IL PESO DELLE MANI - Capitolo V

IL PESO DELLE MANI - Capitolo V
Prendi del catnip, una birra e segui una ragazza. I palazzi crollano. Il quinto capitolo de Il Peso delle Mani. Solo su ilBlast.it!

Blast Presenta:

Il libro continua con il quINTo capitolo, solo su Blast!

Brasche di catnip sul vecchio costume a fiori che hai scambiato per un sacchetto di biglie.

Stelle sparse negli occhi come spilli di luce. Ce n’è in abbondanza in un cielo ridotto a poco, ridotto ad un tecnico piumeggiare di spettri. La luna trasluce nel riflesso. È piombo.

Non ne resta molta.

Uno scheletro che batte i denti sotto al neon di un’edicola ti ferma per chiederti come hai fatto, vorrebbe anche lui riposare, giusto un attimo.

Non lo puoi aiutare.

TEOTWAWKI ti ha restituito una notte di sonno in cambio di un incubo attraverso cui addentrarsi in te.

Al risveglio eri più stanco di prima, hai tremato tutto il tempo rigirandoti, violentato nel pensiero da quelle lunghe dita da spettro antico, storte e retoriche.

Esplodi in mille pipistrelli e sparisci lontano strepitando.

Lo scheletro resta a guardare nel vuoto dietro di te con l'indice alzato.

Ti inventi una profezia discorsiva sui gradini e la passi scritta su un coccio in gran segreto ai randagi che ti stanno vicino. È la tua scusa per restare amici, una promessa.

Avanzi sempre qualcosa anche per loro, purché non sia nostalgia.

Perché tu passi come passa il tempo, in un niente, dici a uno di loro.

Il mondo sta per schiantarsi e nessuno ti aspetta.

Di buono non rimane che una strana luce sui viali, ma settembre questa volta non è più una buona scusa per ricominciare.

You see the past, of the time passing fast.

Vorresti vedere il mare un’ultima volta.

Avere un’esperienza emotiva importante.

Rubare una bici ghignando, inseguito da cani pitbull.

Cadere dall’alto di un palazzo di ossa sulla terra della conoscenza e sapere tutto un istante prima di morire.

Vedere questa città per la prima volta. Farla esplodere dal suo centro, dal suo cuore di ferro e cemento che piange ancora l’andata dei suoi re.

Quella stella non canta più per noi nel crepuscolo.

Ci rimane solo il rimpianto generico delle cose lontane, la fatica di tutto quello che ci ha preceduto.

Non hai un tempo tuo ma non c’è rammarico. Non ti interessa. Non hai una profondità.

Tu sei sparso, ma non sei il mare.

Sei una bava di vento che si intreccia nei rami.

Non c’è attesa, tu vai comunque, sei impaziente.

Sei il peso che piega lo spazio come una vela e la buca. Sei la mano che inventa la dimensione. E poi la rende inutile.

Saperlo non allevia la tua condizione di ospite riemerso dalla schiuma. Hai ancora paura. Tutto sta per cambiare, si dice. O peggio: è già cambiato.

Il tempo è già tutto trascorso. Osservi un riflesso di quel che è stato.

Pulisci lo specchio col sangue delle nocche. Poi scendi in cantina a nasconderti dai saccheggi.

Cerchi in rubrica il numero dell’erborista.

I palazzi dell’impero, intanto che il protocollo ti assimila nella rete e la tecnologia impara ad assomigliarti, bruciano o crollano.

Versi della birra rimasta in un tombino e ti metti a battere alle porte come un amico di tutti molesto e pedante. Sei ubriaco della spotchka che un tipo ti ha offerto in cambio di un pugno di conchiglie.

Hai la gola a pezzi, le mani che tremano, un taglio sulla testa.

Non sai spiegarti. Uno spigolo uscito improvvisamente dalla notte su cui ti sei accasciato inciampando sovrappensiero mentre seguivi una ragazza che rincasava.

L’utero buio della madre numerosa che genera la varietà del mondo sua appendice si nasconde al termine della notte. Ti aspetta per farsi fecondare, per gonfiarsi e poi sgonfiarsi.

Le macchine filano come scarafaggi senz’anima nell’esplosione di sole che ti abbaglia svegliandoti in quell’aiuola nei pressi dello svincolo per il porto.

Ti alzi e riprendi il cammino, prosegui finché ne avrai ancora. A quel punto ti lascerai cadere sull'asfalto in ginocchio come un biondo eroe omerico sulla spiaggia, e saprai che il mare si è ritirato e il vento placato, e che del mondo non è rimasto che un tangram di ombre fatto con le mani, un ricordo, il tuo, destinato a perdersi.

Svuoti uno scaffale della cucina per nasconderti dentro e respirare

Continua

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