariotti, dico bene?
Cecilia era caduta in una pozza d’acqua, signore, stava male e l’ho portata in camera, le ho fatto un ritratto per sdebitarmi, non sono inglese, nemmeno sopporto quelli, signore.
La voce di Vittorio era tremante.
Bene, ma lei sa in che guaio si è cacciato, vero? Vittorio poi è un bel nome, non è adatto a questi interrogatori, è un nome fiero, lei è fiero, signor Perego?, non credo con quei lacci ai polsi.
Vuoi essere fucilato?
No, esclamò tremando Vittorio, e anche se fosse io ho solo aiutato Cecilia, mica l’ho violentata. Dentro di sé pensava già al sacco in testa, e alla pallottola, l’unica, che penetrava, sempre più a fondo, e cadere, cadere, senza neanche salutare sua madre per l’ultima volta.
Sai chi è Cecil…
Un brusco rumore interruppe la scenetta: uno sparo, un secondo. Aristide si alzò velocemente. Andò nell’ombra. Non si sentì altro che i suoi passi svelti.
Vittorio cercò di allentare i lacci, ma non vi fu nulla da fare, stretti e dilanianti.
La pelle del polso sinistro era completamente rossa, irritata e quasi squarciata.
Un terzo sparo.
Un quarto, un urlo maschile.
Poi un rumore di colpi, forti, contro il muro, tremava la struttura.
Tremava Vittorio, tremava il pavimento.
Lui urlò, aiuto, aiuto, che cazzo succede, aiuto. Ma nessuno rispose.
Poi silenzio, interrotto da passi lenti, dolci.
Cecilia si palesò davanti a lui, riemergendo dall’ombra, era sporca di sangue sul viso, e i suoi occhi erano tornati di un ridente verde.
IV
Si svegliò nel suo studio, pensò che fosse venerdì, o lunedì, o mercoledì, pensò alla mostra, ai committenti, nessuno pagava in fondo, e tornò quasi a dormire, poi aprì un occhio e si accorse di Cecilia davanti a lui. Espressione apatica, lei rimaneva fissa a scrutare, occhi socchiusi.
Appena la vide le sue iridi si fecero come due puntini, si alzò di getto, rovesciando la coperta di stracci e lana. Te, che cosa vuoi?, non hai già fatto abbastanza danni?!
Cecilia stette zitta.
Prima mi spieghi, meglio è, continuò Vittorio, è tutto un sogno?
No, risposta secca, una flebile vocina. Vittorio sentì che il tempo era cambiato, dalla pioggia, di non sapeva quanti giorni prima, a un pomeriggio di sole. Si erano alzate le temperature.
Tornò al cavalletto tremando, controllando con gli occhi le mani della ragazzina, un coltello, una Beretta, quasiasi cosa che non fosse il vuoto, l’aria, l’assenza di violenza. Si accorse in quel preciso momento di essere vestito con solo la camicia, e un paio di mutande.
Si sbrigò a mettere su i pantaloni di fustagno.
Il dipinto era ancora lì, lo schizzo di Cecilia era quasi terminato.
Ora, Cecilia, torna in posizione.
La ragazzina seguì gli ordini del pittore.
Iniziò a mischiare i colori, dai tubi di tempera che aveva vicino al cavalletto.
Allora, chi era quell’uomo dell’OVRA, rispondimi.
Mio padre adottivo.
Quindi avevi qualcuno, ci stanno cercando?
Sì.
Quindi siamo in pericolo.
Annuì.
Non avrei mai dovuto aprire la porta.
Scosse la testa, lui… vuole solo vendicarsi.
Vittorio quasi fece cadere i colori, di chi?
Del Duce.
E te a che servi?, l’OVRA è e rimane al servizio dell’Italia è strano sapere di un coup d’etat, cosa sei?
Cecilia si alzò dal letto e avanzò verso il pittore.
Lui iniziò a tremare, ma aspettò che fosse a pochi centimetri da lui.
Lo prese per mano, le brillarono gli occhi.
Vittorio chiuse gli occhi, quasi qualcosa lo comandasse.
Londra, è davanti a lui, un uomo cammina per la strada, a seicento metri di distanza da lui Westminster. Veste giacca e cravatta, una bombetta. Porta una valigetta.
