Chiariamo subito: me ne fotto di questo derby
tra fascisti russi e nazisti ucraini, tra paladini dell’Occidente e paciofondai (cit. Vicky di Casapau) sulla pelle degli altri, tra le liste di proscrizione di Gianni Riotta e il canale Telegram di Amedeo Avondet.
Me ne fotto anche dei convegni putiniani di Modena, che trovo di un cinismo meraviglioso (cosa c’è di meglio di celebrare la rinascita di Mariupol dalle sue ceneri come un qualunque Cesare accelereazionario?)
Comunque, dicevo, non è di questo che voglio parlare.
Voglio affrontare la guerra da una prospettiva diversa, per certi aspetti nuova. Partiamo dal presupposto che quello a cui stiamo assistendo, propaganda o meno, è uno scontro di civiltà tra Oriente e Occidente.
Da storico, ricerco le cause profonde.
Il Donbass, la Crimea, Chruscëv, i bersaglieri di La Marmora, la Repubblica di Genova? No, la Mesopotamia! La terra tra i due fiumi, che vide alle sue rive Isacco di Ninive. Da qualche tempo, infatti, sono interessato alla ricerca delle origini dell’Occidente, ed è lì che voglio tornare.
Dunque, partiamo. In principio era il fiume.
Mesopotamia, Egitto, India, Cina, Asia centrale e Mesoamerica: che cos’hanno in comune le prime civiltà urbane? La presenza di un fiume
. Tigri ed Eufrate, Nilo, Indo, Fiume Giallo… Non fiumi qualsiasi. Fiumi al centro di una grande piana alluvionale
, circondati da terre aride, con un clima secco.
In queste zone, l’agricoltura pluviale non è possibile.
Prendiamo il caso della Mesopotamia. Avete presente la storiella della Mesopotamia terra fertile?
È una balla, una balla colossale. Solo a nord, nella Jazirah, le precipitazioni raggiungono i 200mm annui. L’area è paludosa, nella conca (cioè tutta l’area centro-meridionale: tra Baghdad e Nasiriya c’è un dislivello di soli 20/30m) si concentra acqua salmastra o marina.
L’argilla contiene sale, e complessivamente l’area è arida o semiarida, in antichità come oggi.
La vegetazione spontanea è quasi totalmente assente, con l’eccezione di alberi ad alto fusto come le palme, che crescono in palmeti attorno ai canali. Tutto attorno, la steppa, o forse più una specie di savana, con una vegetazione a basso fusto molto rigogliosa.
Volete coltivare orzo e granaglie? L’agricoltura è improduttiva, soprattutto nell’area paludosa a sud. Volete costruire?
Il legno e i giacimenti minerari sono del tutto assenti, si trovano solo sul Tauro e sull’altipiano iranico.
Avete la palma, ma non brucia ed è inadatta a costruire: il tronco di palma è resistente ed elastico, quindi funziona per la trabeazione, ma non in verticale.
Allora, com’è possibile? Com’è possibile che la civiltà, intesa come civitas, quindi come città, quindi come storia, sia nata proprio lì?
Eppure, l’acqua è proprio lì vicino, e in grande abbondanza! Come fare, quindi? Semplice: l’agricoltura estensiva.
Questi alluvi fluviali, se sistemati a livello idrologico, sono potenzialmente in grado di nutrire grandi concentrazioni di popolazione.
Perché ciò avvenga, però, è necessario che ci sia una dirigenza forte, capace di gestire l’esecuzione e la manutenzione di grandi opere di canalizzazione.
«È l’immutabile legge del deserto: controlla l’acqua e controllerai ogni cosa»
Dice una saggia tartaruga, per una volta non il maestro Oogway ma John, il sindaco di Polvere.
È così che nasce una connessione tra irrigazione, urbanizzazione e dispotismo, già notata dal geografo Karl Ritter, da Hegel, dai teorici del primo evoluzionismo socioeconomico, in particolare Stuart Mill e Marx, e da studiosi dell’antichità come l’assiriologo tedesco Anton Deimel.
