Dunque, i 5 Stelle sono di nuovo in Parlamento. Il movimento dei mille alza e ammainabandiera con un ultimo sussulto di dignità è tornato a riguadagnare posizioni nel povero e abbandonato Mezzogiorno, arrivando a fine corsa con un solido 15%.
Fa sempre effetto vedere disegnato il vecchio regno duosiciliano sulla mappa dei risultati e tirare fuori per l’ennesima volta la narrazione dei terùn uniti contro i polentùn, ma cambiando diapositiva, quella che mostra i risultati per circoscrizioni e collegi, viene fuori uno scenario ben diverso: un sud blu dipinto di blu al pari del resto dello stivale, fatta eccezione per qualche puntino giallo qua e là. Foggia, Palermo, Cosenza sono le città/province che hanno regalato la poltrona a qualche candidato pentastellato dopo un’aspra battaglia all’ultimo scrutinio, però il luogo dove il partito di Conte ha fatto Ace High è la città metropolitana di Napoli.
Tutta la fottuta città metropolitana.
Dove iniziano le giurisdizioni delle province confinanti lì ritorna il colore azzurro.
Non ci sono scusanti, anche le percentuali parlano chiaro, e nel capoluogo mostrano anche livelli vertiginosi di distacco dagli altri concorrenti. Una fedeltà del genere al vessillo mentre tutto intorno crolla forse era giustificabile per i partiti di massa primorepubblicani, per quelle roccaforti della sinistra dove gli ottantenni sono ancora convinti dell’esistenza del PCI nelle vesti del PD, ma qua?
Chi bisogna ringraziare per questo miracolo?
L’analista politico liberaloide incravattato è già curvo sulla tastiera pronto a twittare:
“RdC/Povertà = Voti (M5S)”
Convintissimo di aver fatto una gran disamine, lo zostile di turno gli fa notare Haha, che scemo, la tua opinione è così ovvia, poi prende il tweet e lo mema con disegnini e varie scritte umoristiche in caps lock.
NAPOLI M5S
*doge*
TESTO SOTTO
La verità è che nessuno sa quale sia la ragione autentica per un simile miracolo politico non la sa nessuno, forse nemmeno i napoletani (o fingono di non saperla?), ma io, da devoto fedele del lombrosismo, penso di averla già capita da tempo.
Dopo aver recitato le litanie al Gran Dio Vesevo (di cui abito all’ombra) affinché torni in attività il prima possibile, mi sono messo a buttar giù le righe che state leggendo.
Innanzitutto vi chiedo di prendere tutti gli stereotipi che conoscete su Napoli e di…
CONSIDERARLI ASSOLUTAMENTE VERITIERI.
Basta credere alle cazzate degli imbonitori che stanno in cima al palinsesto domenicale, Napoli e i napoletani sono esattamente ciò che il vostro subconscio ha messo insieme tra video trash di TikTok, pregiudizi e cabaret di Telegaribaldi. Soprattutto pregiudizi.
Per quelli più anziani che hanno visto Totò Sapore e la magica storia della pizza
, sappia che già quello è un ottimo punto di partenza per conoscere la realtà sociale di cui vi parlo, se poi avete visto anche qualche puntata di Gomorra
: la serie
e O’ Zappatore
interpretato da Mario Merola allora, signori miei, sapete già tutto quello che dovreste sapere.
Napoli è una città bellissima e antica ma sporca e contaminata da grigi obbrobri architettonici figli della speculazione edilizia, composta per buona parte da vie e vicarielli claustrofobici che sbucano ogni tanto in meravigliosi scorci paesaggistici.
Il napoletano è esattamente come egli stesso si rappresenta al cinema, al teatro e in televisione: un vasciaiolo i cui panni odorano di detersivi marca discount sormontati da litri di profumo Coco Chanel; disponibile e solare quando lo prendi bene, rozzo e strafottente quando lo trovi male; convinto com’è di essere superiore a qualsiasi forestiero quanto ad arguzia, dietro la sua estroversione nasconde grandissime doti da osservatore che userà per raggirarvi se pensa di poter ottenere qualcosa, o altrimenti a sfottervi se vorrà solo farsi quattro risate.
La furbizia, la capacità di arrangiarsi con poco e la carnalità del napoletano sono così proverbiali
che le autodefinisce delle forme d’arte, per le stesse si vanta di essere ammirato e disprezzato dal resto d’Italia perché effettivamente nel mondo civilizzato più che virtù sono viste come caratteristiche da zingari circensi o da negri del ghetto, e nel mondo perbenista e perfettista in cui viviamo non è un caso se proprio quegli ambienti suscitano una certa fascinazione ai marzana del centro urbano che vivono quasi del tutto privati di un’identità storico-culturale.
