L’islam aveva vinto, o almeno così pareva. I Maranza erano padroni indiscussi delle strade e stavano addirittura iniziando a riconvertire le chiese più importanti, ormai desuete, in mastodontiche moschee. Solo una cosa gli mancava: un leader. Cresciuti nella naturale anarchia dei blocchi di periferia, i giovani maranza non sopportavano un’autorità. Anzi, forse non ne sentivano assolutamente il bisogno. Si erano già sottomessi ad Allah e tanto bastava.
Ogni tanto qualche guerrigliero con la collana più pesante o i denti più accecanti provava ad estendere la propria influenza flexando i numeri da cecchino dimostrati in guerra con un beat di un genere musicale che ad oggi non conosciamo ma che alle orecchie di un individuo dei nostri tempi suonerebbe simile al rumore della lavastoviglie.
Il nemico unisce, ma il nemico ormai era sconfitto e le divisioni dunque si sprecavano, rispecchiando la storica acefalia del clero musulmano.
La penisola era allo sbando, ma la Repubblica Italiana, almeno in linea teorica, permaneva nelle sue istituzioni.
Il 2055 prevedeva anche il rinnovo del Presidente della Repubblica, ma a nessuno interessava granché
Il Capo dello Stato in carica Beppe Sala aveva deciso finalmente di ritirarsi e la favorita per la vittoria finale sembrava essere Maria Elena Boschi grazie ad una campagna elettorale spregiudicata, basata sulla promessa di un anno di abbonamento gratis al suo Onlyfans in caso di vittoria.
Senza preavviso alcuno però, a pochissime settimane dal voto, fu annunciata la partecipazione alla tornata elettorale di Luigi Di Maio. I più non avevano idea di chi fosse, i pochi che ne avevano memoria pensarono ad uno scherzo. Ma come Luigi Di Maio? Nemmeno nei più scamuffi uffici di Bruxelles lo volevano più da quando era morto suo padre politico Bruno Tabacci.
Tra i simboli a sostegno della sua candidatura si trovava quello del Movimento 5 Stelle.
Il Movimento non si presentava più alle elezioni da oltre vent’anni. La terribile eruzione del Vesuvio del 2033 aveva sepolto sotto la lava la quasi totalità del suo elettorato, e in seguito a questo evento la sua classe dirigente si era rifugiata all’estero dopo aver denunciato l’allora presidente Renzi di aver pianificato l’eruzione per stroncare il Movimento.
Nessuno aveva idea di dove fossero stati i vecchi grillini tutto quel tempo. Il simbolo tuttavia poteva lasciarlo intuire. Tra i palazzi hi-tech di Pechino il Movimento era cresciuto ed era riuscito a colmare i suoi atavici problemi che per anni gli avevano rinfacciato, dall’inettitudine all’inesperienza di governo, grazie al confronto con la mastodontica struttura del Partito Comunista Cinese.
Ora finalmente era il momento di tornare
Lo stato catastrofico in cui versava il Paese rendeva gli anni ’50 il momento più propizio per il ritorno in campo. Di Maio, che da anni era rientrato nel Movimento proprio grazie alla lungimiranza dei dirigenti cinesi, era il volto giusto per la campagna elettorale rivoluzionaria progettata in collaborazione con la nuova start-up di Casaleggio III. La sua propensione all’abbronzatura tipicamente cantonese e i suoi lucidi capelli corvini lo rendevano infatti adattissimo ad interpretare il ruolo di novello Mao nei meme insieme a The Rock e John Cena.
Questi meme erano d’altronde l’unico strumento di campagna elettorale previsto per spingere Di Maio al governo del paese. Non poteva non funzionare. La scarica di dopamina data da un ex wrestler chaddone che ti persuade di star guadagnando social credit, solamente fruendo di quello stesso contenuto, era talmente forte che Di Maio, senza nemmeno aver messo piede in Italia durante la campagna elettorale, stravinse con maggioranze mai viste.
La partecipazione al voto raggiunse vette che ricordavano quelle del secolo passato. Vecchi liberalacci impenitenti scrivevano sui loro forum
“Oh ma sai che quel Di Maio lì a me mi è sempre piaciuto?”
e tra i teenagers la zazzera alla maoista era la nuova moda a cui nessuno sembrava volersi sottrarre.
Di Maio vinse. Sbarcò a Roma con grande entusiasmo, ma questo si smorzò presto quando la trovò molto diversa da come l’aveva abbandonata molti anni prima. Così vuota e silenziosa, sembrava quasi di essere tornati ai tempi del covid. Era difficile godersi il trionfo con questa calma.
Erano altri tempi quelli dei bagni di folla post-elettorali, o prima ancora quelli del Vaffa-day, quando ancora era un semplice simpatizzante di un comico un po’ sopra le righe, un comico intelligente che sapeva farsi sentire sui temi sociali, un comico che sapeva far ridere ma anche riflettere…
Un comico che nel 1981 aveva ucciso tre persone a Limone Piemonte e non aveva scontato un giorno di carcere…
“Cosa avrebbe detto Beppe di quella vittoria?”
Questo si chiedeva Di Maio nel viaggio dall’aeroporto alla sua nuova casa, il Quirinale, così più lussuoso rispetto alla residenza spaziosa e funzionale, tuttavia austera, che il Partito gli aveva assegnato in Cina in quanto dirigente. Era emerso dal nulla fino al fulcro della politica italiana, dunque aveva tradito; era finito nel dimenticatoio ed era stato infine ripescato dai suoi vecchi compagni, con l’aiuto dei quali era salito sino a dove neanche aveva mai osato sognare.
Ma ormai la situazione era ben più tragica rispetto ai tempi in cui ci si divertiva con Salvini, Conte, Zingaretti. Alcuni di loro neanche erano più su questa terra.
Si ricordò di quando dal balcone di Palazzo Chigi si affacciava alla folla di deputati e simpatizzanti al grido di
“Abbiamo sconfitto la povertà!”
Non era vero. Certo, la situazione col tempo era anche migliorata. Tutti bene o male riuscivano a consumare grazie all’abbattimento dei costi che riusciva a garantire un’economia interamente basata sul delivery. Ma dov’era la gioia in questo mondo così silenzioso ed ordinato?
Quella notte Gigino sognò i maestri del socialismo
C’erano Marx ed Engels, Lenin e Stalin, e tanti grandi leader cinesi. Erano serafici. Insieme a loro stava Grillo che urlava
“Vaffanculo!”
a ripetizione mentre si ostinava ad aprire una scatoletta di tonno. A un certo punto il comandante Mao prese la parola e si rivolse a Grillo:
“Abbiamo abolito la povertà. Il prossimo grande balzo in avanti sarà abolire la povertà d’animo.”
A quel punto Beppe riesce finalmente ad aprire la scatoletta di tonno. Da questa escono tantissime persone: vecchi, bambini, i leader della DC, persino i tre poveretti morti a Limone Piemonte.
Allora il Presidente Di Maio capì che il socialismo non era potere sovietico ed elettrificazione del paese, bensì gli amici incontrati alle feste dell’unità.
Continua…