RACCONTO RACCONTO RACCONTO RACCONTO
Ore 13.
Tutto nella norma.
I parametri vitali sono buoni, i leoni non si sono ancora addormentati e lo spettacolo può proseguire.
Ho ancora due ore prima che la mongolfiera parta, posso ancora vedere un po’ quelle bestie venire tormentate.
Mi piace vedere il tormento negli altri. Mi piace e al tempo stesso mi tormenta. Forse mi piace proprio il tormento che per simbiosi provo pure io. Il dolore innocuo che spinge la gente a guardare i film dell’orrore.
Tanto, per quanto mai potrai spaventarti, sarà sempre quell’idiota del protagonista a crepare. Quindi sto qui, con il mio gelato del discount a guardare i leoni saltare e saltare. Magari non sono tormentati, magari lo pensiamo solo noi.
Chi dice che la casa del leone è la savana? Solo perché è sempre stato così non è detto che sia giusto.
Non è che siccome ti droghi da una vita e ammazzi di noncuranza i tuoi figli allora per questo è naturale che sia così. Non sempre la natura delle cose è la scelta migliore. Non andrebbe dimenticato.
Dicevo che alle 13 i parametri vitali erano buoni nonostante il gelato retrogusto ciambella del discount. I reni pompavano il sangue e la musica pompava nelle orecchie la linfa vitale per arrivare fino al prossimo svincolo.
Ora mancavano solo venti minuti al decollo della mongolfiera.
Quei leoni schifosi sbavavano ora. Sono convinto che nell’apparente sofferenza stavano ricevendo il piacere che non avrebbero ricevuto in una vita di tedio e monotonia savanesca. Ma tant’è. Nel frattempo si sentivano gli anti-specisti che, dall’altra parte del fossato e con il ponte levatoio alzato, urlavano ingiurie contro Igor, l’ottimo domatore e padrone di tutto il baraccone.
Io e il mio amico Igor. Olio e acqua. Miele e sabbia. Insomma poco conciliabili ma fantastici quando eravamo insieme.
Basta! Ho detto basta! Che schifo sto gelato. Ora di partire.
Un bacione a Igor e un calcio in culo al leone, per destarlo dalla sua trance oppiacea e permettergli di ricordarsi quanto fa in realtà schifo la sua orrifica vita nell’oceano del tedio. Mi ringrazierai più tardi idiota.
Ora devo partire. Sono le 15 e devo partire.
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È troppo tardi e troppo presto per fare qualsiasi cosa, quindi DEVO PARTIRE.
Che bello il suono del fuoco che gonfia il pallone aerostatico. Poco statico perché guarda come diamine volo! Maledetto Igor non mi vedrai mai più, ora ti potrai fare il tuo maledetto lattemiele con quella influencer fallita stupida come una capra.
Ah però, caro Igor!
Ti prometto che ti mancheranno i nostri lidi pirateschi, l’inconsistente sensazione della mia sabbia unita al tuo miele scadente dei fiori più brutti che esistano, generato da api che in realtà sono cinesi schiavizzati con pennellini minuscoli. La loro ricompensa massima: ma ovvio, una ciotola di riso e peperoncino la sera!
D’altronde hanno gli occhi così chiusi che manco possono aspirare a qualcosa di più. Anzi dovreste vedere con quale voracità lavorano con il loro maledetto pennellino, già pregustando la capsaicina che stimolerà i loro sensi poco allenati.
Ma tu che ti ridi? Funziona lo stesso con te, con il tuo maledetto Caipirinha caipiroska del venerdì sera.
I tasti del computer li batti?
Sì. Allora statti zitto che venerdì è fra due giorni.
Igor mi mancherà e io mancherò a lui, ma la nostra brodaglia era insostenibile nel lungo periodo. Sia chiaro: non troverete mai nulla di tanto dolce, però insomma, alla lunga era dura da buttare giù.
Continua così però Igor!
Gli grido dal mio pallone d’oro.
Continua a destare i leoni dal sogno! Io proverò a destare me stesso. Magari riuscirò a destreggiarmi nonostante la mia malfidenza nelle favole che ti piaceva cantarmi all’altezza della mia milza. Quanto mi hai fatto dannare lo sai solo tu.
Purtroppo o per fortuna ora sono alto e tutto quanto il resto è basso. Le condizioni di alto e basso però ora non bastano più a descrivere il mondo che mi trovo davanti. Alto e basso sono parole umane, e io mi sono stufato di utilizzare solo questi termini. Mi sono stufato dell’umanità. Sono nauseato dal farne parte. Ora per fortuna non ne ho più bisogno. La mia sabbia può mescolarsi con ogni cosa perché ogni cosa sarà perfetta per la mia sabbia che non è più sabbia. Le mie parole si mescoleranno perfettamente tra le righe del testo perché il testo stesso cesserà d’esistere, così come il significato univoco nato dalla limitante natura umana. Il fatto che l’essere umano provi anche solamente a sintetizzare il concetto di liberà quando ogni parola, ogni fottuta parola ha come corrispondenza un significato, la dice lunga sull’utopica bugia terrena.
Ma ora basta, il cielo è sperduto e io mi rinnovo in ogni istante di nuove correnti.
Il vento soffia e il pallone esplode.
Nessun problema, non c’è niente di conosciuto in tutto ciò.
L’esplosione, l’aria, i cieli, Igor, i leoni.
Nessuna immagine proiettata nelle vostre menti è corretta.
L’unica realtà è rappresentata dalla mia sabbia, rinnovata e rinnovabile per sua intrinseca natura. La mia, come la vostra, sarà ciò che salverà dall’eterno dolore.
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Dante, hai perso. Alla prossima.
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