IL PESO DELLE MANI - Capitolo VI

IL PESO DELLE MANI - Capitolo VI
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L'Apocalisse è viva, folle portano icone per le strade. Il sesto capitolo de Il Peso delle Mani. Solo su ilBlast.it!

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Il libro continua con il Sesto capitolo, solo su Blast!

Sei salito sul tetto a fumare sotto il divieto.

Hai ingannato un cane con un boccone, l’hai rapito, hai chiesto il riscatto per la sua carcassa che hai lasciato sciogliersi nella terra battuta del seminterrato. Giravano le mosche e saliva un odore organico.

Hai litigato con dei disoccupati che fumavano cicche rollate davanti a una vetrina di Harley Davidson con le Jupiler in mano. Secondo loro le farfalle nere che volavano sulla valle ogni sera al tramonto non erano un presagio.

Il tuo appartamento scricchiola e da giorni un gabbiano prova ad entrare dalla finestra. Vuole il tuo pane secco avanzato sul tavolo. Tu lo scacci con le mani.

Hai dormito mezz’ora e sognato due scheletri che scopavano su un letto a baldacchino. Tu spostavi la tenda, erano i tuoi genitori, tu dovevi ancora nascere.

L’erborista non risponde e tu ripensi a quell’amico a cui lasci regali sul muretto dove un tempo trascorrevate le giornate.

Al telefono non rispondeva mai. Andavi sotto casa sua a lanciare sassi alle finestre.

Vi muovevate come serpenti per le strade. Guardavate le eruzioni solari sconvolgere l’atmosfera e il volo degli uccelli presagire il collasso del sistema terra.

Eravate già voi la fine di cui parlavate.

Lo sapevate, era sotto gli occhi di tutti, ma disprezzavate l’ossessione della rilevanza.

Aggrappati alle reti dei parchi osservavate il passaggio delle icone di mano in mano. Un rito di potere che non avreste mai voluto ripetere.

Con disperata freddezza hai giudicato inutili gli sforzi dell’umanità per conservare la fede.

La notte in città le persone si circondano di coperte strappate e pellicce un tempo costose e si avvicinano ai focolari improvvisati tra le macerie.

Qualcuno dorme ai bordi delle strade sventrate.

Qualche funzionario provvisorio ha voluto erigere un tempio di serietà intorno ai cani di vetro radunati dalla polizia del cucchiaio.

Sei passato il giorno dopo a raccogliere le carcasse.

Le hai rivendute a prezzo di mercato al macellaio arabo che lavora nello scantinato dell’archivio di stato. Hai fatto un buon affare.

Hai visto persone devote e severe che abitavano le arcate dei nuovi templi. Predicavano il secolo di TEOTWAWKI tenendo sollevata la tunica, camminando in sandali sulle rive del fiume che lambiva lo spazio sacro dedicato all’altare. Sopra di esso, la statua di un dio sciacallo con in braccio un bambino troneggiava spaventosa.

Una fila di individui sovrani e criptosuprematisti con occhiali avvolgenti e shorts militari si prostravano con sorrisi sottili.

Dall’altra parte della città, che hai attraversato schivando i tram e i digestori meccanici installati agli angoli di quartiere, ti sei fermato a parlare con uno sconosciuto che ti ha scambiato per qualcun altro. Poco dopo è arrivato uno che ti assomigliava, e ha preso il tuo posto davanti allo sconosciuto. Cercavano un cane scappato.

Ti sei chiesto quale dei due fosse l’autentico. Chi di voi due venisse prima. Chi si riflettesse in chi. Non avresti saputo dire chi fosse il doppleganger di chi.

Hai rotto un bicchiere all’osteria dell’orsa. Non ti sentivi più te stesso, eri confuso.

Il cameriere, un gemello siamese, ti ha chiesto di uscire dal locale, il giro lo offriva lui.

Un nugolo di farfalle nere ti ha travolto. Ti sei ritrovato di nuovo dall’altra parte della città.

Tappeti cinesi stesi alle finestre.

Anatre morte legate per le pinne ad una grata sul retro di un ristorante penzolavano colorate.

Il telefono continua a squillare dai Balcani. Una voce notturna, misteriosa e sorniona ti racconta profezie violente prima di riattaccare. Una voce ipnotica a cui devi resistere per non morirci dentro.

Sei tu che ti chiami e trovi sempre occupato.

Quella voce vuole ucciderti al telefono, vuole costringerti a fare un salto dal ponte più alto della terra impiccato a un cavo.

Non ti puoi più fidare.

Tutto ciò che si pretende autentico, pensando di produrre così se stesso, riproduce in realtà un modello che implicitamente lo ispira.

Il corpo desidera per noi e lo fa nella storia, non in se stesso; è il nostro dispositivo, una tecnologia che assolve ad un'originaria necessità di ripetizione, di somiglianza e di incontro.

I corpi si incontrano nel desiderio, nel sangue che riempie le vene dei doppi, consentendo per mitosi la continuità genetica.

Essi imitano il remigare assurdo del protozoo che mai avrebbe creduto di voler essere.

Ogni desiderio è desiderio di essere.

Il sonno vi consola brevemente, sospende il peso assiduo.

Dormi un’ora.

Sogni un fienile che brucia.

Hai aperto un libro e hai letto. Hai soffiato via la polvere. Hai letto cose vere, sei andato a cercarle.

Mentre aspettavi con i piedi immersi in una bacinella di acqua sporca di capriole scientifiche a perdifiato, hanno preso forma. Ti hanno inseguito. Volevano bastonarti. Farti uscire la mente dal cranio e stuprarla.

Ti ha salvato l’erborista strappandoti al flusso con un fischio, dandoti un appuntamento istantaneo all’angolo.

Ti ha fatto entrare in un vasetto.

Non te la caverai con loro mostrando le mani pulite, ti ha detto tutto trafelato. Sentono che sei diverso, che sei solo il 20% della loro intelligenza. Ti cercano per darti una lezione.

Davanti all’unico bancomat attivo nel raggio di molti chilometri, una fila di persone attende in silenzio il proprio turno. Dice uno di loro con gli occhi sbiancati dalla troppa luce assorbita: ù

Ascoltami ragazzo, non darci retta, queste profezie non si avverano mai.

E ti manda a fanculo.

Continua

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