11 mesi

Il mio amico Yukio

Il mio amico Yukio
Lettura boomer
Iniziamo così, una lettera aperta, una risposta chiusa. Una persona che ha scaldato il mio cuore nelle notte infauste, una persona che ha scaldato un paese nel momento più caotico. 
La maggior sciagura per un uomo d'azione è di non morire, neanche dopo aver raggiunto un ultimo punto giusto.
- Yukio Mishima

Miyamoto Musashi, samurai leggendario, ronin, poeta e spadaccino giapponese visse durante il periodo Sengoku, la continua guerra tra daimyo, signorotti della guerra, razziatori, abili diplomatici.

Miyamoto Musashi era quel genere di persona che prevedeva il futuro, come una itako, sciamane shintoiste capaci di chiaroveggenza e comunicazione con i Kami grazie alla loro cecità.

Miyamoto Musashi non perse mai un duello.

Secondo me, avrebbe voluto tantissimo, quasi accettare di essere mortale.

Ma non ebbe mai l’occasione di essere ucciso.

Il gustare la mortalità, l’estetica del teschio, delle ossa, della decomposizione.

Ma aver vissuto, aver osato e aver distrutto quello che è il confine tra uomo e leggenda.

Yukio Mishima è più conosciuto per la sua morte che per la sua vita, e a volte penso sia proprio questo il suo scopo.

Yukio Mishima è quel tipo di soggetto divisivo, come una catastrofe in un’allegra cittadina, tranquilla e placida, scossa da un magnitudo 9.0 della scala Richter.

Yukio Mishima è uno dei motivi per cui ho iniziato ad apprezzare, leggere e consigliare, letteratura giapponese non light novel, visiva e moderna, ma preferire lui, il rivale Osamu Dazai, Natsume Soseki e la poesia prematura di Michizo Tachihara

Nato a Tokyo, morto nella stessa città.

Nato in Giappone, ha viaggiato il mondo per la bellezza.

Morto in Giappone, diventato una controversa leggenda, un folle, un rinnegato, colui che ha parlato del problema spirituale, scordandosi l’educazione materiale del post Hiroshima.

Omosessuale, anarchico, fascista, culturista, banale, epico.

Fin dall’infanzia rappresenta il rampollo della Tokyo bene, cresciuto dalla nonna, distante dai genitori. Fin dall’infanzia un sollievo solo era dato da osservare i muscoli dei soldati.

Dalle sue confessioni, alle sue fantasie e sogni, passò poco prima che ne vedesse molti.

Cinesi, giapponesi, coreani, indonesiani.

Il Giappone di Hirohito e della Taisei Yokusankai, il militarismo, l’espansionismo, la coprosperità imposta dall’alto della canna del fucile, fin dove si poteva andare, si andava, con il Sol Levante alle spalle, là dove nasce la dea Amaterasu, antenata dell’imperatore. 

Si arruola, non subisce nemmeno una ferita.

Lui desiderava esplodere come un fuoco d’artificio, lacerare il cielo, gridare il Tenno Heika Banzai, prima di disperdersi, come cenere e carburante di uno Zero.

Trafitto, umiliato, vide la fine della divinità, l’inizio della mollezza.

Vide la sua sensibilità farsi carta, Confessioni di una Maschera.

Vide la fama, nemmeno trentenne, perché la gioventù avanza sempre quando ha dietro il genio.

Vide la gloria, odiò i salotti, crebbe e si fece sempre più pallido.

Finché non capì che la bellezza, la Bellezza, stava anche nel corpo.

Temprato da sole e acciaio.

Culturista, in tarda età, nemmeno troppo spolpato, nemmeno troppo vecchio, seppur in ritardo.

Il tempo stringe, Kimitake, si ripeteva, quello il suo vero nome.

Finché.

Esplosione.

Viaggi, il marmo greco, dibattiti universitari, rosso, nero, società, scudi, studenti, il Giappone erutta.

Rivolte sindacali, lavoratori, Armata Rossa Giapponese, Mao, Otoya Yamaguchi, Impero, tantō, costato, penetrare, distruggere, morire. Giappone, tuo amato Giappone, come si era ridotto?

In soli due anni era riuscito a radunare un culto intorno a lui.

Un culto di sangue, scudi, amicizia, amore.

Non riuscì a contenersi, dopo troppi libri letti, scritti, analizzati, pubblicati.

La Voce delle Onde, Scuola della Carne, Musica, Il Padiglione d’Oro.

Desiderava l’impossibile, come Neve di Primavera.

Lezioni spirituali, tenute da un samurai del cemento e dei neon di quella strana Tokyo, circondato dalla sua personale guardia, uomini d’arme, giovani reietti, sfigati, folli, guerrieri, determinazione.

Tatenokai.

Scrisse l’ultima frase.

Stracciò la carta.

Prese un sospiro.

La ricompose.

Guardò.

“Isao trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi: prese a tastarsi l’addome con la mano sinistra e vi premette contro la punta dell’arma, che teneva ben salda nell’altra mano; poi, dopo aver guidato la lama con le dita della sinistra verso il punto giusto, la affondò nella carne con quanta forza aveva. 
Nel preciso istante in cui il pugnale gli squarciò il ventre, dietro le sue palpebre il disco solare si levò immenso e radioso sull’orizzonte.”

Sapeva.

Patriottismo.

Morte.

Eroe.

25 novembre 1970.

Una mattina. Un gruppo di uomini. Forti bracci, fermano la porta, entra un uomo. Capo coperto da una fascia con sopra il sigillo del Sole, rosso, sfondo bianco. Assalto.

Entrano in casa del nemico, al dipartimento delle Forze di Autodifesa giapponesi.

Il generale Mashita, nel suo ufficio, legato a una sedia, circondato da invasori, alieni, folli.

Mishima afferra la maniglia della porta che da sul balcone.

Esce.

Pronuncia un discorso, nessuno dei presenti, una folla di soldati, quasi fosse un golpe, sembra capirlo, forse è il vento, forse l’accento, forse la frase.

Una vita per l’Impero.

Destinati a scomparire.

Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l'esistenza di un valore superiore all'attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo.

Tenno Heika, Banzai.

Torna nell’ufficio, guarda Mashita. Sorride, afferra il tantō, Mashita apre gli occhi, non è pronto.

Appena Yukio avvicina la lama al costato, Mashita ha paura, più di prima.

Cresce la tensione.

La lama penetra la carne, l’intestino esce.

Un colpo di lama dall’alto, Morita sbaglia il taglio. Due volte ancora. Disonore. Koga lo finisce, Morita si trafigge.

Miliardi di morti.

Statistica.

Due morti.

Tragedia.

Il sangue di Yukio cola, dalla testa mozzata, fino a impregnare un foglio, e un pennello da calligrafia.

La vita umana è così breve, ma io vorrei vivere per sempre.

Panico generale.

Nessuno esca dal dipartimento.

È un ordine.

Nessuno ascolta.

Funerali.

Faccia di Yukio su un grosso quadro, bara aperta, archi torii via via penetrati dalla bara e dalla processione.

Terrore, disperazione, onore, sollevazione.

Cremazione.

Desiderio concesso.

Fine.

Chiesi una volta a una mia amica italiana in Giappone di fare una foto alla sua tomba.

Quando me la inviò ero felicissimo, quasi fosse una Pasqua anticipata.

Risposi con un sacco di versi, con un sacco di gioia.

Gioire per una tomba.

Grazie Yukio.

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