Un’indole proteica pervade le membra dell’uomo nutrendolo con l’altrui sangue.
Pulsioni, vibrazioni, ricordi sfumati in un’esperienza priva di ratio, patologicamente condizionata pongono l’umanità di fronte all’eterno mito dell’Ade, dove i sogni svaniscono quando ci si volta.
Teatro o cinema, sipario o telo? Questo l’eterno dubbio dell’uomo post-moderno.
La facoltà non ha prezzo, la facoltà vede, odora, tocca, assapora. La facoltà è il giudizio, la nostra capacità, la nostra brama di desiderio vivo e profondo.
Su queste riflessioni si aprirono le porte del Kamasi-Hub, locale dalle sfumature novecentesche, dall’indole intima e jazz, dove i sogni pervadono gli attimi di un’ostessa solitaria aspettante l’arrivo di un qualcosa che negava di desiderare.
Senza preavviso un uomo irruppe spalancando l’uscio all’improvviso: questo la bramava, contemplandola con sensuale sapienza. Lei ne subiva il fascino divorata nei sensi dal desiderio; ciò nonostante la sua mente non lo voleva, forse non abbastanza, forse non nel giusto momento.
Questo personaggio dall’animo nobile, pervaso di dubbi, dischiudeva in questa donna il sipario del desiderio: il rosso velluto, di una carnalità teatrale offuscava una vista incredula della propria redenzione, non sapendo guardar al di là dell’arlecchino.
La scena scorreva, la scena era sentenza del nulla, la scena era spettacolo di vacuità per l’occhio inesperto. L’attore, un classicista dalle doti improvvisative, era alla ricerca della forma perfetta nella sua carnalità reale.
Il suo sguardo era ancora lontano, oltre l’ultimo sole, oltre quel rosso morbido che accompagna il tramonto.
Le notti insonni seguivano il suo passo, l’ignoto lo precedeva: la continua sensazione di inciampare al di là dell’orizzonte lo portava ad affrontare il cammino; il ristoro del liquido rosso gli offriva la sensazione di poter volare.
La facoltà non ha prezzo, la facoltà va vista, assaporata, colta nel momento in cui essa si affaccia.
Quando la porta cessò di aprirsi e il viandante non più giunse e una coltre di tristezza pervase l’animo nobile dell’ostessa. Le chiacchere dell’oltre balcone, sapientemente miscelate con nobili liquidi dagli aromi speziali, erano sparite in un titolo di coda quanto mai cinematografico. Il teatro cessava di essere tale tramutandosi in quella riproducibilità tecnica tipica del ricordo, vivido ed intenso nella sua spettrale cinematograficità.
Qui un Mastroianni sorseggiava Vermut con un Brando, estraendo Marlboro a una seducente Monroe ammaliata dalle grazie di un’ammiccante Naomi Watts. Dai loro polmoni fuoriusciva una nube passata e attuale, morta e viva al contempo nelle parole e nella vista, nei suoni e nelle sensazioni.