Solo nel 1957 questa teoria riceve un solido impianto teorico a opera del sinologo tedesco Karl Wittfogel, emigrato negli Stati Uniti, in un’opera di polemica politica dal titolo Il dispotismo orientale. Wittfogel era un marxista antistalinista e si fece influenzare dal concetto di modo di produzione asiatico, formulato da Marx e criticato da Stalin. Wittfogel introdusse il concetto di società idraulica
, che per lui è appunto un fenomeno tipicamente orientale, ma non in maniera esclusiva. Del resto, Wittfogel prese in esame realtà molto distanti tra loro: India e Cina, l’Egitto faraonico, la Mesopotamia sumerica e babilonese, la Roma imperiale, Bisanzio, il califfato islamico, Maya e Inca e persino le isole Hawaii.
Gli Stati idraulici – dice Wittfogel – sono grandi costruttori e grandi organizzatori: edificano templi e palazzi colossali, capitali, cinte murarie, fortezze, strade e stazioni di posta, hanno la capacità di mobilitare manodopera in quantità.
Gli Stati idraulici danno vita a sistemi di calcolo e di organizzazione contabile, alla scrittura, alla burocrazia, alla tassazione, alla corvée, al controllo della popolazione tramite censimenti, catasto, parametri di rendimento, e ancora a sistemi di informazione, reti stradali, servizi di posta e indottrinamento propagandistico. Il potere dello Stato idraulico è un potere totale
, totalizzante, quasi totalitario. La libertà esiste, e checché ne dicesse Hegel non riguarda solamente il principe, ma è una libertà priva di autonomia, esiste solo in ambito familiare o locale, all’interno di cooperative o di organizzazioni religiose.
È quella che Wittfogel chiama democrazia da pezzenti.
Le teorie di Wittfogel sono state molto criticate, prevalentemente per ragioni di tipo ideologico. L’idea che l’irrigazione fosse fondamentale verso l’urbanizzazione e la statalizzazione
fu riproposta dall’antropologo statunitense Julian Steward in maniera più flessibile e l’opera fu accolta positivamente.
In un simposio dal titolo City invincible. Urbanization and Cultural Developement in the Ancient Near East
che si tenne nel 1958 presso l’Oriental Institute di Chicago, Robert McCormick Adams, uno dei padri dell’archeologia processuale, sostenne le ragioni della complessità e della progressività, affermando che i più antichi sistemi di irrigazione erano di raggio locale, mentre i grandi canali e i sistemi regionali appartengono a una fase in cui le città esistevano già da tempo, e quindi sarebbero più una conseguenza che una causa dell’apparizione di sistemi dinastici.
Analogamente, McGuire Gibson e Carl Lamberg-Karlowsky sostengono che l’irrigazione si può gestire a livello locale. Per quanto riguarda l’Egitto, secondo alcuni ci sarebbero state due fasi, una africana
, fondata sull’agricoltura pluviale, e una asiatica appunto, fondata sui grandi sistemi di canalizzazione.
Wolfgang Schenkel ha introdotto una classificazione di tipo tipologico-evolutivo: una prima fase (fino all’Antico Regno incluso), caratterizzata da irrigazione naturale/stagionale per bacini; una seconda (Primo Periodo Intermedio: 2160-2055 a. C. circa) di irrigazione stagionale/artificiale per bacini; una terza a irrigazione permanente mediante canali (dal Medio Regno)
Ma se per l’Egitto occorre una maggiore cautela, per la Mesopotamia il modello di Wittfogel può dirsi in linea di massima efficace. In Bassa Mesopotamia, testi amministrativi e problemi scolastici relativi allo scavo di canali dimostrano che l’operazione di costruzione di canali era gestita dallo Stato.
A Larsa esisteva un vero e proprio Ufficio Irrigazione, con funzionari a tempo pieno, ispettori, e migliaia di corvée, anche per la manutenzione. A Lagash, invece, ai tempi della III dinastia di Ur (2112-2004 a. C.), i canali erano gestiti localmente.
Il punto è che occorre distinguere il problema della gestione di sistemi già messi in opera da quello della costruzione degli stessi.
L’assiriologo francese Dominique Charpin, esponente dell’École des Annales, ha dimostrato che in età paleobabilonese i canali erano costruiti dal re, ma gestiti localmente. Questa posizione mediana è quella che oggi prevale.
