Come un macigno ce lo dobbiamo portare costantemente sulle spalle, sapendo che è lì, ignorandolo il più possibile al fine di sopportare il suo peso immenso che ogni anno cresce inesorabile.
A volte ci chiediamo, singolarmente o come collettività ormai ampissima, se non sarebbe meglio mollare questo peso, lasciar rotolare a valle il masso sisifico per poter correre in avanti, in alto, sempre più in là e sempre più in su verso un futuro radioso ancora da scoprire.
La tensione tra una risposta positiva o negativa a questa domanda va avanti ormai da molti secoli, si potrebbe sostenere fin da quando il Rinascimento tentò di rinnegare il turbolento Medioevo europeo in favore del passato classico più confortevole per la classe di intellettuali umanisti.
Attenzione, costoro non sembra percepissero questo periodo aureo come tempo perduto da rivitalizzare, anzi lo vedevano come un eterno presente rotto dalla barbarie e dall’oscurantismo portato da confuse genti senza identità e che quindi poteva essere restaurato alla sua forma primigenia.
Eppure i rinascimentali erano i figli primigeni del Medioevo, la vetta ideale dell’epoca precedente. Tutto ciò che avvenne prima PRODUSSE
l’umanesimo.
Rinnegare mille anni di storia e cercare di riallacciare la ferita tramite uno sforzo intellettuale titanico. Sforzo che sembra essere venuto meno negli ultimi duecento anni, prima con la fascinazione romantica, piuttosto mistificante, poi con gli studi approfonditi e salvifichi di Bloch e Huizingal, per citarne giusto due.
In cinque secoli abbiamo imparato ad accettarlo
, non come grande antenato di cui vantarsi ma come prole deforme da nascondere ma che non possiamo fare a meno di osservare quale fenomeno da baraccone, almeno nella cultura di massa.
Premessa vaga. Un po' circolare ma che intavola una riflessione affascinante per alcuni e inquietante per altri:
In questi mesi stiamo cercando affannosamente alcune ragioni che potrebbero aiutarci a comprendere l’oggi e immaginare il domani.
Guerre atroci, migrazioni di genti, decisioni di Stati appaiono come prodigi inspiegabili per chi fotografa una finestra di cinque anni fa, venti anni fa, cento anni fa. La storia ci insegna tante cose ma una è quella su cui vorrei soffermarmi: il lungo periodo.
Tutto ciò che avviene è sempre frutto diretto o indiretto di cose che sono avvenute in un tempo sempre più remoto e nebbioso mano a mano che si ripercorre a ritroso. Il filo che collega le epoche esiste e può aiutarci nell’esplorazione.
Il filo si può tendere e diventa una retta che va avanti all’infinito verso entrambe le direzioni:
Se osservassimo solo i punti singoli ne coglieremmo sì diversi dettagli, ma perderemmo il percorso di questo lunghissimo filo.
Osservando il filo in tensione vedremmo più chiaramente chi sono i popoli che appaiono sui notiziari, le identità delle nazioni in conflitto al telegiornale, come funzionano le nostre società e come funzionano le nostre istituzioni.
La storia non è la risposta a tutte le domande riguardo noi stessi come umanità, ma è un tassello fondamentale, soprattutto grazie all’integrazione con altri ambiti di indagine delle scienze umanistiche che le donano sfumature e profondità, per comprendere chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.
E quindi ben venga il macigno da portarsi appresso che seppur scomodo ci costringe ad allenare i bicipiti della mente per affrontare meglio ciò che la sempre nuova realtà ci impone. Possiamo alleggerirlo del superfluo, secondo la nostra sensibilità, o scolpirlo per tramutarlo in una gradevole statua, eppure il peso deve esserci, la fatica di ripercorrere il filo e toccare i punti di tensione con i nostri ragionamenti deve esserci, la memoria collettiva e la storia umana devono esserci.
Diffidare da chi chiede Ma fino a quando dobbiamo andare a ritroso per capire ciò che avviene? con presunzione di avere una risposta.
La differenza si nota tra chi ha voglia di portare un peso maggiore e percorrere una parte più lunga del filo, se non percorrerlo tutto. Toccare il filo, giocher ellarci, sfiorarne i nodi…
Questo lunghissimo stream of consciousness è evidentemente scritto da uno studioso di storia che sta cercando di difendere la propria materia, o almeno un aspetto di essa.
Molti potrebbero non essere d’accordo, ma il mio obiettivo non è avere ragione ma porre delle questioni e dare un punto di vista in modo tale da invitare chi legge a riflettere.