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L'Ideologia Californiana

L'Ideologia Californiana
Dovremmo costruire in Europa un gigantesco firewall e tenere fuori gli americani. Richard Barbrook, co-autore del libro, in una intervista che stavo sentendo prima di scrivere. Che dire: basato.

L’Ideologia Californiana e le sue Conseguenze sono Lezze

La tesi del libro, o meglio del lungo articolo americano con due premesse all’inizio e alla fine, è la seguente:

Si è creata nel corso degli anni Novanta una vera e propria ideologia californiana figlia di mamma Yuppie e papà Hippie.

Il risultato è un ibrido tra l’anti-totalitarismo degli hippie e la completa competizione predatoria degli yuppie. L’ambiguità sessuale, identitaria e fisica degli hippie e la valenza del capitalismo yuppie. Insomma hanno creato un mix clamoroso, quasi accelerazionista, ma per nulla capace di sovvertire a favor di popolo qualcosa, finalizzato unicamente ad aumentare profitti, generare accessi a realtà sempre più potenti nel panorama americano.

E infine: sovvertire agende altrui, rendendole proprie.

Sembra una supercazzola, è così, ed è anche peggio.

Siamo vicini alla nella distopia.

E io voglio premere l’acceleratore.

Figa, volevo Blade Runner, non sta ciofeca.

Partiamo dalle premesse:

Transumanesimo e California

Si tira fuori molto spesso il termine transumanesimo, transumanista e altro per identificare questo o quell’uomo/donna/cyborg. Si crede giustamente che il transumanesimo sia – a destra – il peggior insulto – a sinistra – una prospettiva per tutti.

Quel che è in realtà è solo un termine.

Utilizzato per la prima volta  da Julian Huxley nel saggio: Nuove Bottiglie per Nuovo Vino:

⚞La razza umana può, se desidera, trascendere se stessa [...].  E per questa nuova terminologia serve un termine.  Forse “transumanismo” andrà bene: l’uomo che rimane umano, trascendendo però se stesso, così da poter esprimere tutte le potenzialità insite nella sua natura.⚟

Questo termine, del lontano 1957, ha influenzato l’informatica, la robotica e la fantascienza, trasformandosi in una ideologia inizialmente democratica, hippie e anarchica.

Fino all’ingresso e spaccatura dei fatti di People’s Park di Berkley del 15 maggio 1969 quando una grossa occupazione hippie, che aveva trasformato un cantiere dell’Università di Berkley in un parco clandestino, piantando alberi e fiori, venne sgomberata con la forza dall’allora governatore della California Ronald Reagan. 

128 persone ferite, un morto, ma un matrimonio:

Colui che sgomberò in qualche modo rapì l’ideologia hippie, e, una volta violentata dai valori ribelli, le mise giacca e cravatta, facendo diventare quei figli dei fiori in uomini d’affari. La cultura della presidenza Reagan (1981-1989), col suo neoliberalismo sfrontato e il suo odio per i rossi in colbacco, ha fatto emergere gli yuppies, gli arricchiti dalle nascenti tecnologie informatiche, dalla finanza globalizzata e dal governo ipercapitalista del presidente.

In un attimo quei ragazzi figli dei fiori si trovarono ricchi da far schifo e il risultato ce l’avete nella tasca dei pantaloni, vibra ogni dieci secondi circa per ricordarvi della fidanzatina, del lavoro o del telegram di Blast.

Tra loro, lettori di Wired (oggi sito di merda, ma una novità all’epoca) promulgava la tecnologia come fonte di ricchezza, democrazia e indipendenza dallo Stato Federale, e questi arricchiti transumanisti di nuova fattura trovarono terreno fertile a nella Silicon Valley per iniziare a muovere i primi passi nel progresso informatico, aiutati anche da sgravi fiscali e dal tanto odiato Stato Federale che li sovvenzionava (e tutt’ora sovvenziona) ogni innovazione informatico-tecnologica. 

Sembrava andare tutto bene, e in effetti è andato divinamente bene. Senza nessuna competizione, tranne la recente industria cinese di Shenzhen – unica capace di competere tra i draghi asiatici contro il grosso mostro californiano – sembra che l’ascesa della tecnocrazia sia l’unica via possibile.


Nel libro emerge un vero e proprio apartheid simulato e digitale. Laddove nel Sudafrica bianco – o nella Rhodesia o negli USA – esso era un divario tra bianchi e BIPOC (Black Indigenous and People of Color) ora queste disuguaglianze  vengono portate nel digitale. Non è una fregnaccia antirazzista la mia, forse sono l’ultimo a doverne fare, bensì una constatazione. I CEO di queste belle Zaibatsu/Corps sono o bianchi WASPBianchi, anglosassoni e protestanti – o ebrei ashkenazi(s)ti.

Inutile negare che il futuro apartheid digitale imposto dalla California sia aperto a tutti, finché non viene a meno la propria influenza sociale e informatica. Confinare i nuovi schiavi, bianchi poveri, neri, asiatici, nativi in ghetti, mentre bianchi e ebrei se la spassano con realtà simulate, cyberversi e altre fantastiche ammalianti illusioni. Mentre il pianeta ecologicamente va a puttane.

