Intervista a Mastafive - Tecniche Perfette

Intervista a Mastafive - Tecniche Perfette
Lettura boomer
Quella hip hop è una sottocultura che al Blast non dispiace affatto: poetica ma ribelle, stronza e dritta al punto quanto basta, ma ma sempre con stile.

Per questo siamo andati in giro per i più loschi locali underground della capitale per provare ad intervistare qualche vecchio dinosauro del movimento, che potesse far luce sulla sua evoluzione e soprattutto sulla sua componente a prima vista più dura: il freestyle.

È stato a Snodo Mandrione, durante un live degli ottimi MxRxGxA (acronimo che sta per Make Rap Great Again) che abbiamo scovato chi faceva al caso nostro: un cinquantenne che indossa ancora i cappelli con la visiera piatta, fa partire il suono della sirena per concludere ogni pezzo del set (Quarantuno canzoni, zioperone che stakanovisti), e che ancora reputa l’hip hop un qualcosa di esterno alla musica che lui chiama normale, quasi un’attività per pochi eletti.

Stiamo parlando di Mastafive: MC, DJ, ma soprattutto grande scopritore di talenti come ideatore del contest Tecniche Perfette, che da ormai vent'anni fa scontrare i migliori freestyler di Italia in battaglie spesso leggendarie, il nostro, che scratcha dischi da quando Jovanotti faceva ancora il rapper, è una vera memoria storica dell'hip hop italiano.

Come nasce Tecniche Perfette?

Dunque, nasce nel 2003 per un’idea che, se vogliamo vederla in senso ampio, non era nemmeno la mia, ma di due ragazzi che si chiamavano DragWan e Pag.

Loro erano ragazzi che giravano nella Gatekeepaz Crew, la mia crew storica all’epoca. Loro dovevano organizzare una jam per il comune, quindi passano da me in studio e mi chiedono una mano.

Era un po’ di tempo che anch’io volevo fare qualcosa del genere, dopo le esperienze con qualche jam grossa, tipo Mic Check, che è una jam storica che poi ha ispirato tante altre battle come Check the Rime, Mortal Combat, dove ci fu anche quella sfida leggendaria tra Fibra e Kiffa per esempio. Dopo tutta quell’esperienza però era ormai un bel po’ di tempo che non si facevano eventi legati al freestyle e agli MC, si parla di almeno un paio d’anni.

Per cui l’idea era di prendere tutti i migliori MC di battle di varie città, quelle battle proprio organizzate nei parcheggi, non per forza cose chissà quanto ufficiali, e farli sfidare a livello nazionale.

Già dall’inverno del 2002 avevamo iniziato a girare l’Italia per questo. In questo contribuisce anche una ragazza il cui soprannome era Ciopi, che aveva una mailing list molto importante su cui passavano un bel po’ di informazioni, visto che all’epoca non esistevano ancora i social, eravamo giusto agli albori di MySpace ma ancora non si usava neanche tanto. Per cui tutto nasce da questo scambio di mail, un po’ di passaparola, e decidiamo di organizzare questa jam che si chiamava Tecniche Perfette, in cui c’erano tutti gli elementi di allora, quindi il writing, il freestyle eccetera eccetera. Io all’epoca neanche la presentavo, la organizzavo solo, la presentava Walter X e il DJ era Taglierino, che poi avrebbe suonato anche al giro finale degli MC.

All’inizio si pensava che sarebbe dovuta nascere e morire in quell’occasione e invece successe che in finale arrivarono questi due ragazzini neanche maggiorenni che erano Ensi e Mondo Marcio.

Prima di loro due il freestyle era molto più classico per cui c’era sì l’insulto, però non era così tecnicamente elevato o variegato, nessuno aveva mai sentito qualcosa del genere.

Poi proprio perché era così tanto tempo che non si organizzavano jam vennero di loro spontanea volontà Cor Veleno, Sottotono, gli Inquilini, Hyst e Jesto che all’epoca giravano ancora assieme. E gli OneMic, pensa, nacquero quel pomeriggio, perché noi chiedemmo ad Ensi, Raige e Rayden se volessero fare un live, ma loro non erano ancora un gruppo. Per l’occasione scelsero al volo il nome, si fecero fare le magliette e il loro primo live fu proprio al Tecniche Perfette.

