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Nel 2012, a Mirandola, in provincia di Modena, Andrea Diprè intervista il pittore Fabrizio Spagiari. L’emiliano ha 56 anni, capelli lunghi e barba incolta, una voce dura da fumatore. Parla italiano con influssi dialettali e indossa una vecchia tuta. Il fulcro delle interviste di Dipré, una parodia involontaria della “tv del dolore”, non sono mai le opere esposte, ma gli intervistati stessi. In questo caso, emergono le condizioni e i valori di Spagiari, così come quelli del suo territorio.
Racconta ad esempio della sua famiglia e dei suoi figli:
“Andrea Diprè: C’è un fatto importante della tua storia che vuoi raccontare?
Fabrizio Spagiari: Ho troppi figli.
Andrea Diprè: Troppi figli?
Fabrizio Spagiari: Ho un sacco di gemelli, tutti gemelli.
Andrea Diprè: Mi spieghi meglio questo concetto Fabrizio?
Fabrizio Spagiari: Quale concetto? Ho dei gemelli, ma tanti, tutti gemelli.
Andrea Diprè: Quanti saranno in totale?
Fabrizio Spagiari: Una quarantina.”
La vita solitaria e disillusa:
“Hai mai fatto un bello stronzo? Quella è arte. È tutta arte, l’arte di sopravvivere”.
La religione, che nel suo caso, si esprime nell’amore per l’arte sacra, contrapposta a quella contemporanea:
“Andrea Diprè: Che pensi dell’arte contemporanea?
Fabrizio Spagiari: Tutta merda.
Andrea Diprè: Approfondisci questo concetto.
Fabrizio Spagiari: Io lavoravo da Tavoni Arte. Ho avuto qui il Tiziano, la Crocefissione, una cosa meravigliosa. L’ho leccata addirittura.”
Spagiari è inconsapevolmente il simbolo della trasformazione della Bassa Padana in un’area decisamente simile al “Profondo Sud” statunitense, nonché di una affinità spirituale tra questi due mondi rurali. Il pittore, come i redneck americani, vive in una vecchia cascina, è povero e malato, ama le corse automobilistiche(nel suo caso la Formula 1, non la NASCAR) e crede agli UFO (vede dischi volanti radiocomandati).
Del resto, l’ambiente è altrettanto simile: una campagna nebbiosa e acquitrinosa, desertificata dalla crisi industriale, dove i bianchi temono l’invasione delle minoranze. Qui la sostituzione etnica è una realtà inquietante, non una teoria complottista. Inoltre, il settore primario, faticoso e poco remunerativo, spinge molti locali a trasferirsi verso città più dinamiche e ricche di opportunità lavorative e sociali. Questo aumenta il senso di isolamento e di nostalgia di chi resta, che idealizza il passato più prospero. Si è formata, così, nel tempo, una sorta di “questione settentrionale”.
Quest’immaginario è stato sfruttato dal cinema americano – meno catto-comunista e Roma-centrico di quello italiano – con il genere dell’Hixploitation, chiamata anche Hicksploitation (dal dispregiativo Hick, cioè una persona rozza/di provenienza rurale: forse simile all’italiano “rustico”). Film paradigmatico di quest’universo è Cockfighter di Monte Hellman del 1974, mai distribuito in Italia, salvo alcune apparizioni notturne su Fuori Orario – Cose (mai) viste. Un mezzofilm assurdo, con una struttura altrettanto strana, ispirata all’Odissea, dove un uomo è combattuto tra l’amore per una donna e la sua ossessione gamblizzarda per i combattimenti tra i galli: la sua non è brama di arricchirsi, ma, come insegnano Nevio Lo Stirato e Filippo Champagne, la ricerca del brivido che solo la sconfitta può dare.
Fabrizio Spagiari sarebbe un personaggio perfetto per questo film. Si potrebbe vederlo, assorto nei suoi pensieri, mentre fuma una sigaretta, tra la gente che guarda i galli lottare.
Gli Stati Uniti d’America, soprattutto dopo il fallimento della presidenza Obama, sono diventati una fabbrica di bianchi poveri nelle zone periferiche, che vengono chiamati dispregiativamente crackers. Seguendo il loro esempio, anche gli altri paesi europei rischiano di trasformarsi in una polveriera. In questo scenario, gli abitanti della Bassa Padana potrebbero essere paragonati ai crackers. Una domanda sorge spontanea: come mai i padani della Bassa, come le loro istanze, non assomigliano ai movimenti indipendentisti e localisti apprezzati dal mondo lib-left, come quello curdo, ma appaiono terribilmente retrogradi e razzisti?
Un primo motivo potrebbe essere il loro malcontento, percepito come una sfida alla coesione nazionale e all’uguaglianza democratica. Un’ulteriore possibile risposta riguarda le scelte politiche. La Padania profonda, dopo la fine della Prima Repubblica, ha seguito la Lega, così come il Sud statunitense, dall’epoca di Reagan, vota per i repubblicani. La stessa Lega in origine era vicina ai neo-confederati: solo dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ha cambiato la sua posizione, avvicinandosi ai teocon e ai repubblicani. La sinistra italiana e americana si è sempre stupita delle inclinazioni politiche dei rispettivi redneck, mostrando grande sorpresa ad ogni tornata elettorale quando, puntualmente, il loro voto era fagocitato da partiti antisistema, piccolo-borghesi e attenti alla difesa della proprietà, completamente disinteressati a questioni sociali e lontani idealmente da ogni statalismo e assistenzialismo.

I media progressisti hanno spiegato questo fenomeno con la scarsa intelligenza degli elettori e hanno dato la colpa, come al solito, al capitalismo e alla globalizzazione. Ma un’altra prospettiva, quella proposta dal giornalista britannico Ed West, sembra essere più convincente ed esaustiva: nelle democrazie multietniche, o che lo stanno diventando come l’Italia, il voto è basato sull’appartenenza tribale e i partiti più conservatori sono i partiti più bianchi e cristiani.
Questo spiega anche la fuga dei bianchi impoveriti dalle zone etnicamente miste verso le periferie omogenee, il cosiddetto white flight. E anche la possibilità, secondo pensatori come Nick Land e Guillaume Faye, di vere e proprie guerre razziali o religiose nelle democrazie occidentali. Alcuni autori, come lo stesso Land o Moldbug (pseudonimo di Curtis Yarvin), vanno ancora più in là e propongono come soluzione un modello di stato antidemocratico, se non addirittura reazionario, basato su un tipo di economia fortemente capitalistica di stampo post-austriaco. Questa visione, chiamata “neocameralista”, vicina a una realtà come Singapore, propone la gestione statale come quella di una società privata, al riparo dalla democrazia e dell’egualitarismo, per scongiurare una “tirannia anarchica”.
Di fronte ad un’Europa che potrebbe vivere guerre civili, simili a quelle che hanno devastato il Libano o la Jugoslavia, la soluzione accelereazionaria potrebbe consentire ai crackers di creare nuove micro-nazioni? Di realizzare qualcosa di simile all’Europa di “Liechtenstein” auspicata da Hans-Hermann Hoppe?
In conclusione, a prescindere da questa ipotesi estrema, non si può sapere con certezza cosa succederà in questa zona d’Italia, ma i problemi socio-economici sono evidenti. Se si attraversano le campagne desolate della Bassa, tra barche abbandonate che inquinano il terreno e fabbriche dismesse, non si fatica ad immaginare un ambiente popolato da redneck, con la salopette e il cappellino rosso MAGA.