D’un tratto si tocca la tasca sinistra.
Un uomo vicino a lui fa lo stesso.
Si stringono la mano, lasciando il mignolo fuori dalla presa.
Lo segue.
Raggiungono una casa.
Vittorio riaprì gli occhi.
Cecilia rimase apatica, senza emozioni, i suoi occhi verdi, non più alieni.
Cosa sei, disse il ragazzo levando di forza la mano dalla sua.
Una delle tante.
Tante cosa?, forza, dimmi cosa sei, non fare la criptica.
Sono una psichica, e il mio compito è fornire informazioni, sapere entrare nella mente delle persone, e spegnerla al momento giusto.
Un’arma… e io che c’entro.
Sei gentile.
Non c’entra nulla, chi è realmente tuo padre?
Gli prese la mano, questa volta una riga di sudore le tracciò il volto, Vittorio iniziò ad avere caldo.
Un uomo osserva un bollettino di guerra, Etiopia, suo fratello minore è morto per fuoco amico, bombardamento chimico, ustioni, bruciare, puzza d’aglio. Si grattò la testa, passandosi le mani tra la cicatrice dell’occhio. Lui è stato fortunato, tempo prima, sul Carso.
Osserva il ritratto di Mussolini sul muro, si avvicina, ci sputa contro.
Esce dalla stanza.
Vittorio tornò alla realtà. Cecilia aveva la faccia paonazza, e le lacrime sgorgavano fredde.
Dobbiamo salvare Mussolini?
È già morto.
Il pittore sbigottì, morto?, com’è possibile?, l’OVRA?, un infarto?…
L’ho ucciso una settimana fa, sono scappata, non sono più utile e so troppo.
V
Vittorio osservò fuori dalla finestra, un manipolo stava entrando nella palazzina. Erano in tutto sette persone, vestite in divisa, la portinaia non osava aprire bocca, indicò il piano superiore, e disse che il ragazzo si trovava in casa.
Un passo, più passi. Lenti, come lo scorrere dei secondi.
Sono qui.
Disse sottovoce Vittorio, portandosi le mani ai capelli. Contò ogni singolo secondo tra il primo gradino, e l’ultimo, tra l’otturatore e la sicura tolta, tra gli ultimi passi in corridoio e la sua fine.
Cecilia lo osservava.
Manca poco…
Cecilia lo prese per mano, toccandogli con le unghie il palmo. Poi chiuse gli occhi.
Vittorio fece lo stesso, comandato da qualcosa di superiore.
La pattuglia aprì la porta, ma non trovò nessuno all’interno.
Ispezionarono a lungo, cercando sotto al letto, si accorsero della finestra chiusa, guardarono fuori, nessun indizio. Poi uno di loro osservò il cavalletto.
Il ritratto della ragazzina era sparito.
Epilogo
Ora, signori artisti, vorrei rivolgere la vostra attenzione su…
Quando Vittorio aprì gli occhi si trovò a un tavolo. Intorno a lui la gente lo stava fissando, come se stesse svenendo, il suo viso era madido.
Uno di loro, un certo Enrico, prese un tovagliolo e glielo porse.
Lui si accorse di avere la mano più vecchia, venosa e senza segni di pittura ad olio.
Signor Perego, si sente bene?
L’intero tavolo, l’intero ristorante lo osservavano.
Si accorse di avere vicino una donna, aveva un bel vestito da sera bianco.
Sì, che giorno è oggi?
10 Dicembre, 1953.
Dove mi trovo? Mussolini è morto, vero?
Dai, non scherzare, stiamo discutendo per questo Movimento su, dove eravamo rimasti…
Enrico Baj tornò a appuntare sul suo diario, vicino a lui Sergio Dangelo parlava, Vittorio non capiva nulla, sembravano linguaggi alieni, che lingua era poi, pensò. Prima di girarsi.
La donna lo osservava.
Vittorio sussurrò qualcosa: non è… morto qualcuno vero?
Qui no.
E nel… 1936?
Noi due.
Poi la donna gli porse una piccola tela, da sotto al vestito, era arrotolata.
Vittorio la srotolò.
Enrico si sporse dal suo diario e la osservò.
Questa dove l’avevi messa, sembra ancestrale, per nulla nucleare.
È…è qualcosa di vecchio.