Identità, anche questa è una parola che sta molto a cuore al partenopeo medio, e spesso si accompagna ad uno smodato orgoglio.
Diceva giustamente Voltaire:
“Gli infinitamente piccoli hanno un orgoglio infinitamente grande”.
In questo caso bisogna ragionare in proporzione all’importanza storica e sociale del popolo in questione, che è sempre valsa meno di zero. Ripercorrendo velocemente i trascorsi del capoluogo campano, notiamo infatti che il napoletano in 2000 anni di storia non è mai stato padrone della sua amata terra. Bizantini, normanni, svevi, aragonesi, austriaci, francesi, sabaudi: uno dopo l’altro si sono susseguiti nuovi padroni che hanno usato i napoletani come la malta per costruire mattone dopo mattone la città che vediamo oggi, senza alcuna possibilità che si potesse autogovernare.
La gloria di Napoli l’hanno fatta i regnanti stranieri, ma ai napoletani è sempre andato bene così, finché dal tavolo del banchetto cadevano le briciole necessarie a potersi sfamare. Ciò non sarebbe mai bastato alle città della Lega Lombarda, non a quelle siciliane e sarde, non di certo a quelle della Repubblica di Venezia e neanche ai comuni e ducati tosco-emiliani, ma ai napoletani il ruolo di sudditi è sempre calzato a pennello (e infatti hanno sempre avuto un debole per figure decisioniste, come il comandante Lauro, il generalissimo De Luca e il D10S Maradona)
Poco male, sulla scorta di questa rassegnazione si sono rivalsi in un’altra maniera.
Prima parlavamo di zingari e negri, ma potremmo citare anche i banlieusards o i londinesi dell’East End, o qualsiasi altro gruppo sottoproletario storico che ci venga in mente, ma nessuno supererà in vecchiaia i lazzari. Il lazzaro napoletano è più che uno status sociale, è l’archetipo dell’urbanita che vive di espedienti e criminalità; lo vediamo citato sin dalla novella di Boccaccio su Andreuccio da Perugia mentre è intento a ingannare l’ingenuo protagonista, e poi di nuovo in prima linea in tutte le maggiori insurrezioni scoppiate nella capitale sudista da Masaniello in poi, sempre schierato dalla parte di chi lo avrebbe ricompensato meglio.
Quale ambiente sarebbe stato più fecondo di Napoli per la creazione del modello di straccione che in altre parti d’Europa ha funto (e funge oggi più che mai) da motore del progresso?
Ricco, povero, benestante, colto, ignorante o semicolto che sia, ogni napoletano ha sempre nel proprio DNA un po’ di quell’archetipo, ed è per questo che quando si ragiona di Napoli la parola cittadinanza è inadatta, perché cittadino è colui che è consapevole del suo ruolo con relativi diritti e doveri che ne tutelano la proprietà.
Oh, mi sono appena ricordato che questa doveva essere un’analisi elettorale!
Tutto sommato però gli elementi per trarre delle conclusioni ci sono tutte: la città stracciona ha votato in direzione ostinata e contraria rispetto al resto di una nazione di cui non si sente assolutamente parte culturalmente ed eticamente, da cui si sente fieramente odiata, e con la quale non si sente nemmeno accomunato per i problemi che la affliggono.
Mentre il resto d’Italia diceva Ci siamo rotti il cazzo dei barconi e delle tasse, il napoletano pensava alle imposte che possono venir scalate dai soldi delle truffe assicurative e a quante Balenciaga false avrebbe potuto comprarsi coi restanti alla bancarella di fratm o’ nir (genericamente chiamato Koulibaly)
L’italiano infatti crede sia logico che lo stato si debba occupare di tutelare proprietà e valori morali della società per cui produce ricchezza, mentre per il napoletano è l’esatto contrario: o’ shtato pensasse a farmi campare bene che a difendere quello che ho di più caro sono secoli che ci riesco benissimo da solo.
Tale mentalità è l’essenza dell’antipolitica, e il Movimento 5 Stelle con la sua non-ideologia è sicuramente riuscito ad attirare l’attenzione in questo sfortunato angolo del continente, ma non è bastato questo. Alle elezioni locali vale ancora la regola tribale del baratto, voti in cambio di favori, come anche succedeva prima dell’avvento grillista.