Fu proprio uno di quei momenti in cui sembra che si siano allineati i pianeti.

Ensi e Mondo Marcio alla fine finirono in pareggio tant’è che tutti i video che si trovano su YouTube non sono di quella sera, bensì di alcuni spareggi che organizzò Walter X.

Alla fine vinse Ensi ma solo dopo quattro o cinque spareggi.

Comunque a parte questo noi non pensavamo di continuare perché organizzare tutto con i mezzi di allora era impossibile, da perderci i capelli, roba che quasi te lo finiva per far odiare il rap. Però la gente era rimasta talmente colpita che poi per tutto l’inverno ci continuava a chiedere di rimettere in piedi la cosa. E allora ci chiedemmo: Va bene, ce lo vogliamo accollare di girare di nuovo a cercare gli MC, capire dove fare la finale, andando avanti anche solo così a rimborso spese?

La risposta fu sì e Tecniche Perfette nacque così. All’inizio fu difficile, alcune volte l’incasso non bastava neanche a coprire le spese perché c’erano le serate con trecento persone, ma anche quelle con venti. Ma per fortuna ci fu la forza di volontà di mandarlo avanti. Quell’anno poi scoppiò la moda del freestyle perché usci il film Eight Mile. Ripeto, in quel 2003 davvero ci fu un allineamento di pianeti strano che sembrava tutto volto a far crescere il movimento,dopo un periodo in cui fare hip hop era una cosa quasi da pirati, perché, finita la moda degli anni ’90, pezzi in radio non ne passavano più.

In alcune occasioni hai criticato la degenerazione dell’approccio degli MC nell’utilizzo fine a sé stesso di violenza, sessismo e bestemmie. In questi vent’anni come vedi cambiata l’attitudine e lo stile dei partecipanti?

Sì, io mi riferisco in particolar modo alla non comprensione del contesto in cui si dicono certe cose. Farò un discorso che riguarda non solo il Tecniche, ma anche tante altre battle, che ognuna ha un proprio spirito, delle proprie intenzioni particolari, ma questo discorso riguarda un po’ tutte.

I freestyler all’inizio utilizzavano le jam per farsi conoscere e girare nella maniera più semplice possibile. Tecniche Perfette era così diventata un’occasione per farsi conoscere sia durante l’anno con le varie tappe, sia nella finale, in cui si vince un contratto discografico e quindi è proprio un bel trampolino.

Lo è stato per Ensi, lo è stato per Mondo Marcio che vinse direttamente un contratto con la Vibra, o nomi oggi molto noti come Emis Killa, Clementino, o un po’ più underground tipo Kenzie, o Canesecco che sì, faceva già musica con Gemitaiz ma è lì che si è fatto conoscere a livello nazionale. Insomma, il freestyle era un passaggio obbligato. Oggi, con l’arrivo dei social, di YouTube, il freestyler viene ripreso durante la sua prestazione e in rete viene divulgata quel pezzo lì, quella improvvisazione…

È come se noi andassimo ad un concerto jazz, prendiamo il momento degli assoli che sono fenomenali e poi facciamo girare solo quello. Per cui si è creato questo fenomeno per cui la notorietà arriva per il solo saper improvvisare, e a quel punto non ti viene in mente di scrivere.

Adesso poi si sono inventati le teste di serie. Le teste di serie vengono pagati per partecipare e si è arrivati al punto che un MC con una carriera di medio livello guadagna praticamente come un freestyler. Dunque è nata una nuova figura. Se prima c’era l’MC, che poi è diventato rapper, che poi è diventato trapper, adesso esiste il freestyler come figura a sé stante.

