La gente pecora,
ché non impecorasse,
saremmo un po’tutti impecoratati,
se non pecorari
incapaci di perorare le cause del popolo
e periremmo non essendo peronisti,
ma peronisti bevitori di Peroni gelate al sole,
gelati al sole,
spiritati come spiriti di pirati impiratati a pecora
e ricottari innamorati.
La gente pecora,
ché non pecorasse,
verrebbe impecorata da impecoratati indemoniati,
indenominati e monotematici piemontesi antipatici,
distesi su li monti con li pied‘ignudi,
le mani sporche di cielo grigio e le orecchie impiastricciate di biada per cavalli, ghiaia per cammelli e disgrazie d’oltretomba.
giusto per non dimenticare
cattedrali di bicchieri da lavare
e mucchi di uomini ammassati nel lavandino,
piscina del bambino che grattugia il pecorino sulla pasta,
pesta il pesto per il sugo.
gufo marxista marinato all’acqua santa,
spolverata di Demonio.
Onore al Demanio,
di marmo in mare,
di mare in tempesta,
di tempesta in terra,
di terra in cielo,
di cielo in… diccelo! Tu, maledetto assassino,
Onassis di Ciampino,
che non ti lanci giù da un treno,
ma lo fermi con la forza del pensiero,
o’ cugino agricoltore,
cognato e senatore, quale onore,
Onorevole, e fedele alla linea,
linea gotica e frigida
per nostro cuggino Lollobrigida.
giù per il sentiero che porta verso sera
un verso di lamentela,
e allora mi verso n’ombra di Barbera,
rosso e buio come il mestruo di una chimera,
chimera brasiliana,
scambiata per un lampione
di sotto le bianche coperte della notte,
macchiate di sangue che si spande
ma per coito impreciso, impacciato,
indeciso, inarcato,
narciso,
gemello di sé stesso,
di nome Geminello e Alvi di cognome,
di pensiero alveare,
alveare di cervello,
di cervello in anima,
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