Una seconda teoria per superare la Terra, sempre dei nostri californiani, sarebbe l’esplorazione spaziale, spedire razzi di ricchi tecnocrati e schiavi su Marte, terraformarla. Qui vi è un bel problema: a parte la Space X di Musk, chi altro riesce a sviluppare tecnologie che nemmeno lo Stato Federale vuole in qualche modo portare avanti?

La corsa spaziale è finita, o meglio, non vi sono più volontà e faustiane ambizioni per raggiungere quello o quel pianeta – o almeno così è quanto sappiamo.

Le promesse di Musk di colonizzare Marte sono state un buco nell’acqua, o meglio, una grande e bella sparata. Mai fidarsi dei figli di magnati degli smeraldi, sanno vendere anche i cocci di birra come stelle dal cielo.

Terza teoria, quella che fa scassare: città in mezzo all’oceano, su piattaforme ancorate al fondale. Vere e proprie città-stato in acque internazionali, sorvegliate da polizia privata su motoscafi. Tutto questo solo perché non gli piace dividere la California con le tasse o aiutare qualche fratello in difficoltà.

Salto temporale a oggi.

Vorrei aprire con una domanda e darvi una risposta.

Odiate la tecnologia o solo chi ne fa uso?

L’ideologia californiana, i redditors, le transfemministe, la xenoleft, i larper su Telegram, i tweet dei cafoni politici, il diritto di parola ai coglioni, gli influencer, la filosofia pop. Queste cose di certo le odiate, ma ahimè fosse facile distruggerle, avremmo già incendiato i computer e i telefonini: Non è la tecnologia il male.

Perché? Beh, non sareste qua a leggerci, sareste in un buco nel fango a farvi le seghe sulle veneri di Willendorf, aspettando l’arrivo dei carri indoeuropei.

Ho una confessione: di recente abbiamo avuto in redazione un coming-out… era BruceKetta, ha detto di essere fascista.

Bene, io sono transumanista.

Woah!

Non nell’accezione californiana, quella che tutt’ora permette ai tuoi cari (se ricchi) di congelare sangue giovane e trapiantarselo per non invecchiare, o di farsi scansionare il cervello e caricarlo in una banca dati, o di spiarti tramite algoritmi e renderti dipendente da passioni digitali quali social, porno o infotainment su Youtube.

No no…

Io voglio accelerare così tanto da diventare un automa di dieci metri pronto a devastare la terra.

Io sono felice se si progredisce con la tecnologia, ma citando il Grande Lebowski, non siamo nel Vietnam, qui ci sono delle regole.

La prima è ovviamente che Zuckemberg, Jobs, Musk, Gates o Bezos devono lasciarmi in pace, come lo Stato, o direttamente venire eliminati da gente migliore di loro, come me per esempio.

Nemmeno è un tassare i ricchi, mangiare i ricchi.. Hanno troppi soldi e sono troppo influenti. Vorrei ucciderli e mangiarli, prima che siano in grado di clonarsi e vivere per sempre grazie ai feti abortiti o all’adenocromo.

La seconda: semplice semplice, vorrei usare la tecnologia per tornare a un’ipotetica Età dell’Oro, dove l’uomo è a contatto con lo Spirito e gli eroi fanno le loro cose da eroi senza tante ingabbiature sociali.

Pensate quanto doveva essere bello il cielo quando si moriva a trent’anni massimo. E pensate a come il mondo fosse simile a Pokémon, ti svegliavi a 10 anni e partivi all’avventura, pochi cazzi, tanto divertimento.

Il mio non è solo un transumanesimo, il mio è un elogio al Futurismo. Vorrei sostituire il transumanesimo con esso, con un termine positivo come Futurismo, e non con qualche bevandina alla soia mentre guardiamo su Instagram delle troie ballerine.
E se Dio lo vuole, prima o poi torneremo al Futuro, lasciandoci indietro i sogni di onnipotenza e immortalità degli americani, per concentrarci su creare un Futuro vero, e soprattuto: reale.

Loro vogliono il Metaverso, il cyberspazio, un’apartheid digitale, dove se non sei abbastanza incline alle loro idee, non hai like o consenso, non entri nei loro quartieri o direttamente nei loro universi. Io direi: si fottano, noi gli entriamo in casa mentre hanno indosso il casco della realtà virtuale e ci mettiamo a cagare sul tappeto.

Loro vogliono una città stato californiana dove aggirare regole e tasse, o direttamente off-shore in acque internazionali? Vogliono scappare? Lassà sta, bagai, lassali nel loro brodo. Che sia il mare a prenderli, pirateria schizofrenica per portargli via donne e carne vegetale, per incendiare le loro belle cittadine marittime o quel buco di San Francisco. Facciamo i pirati in vista di queste belle cittadine in mezzo all’Atlantico.

Loro vogliono dividerci in categorie di mercato, a cui vendere questo o quel prodotto informatico, fisico o digitale, che ci rappresenti e ci faccia sentire fighi? E noi li fabbricheremo con stampanti 3D e sistemi digital-artigianali regalandoli ai barboni insieme a un pacco di sigarette, una boccia di vino, un coltello e la foto di uno di questi miliardari.

L’imperativo: è quello che ti ha ridotto così, divertiti!

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