Anzi, Michael Harrower ha dimostrato che anche in Yemen si può provare l’esistenza di una correlazione tra irrigazione e urbanesimo.
Del resto, lo stesso Wittfogel distingueva i piccoli sistemi di canalizzazione a dimensione di villaggio, gestibili a livello locale, dalle grandi opere idrauliche di raggio regionale, inattuabili senza un controllo dispotico su ingenti masse di manodopera. Inoltre, identificava aree idrauliche compatte (Egitto faraonico e Sumer) e non compatte (Assiria), aree centrali e marginali, aree continue e discontinue.
Insomma, l’impianto delle tesi di Wittfogel si può considerare sostanzialmente valido, come sostenuto di recente (2009) da Matthew Davies in un fascicolo di World Archaeology dedicato alla Archaeology of Water
. Davies nega il carattere dispotico, sostenendo che vi sono varie scale di intervento politico-manageriale.
Oggi lo Stato mesopotamico è visto come un organismo complesso, centrato sul palazzo del despota ma con una pluralità di attori connessi da rapporti non di semplice dipendenza da un organismo centrale monocratico e totalizzante.
Ora, cosa c’entra tutto ciò con la Russia e l’Ucraina?
Come si diceva, Wittfogel era un marxista antistalinista, e nella Russia zarista e sovietica vedeva una società di tipo asiatico o semi-asiatico.
Anzi, alla Cina di Mao suggeriva di abbandonare le tappe del marxismo ufficiale. Per questo, l’opera di Wittfogel fu criticata aspramente sia dai liberali sia dai marxisti ortodossi. Va detto, inoltre, che Wittfogel conosceva solo gli studi di assiriologia e di egittologia, ma non sapeva nulla di archeologia e ignorava il concetto di rivoluzione urbana, introdotto da un altro illustre marxista, Vere Gordon Childe.
Proviamo a inserire le teorie di Wittfogel all’interno di un dibattito più ampio, quello tra la città occidentale e la non-città orientale, perché è sul piano urbanistico che si delinea una prima grande frattura tra Oriente e Occidente.
Del resto, il concetto di civiltà è molto ampio, e secondo Ferdinand Braudel (L’identité de la France, Parigi, Arthaud-Flammarion 1986) comprende «il modo di nascere, di vivere, di amare, di sposarsi, di pensare, di credere, di ridere, di nutrirsi, di vestirsi, di costruire le abitazioni e di raggruppare i campi, di comportarsi gli uni nei confronti degli altri»
Sin dall’antichità, vi è l’idea che solo la πόλις greca
sia la vera città. Secondo Tucidide e Aristotele, non basta vivere in una città per esserne considerati cittadini (in città vivono anche schiavi e meteci!)
Insomma, la πόλις coincide sia con la materialità urbanistica e architettonica (quella che in francese si chiamerebbe ville) sia con la sua struttura sociopolitica (la cité: idea che arriva fino a Rousseau)
Gli antichi elaborarono anche modelli utopici della πόλις ideale, che per Platone (Leggi V, 737-738) deve avere 5040 cittadini in età da combattenti e per Ippodamo 10000 (Aristotele, Politica II, 8)
Città più grandi esistevano solo nel mito, per esempio Atlantide, che contava 20000 abitanti ed era connotata con i tratti tipici del dispotismo orientale. Poco dopo la distruzione di Ninive (612 a. C.), Focilide scriveva: «una città piccola ma piazzata su un alto promontorio e ben ordinata è più forte della folle Ninive»
L’idea è che 5000 persone sono una comunità di cittadini; 50000 una turba di servi.
Quest’idea arriva fino ai giorni nostri.
Secondo il già citato Hegel, la storia universale è la vicenda della progressiva affermazione della libertà
: negli imperi orientali – che non sono veri Stati – a essere libero è uno solo, il despota, e quindi si tratta di arbitrio, di privilegio; in Grecia e a Roma la libertà è di alcuni
; nel mondo cristiano-germanico la libertà è di tutti.
Il dispotismo orientale si materializza nel palazzo; la libertà di alcuni nella πόλις; la libertà diffusa nello Stato moderno, etico.