E poi sono cambiate appunto, le intenzioni. Se l’artista riesce a cogliere la situazione riesce anche a fare un live adeguato. Prendiamo ad esempio l’episodio di Rhove, quello famoso in cui si era scazzato perché il pubblico non saltava. Non entro nel merito di dire se è egocentrismo o meno, però saper gestire una situazione simile ti permette di reagire in una maniera differente. E quindi tornando al discorso del contesto, io dico ok che è una battle, ma non per questo io devo rilanciare sempre fino a dire la cosa più stupida.

Però, la cosa stupida fa ridere, crea consenso, quel tipo di consenso che ha un Bello Figo ad esempio, che per carità, a me fa divertire… ma se continuiamo, per il consenso, con cose di quel tipo, non avremo più MC che fanno la differenza.

Quello che voglio dire è che ci sta farsi le due risate sulle rime esagerate, però non quando c’è questa violenza estrema decontestualizzata. Ci sono situazioni in cui magari l’avversario sta parlando di tutt’altro, arrivi tu a dire una cazzata tremenda per far ridere un po’ la gente, ma alla fine stai solo normalizzando la violenza in un contesto sbagliato. Magari è anche una cosa inconscia, ma nessuno ha le palle di farglielo notare. È come se andassi a compleanno di una bambina piccola e tu per farti notare fai partire un rutto gigantesco. Sì, è vero, si girano tutti… ma per cosa sei famoso?

La responsabilità secondo me è sia dei freestyler, ma anche degli organizzatori che devono riuscire anche ad intervenire al momento opportuno per far sì che non sia tutto legato solo al contesto, altrimenti poi facciamo come i politici, tante promesse, ma poi non si è in grado di governare; è la stessa cosa, ti conoscono tutti, ma poi non sei in grado di fare un live.

Dicevi che nell’evoluzione dell’hip-hop si è arrivati alla figura del freestyler: qual è la prossima figura che cerca lo scouting del Tecniche Perfette per, citando il nome dei ragazzi che hanno suonato poco fa, rendere il rap great again?

Ecco, noi abbiamo iniziato un po’ a stigmatizzare questa cosa del puro freestyler. Quello che noi cerchiamo è l’MC, il Maestro di Cerimonie, che è una persona che sa leggere le situazioni, perché per quanto puoi aver provato, poi sul palco non sai mai quello che può succedere, non sai mai come reagirà il pubblico. Magari durante la giornata può essere successo qualcosa a livello nazionale che può aver scosso un po’ la gente. Lì serve una persona che abbia l’intelligenza di considerare che si è davanti a un pubblico. Che non vuol dire limitarsi in cosa si dice, perché su questo bisogna essere liberi, ma stare attendi a come lo si dice.

Io da scouter quando cerco degli artisti per un’etichetta, anche se oggi succede meno spesso di un tempo, voglio qualcuno che quando ha il microfono in mano, capisce di essere lui al servizio del pubblico e non viceversa. Tu mettiti a nudo, racconta la tua storia, ma pensa sempre che il pubblico se è uscito di cassa, ha deciso di venire a sentire proprio te e ha pagato l’ingresso, basso o alto che sia, il suo lavoro lo ha già fatto; poi sta a te convincerlo a ritornare, a spendere i soldi anche la prossima volta. E quello succede solo se ne riconosci il valore.

Noi questo cerchiamo col Tecniche. Ora ti faccio un esempio di un artista anche più pop: Moreno, uno che arriva dai talent, il massimo esempio del rapper che diventa pop. Ecco, lui è un artista che quando sale sul palco non si limita a cantare le sue hit che sono passate in radio, fa dell’intrattenimento vero, gioca col pubblico. E ho sentito gente dirgli, una volta sceso dal palco, Sai credevo cantassi in playback e invece mi hai lasciato qualcosa.

Questo dovrebbero mettersi in testa molti artisti, chiamiamoli trapper. Se non lasci nulla al pubblico per cui valga la pena risentirti, forse tutto quello che stai facendo è un tuo egotrip, stai solo cercando qualche applauso. Come con una donna, non è che basta dirle Che begli occhi che hai e poi portartela a cena. Il pubblico lo devi sedurre.

A proposito del rap che sfonda nel mainstream, da Moreno a Lazza secondo al festival di Sanremo: dove sta andando il rap? Riuscirà a rimanere in vetta alle classifiche o verrà presto contaminato da altro?

Ma guarda, la contaminazione in realtà è fondamentale. Il rap, anzi l’hip hop, perché, che tu voglia averne l’attitude o meno, il rap viene da lì ed è un dato di fatto, non ha inventato niente. L’hip hop reinventa tutto quello che tocca. Ricordo un’intervista ai Gang Starr in cui dicevano che l’hip hop è la prima fonte di globalizzazione perché assorbe tutti i popoli, le culture con cui entra in contatto e le reinventa nel proprio linguaggio.

Per cui chissà quello che succederà al mainstream. Se ci pensi ad esempio Salmo, è partito quando era ancora underground che faceva pezzi quasi dubstep, e le cose più classiche le sta facendo proprio ora che è in cima alle classifiche e va a Sanremo. È tutta una questione di attitudine, che è una cosa che se provi a descriverla sembra molto astratta, ma in realtà è strettamente pratica. Prima di Lazza ce ne sono stati molti altri di rapper a Sanremo: Raige, PiottaPerò è la prima volta che uno ci va con questa attitudine, per cui anche chi non lo apprezza come artista ne ha potuto notare la riconoscibilità. Che è importante non solo per noi dell’ambiente, ma anche per chi viene dalla musica “normale”, e penso che anche Lazza stesso se ne sia reso conto, al di là del posizionamento in classifica. Prima di lui poi ricordo che ci andò Clementino. Ecco, Clementino è uno di quelli che se non avesse fatto rap avrebbe sfondato comunque: ce l’ha nel sangue. Nasce MC, ma se fosse nato negli anni ’60 sarebbe stato un cantautore legato alla scuola genovese.

In ogni caso la contaminazione è proprio una cosa insita nell’hip hop. Se ci fai caso, ogni volta che prova a fondersi con qualcosa, all’inizio escono fuori ancora degli ibridi, in cui le due componenti risultano molto distaccate, quasi da laboratorio, fanno proprio cagare perché non sono né carne né pesce. Poi però col tempo i due generi si iniziano a conoscere, e può uscire fuori anche roba come le produzioni di Dardust, che non so se venga dall’hip hop, ma ne riesce ad avere il tocco mischiandolo bene con tanto altro.

E qual è il futuro invece per chi, come te, proviene dalla seconda generazione hip hop ed è sulle scene dietro la consolle da venti/trent’anni? Quali i nuovi stimoli?

Sai, c’è sempre il momento in cui uno si chiede se sta facendo la cosa giusta. Il mio successo musicale è arrivato molto presto, nel ’94 quando facevo ancora musica sperimentale, poi con il rap qualche anno dopo con i Gatekeepaz.

Facevamo i palazzetti come riescono a farseli i ventenni di adesso. Ma poi dopo qualche alto e basso uno si chiede anche dove stia andando la musica, se uno è ancora adatto eccetera. Ma mi sono reso conto che finché si è onesti con sé stessi, si è onesti con il pubblico, e soprattutto finché ci si diverte, la gente continua a venire perché la nota la sincerità. Io faccio spesso l’esempio di Militant A, che è uno di quelli che storicamente ha avuto una metrica sempre molto legnosa, molto quadrata, forse già anacronistica ai tempi… Però il suo modo di scrivere e di porsi erano talmente tanto di cuore e talmente tanto di impatto che alla fine sono sempre arrivate alle persone.

Così come i primi lavori di Lou X. Entrambi sono sempre stati etichettati come poco tecnici, ma dove non arrivava la tecnica arrivava lo spirito perché si riuscivano a mettere a nudo. Ed ecco, io quando mi ponevo queste domande, su quale stimolo trovare, in un periodo in cui tanti aspetti delle nuove leve non li condivido, anche per la mia mentalità, la risposta era: finché riesci ancora a far ragionare la gente, allora stai lavorando bene.

Quello è lo stimolo. Magari non arriva sempre, spesso arriva quando meno te lo aspetti. Ma uno per volare deve sempre saltare nel vuoto… Anche se poi a volte si schianta.

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