Carlo Cattaneo (La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, 1858) parlava delle città orientali come «grandi accampamenti murati, ove l’orda conquistatrice raccoglie le prede di guerra e i tributi della pace […]. Quelle pompose Babilonie sono città senz’ordine municipale, senza diritto, senza dignità; sono esseri inanimati, inorganici, non atti a esercitare sopra sé verun atto di ragione o di volontà, ma rassegnati anzi tratto ai decreti del fatalismo»
Fino ad arrivare a La città antica di Numa Foustel de Coulanges (1830-1899), in cui le città sumeriche sono percepite come semplici centri religiosi, Babilonia e Ninive come giganti vuoti o enormi accampamenti, le città egizie come esito del volere dispotico del faraone, le città levantine come semplici emporî, le città anatoliche come abortive, quelle micenee come palazzi allargati.
Per Foustel de Coulanges, la città occidentale, o meglio la πόλις, è proiettata verso l’esterno, pensata a misura del cittadino, con edifici pubblici, spazi aperti (dal μέγαρον miceneo all’ἀγορά classica) e mercati, mentre quella orientale è chiusa in sé stessa, colossale e autocratica.
Quest’idea rimase sostanzialmente invariata per molto tempo.
Il grande orientalista Jacob Burckhardt, nelle sue lezioni sulla storia universale tenute a Basilea intorno al 1870, introdusse una distinzione tra un Oriente profondo dispotico e totalitario e un Oriente mediterraneo più vicino a quello greco, quello delle città-Stato fenicie, ma mantenne comunque una distinzione di tipo etico, sostenendo che queste ultime, a differenza delle πόλεις greche, erano a fondamento commerciale, e quindi materiale, venale.
Santo Mazzarino, che aggiunse a questo quadro le città aramaiche e neoittite, ignote all’epoca di Burkhardt, conservò una distinzione qualitativa tra città-Stato occidentale e Stato-città orientale. La prima sarebbe una comunità di cittadini che dà vita e gestisce uno Stato che è anche territoriale, mentre il secondo un territorio che si accentra su una città regia.
Come si può vedere, i due modelli sono perfettamente sovrapponibili.
La non-città orientale, lo Stato-città, il Leviatano, l’impero, nasce in presenza di grandi alluvi fluviali
, mentre la πόλις nasce in un contesto idrogeologico completamente diverso, ed è intrinsecamente votata all’espansionismo coloniale di matrice democratica (nel senso che esporta la democrazia) perché incapace di sostenere l’incremento demografico.
Insomma, Russia e Ucraina sono entrambe potenze idrauliche, che combattono una guerra idraulica per accaparrarsi il bacino del Dnepr. Come sarebbe stata diversa la Storia se anziché il Dnepr la Russia avesse avuto fiumi come l’Acheloo, e se anziché l’Acheloo la Grecia avesse avuto fiumi come il Dnepr!
A dire il vero, anche in Grecia le cose sarebbero potute andare diversamente. Per esempio, sappiamo che Micene e Tebe intrapresero grandi progetti agricoli, mostrando una qualche forma di dominio sui centri secondari circostanti, il che potrebbe essere una prova a favore di una vecchia teoria degli anatolisti, quella che vuole uno Stato miceneo unitario (le fonti ittite parlano di Aḫḫiyawa, cioè degli achei, come di un grande regno, al pari dell’Assiria, della Babilonia e dell’Egitto)
Ma poi le asperità montuose della democrazia greca ebbero la meglio e la confederazione omerica fu dimenticata.
Se vi può sembrare strano parlare del conflitto in questi termini, sappiate che ancora oggi la maggior parte delle guerre avviene per il controllo dell’acqua
.
E anche in questo conflitto l’acqua riveste un’importanza fondamentale
(pensate alla distruzione della diga di Kakhovka o alla brillante operazione “Tremore della Terra”, con la quale i russi, recentemente, sono penetrati in un’area strategicamente importante di Avdiivka passando attraverso le tubature e piombando alle spalle delle difese ucraine).
E quindi, signori miei, non si vince con l’atomica, ma si vince con l’acqua.