La morte di Navalny: come layerare una teoria complottistica

La morte di Navalny: come layerare una teoria complottistica
Lettura boomer
Sono tempi duri per noi filorussi alias putiniani d’Italia alias pacifinti.

Dopo alcuni mesi di totale disattenzione per il conflitto in Ucraina, con gli alleati occidentali ormai sulla via della rassegnazione e distratti dagli eventi di Gaza, è morto Alexei Navalny “Il principale oppositore di Putin”. O meglio, quello che i media occidentali hanno deciso di costruire come tale. 

Molti di voi già lo sapranno, ma è bene fare un ripasso. Nato come leader dell’estrema destra con tratti in particolare islamofobi, Navalny ha iniziato a ricevere attenzione e supporto dall’occidente quando le associazioni a lui legate hanno iniziato a porre al centro della loro agenda il contrasto alla corruzione diffusa nel governo russo. Nel 2010 l’Università di Yale lo seleziona per un programma volto a creare “una rete globale di leader emergenti e ampliare la comprensione internazionale”, che in parole povere significa trovare dei volti mediaticamente appetibili da porre come simbolo per le rivoluzioni colorate. Perché mai proprio lui? Perché i principali oppositori di Putin in Russia sono comunisti, cioè peggio di Putin in ottica liberale.

Ad ogni modo, sappiamo bene come queste grandi università americane progressiste sappiano essere l’avanguardia culturale del Nuovo Ordine Mondiale, ed infatti di lì in poi arriva tutta un’altra serie di riconoscimenti. Tra questi sono interessanti i due elenchi del Time in cui appare. Nel 2012 è l’unico russo tra le 100 persone più influenti al mondo, lista nella quale non figura Putin, il che dimostra già un atlantocentrismo a dir poco cieco; nel 2017 invece viene ridimensionato al rango di influencer figurando tra le 25 persone più influenti su internet.

È in questi anni dunque che i dollaroni d’oltreoceano lo rebrandizzano trasformandolo da leader xenofobo ad eroe della democrazia, dei diritti, delle libertà eccetera eccetera. Nel frattempo in patria raggiunge successi leggermente minori: un secondo posto alle comunali di Mosca nel 2013, e nel 2021 un 5% di intervistati che lo indica come politico di riferimento in un sondaggio del Levada Center, istituto indipendente considerato dal governo russo “agente straniero”, quindi senz’altro non tacciabile di vicinanza al regime. 

E ovviamente finisce anche in carcere, ufficialmente per truffa, sicuramente anche per il suo lavoro investigativo anti-corruzione. Qualche giorno fa muore da prigioniero. Ed eccoci quindi tornati al presente, con il disappunto di noi filorussi in difficoltà. Per carità, nel confronto dialettico possiamo ancora difenderci con un valido “E allora Assange?”, ma certo arriverà pronta la replica “Ma mica lo hanno ammazzato, non tutto è uguale a tutto” da parte dei nostri amici libcucchi (non Stefano, è vero che si parla di morti in carcere ma almeno stavolta lasciamolo riposare in pace).

Il fatto che Navalny sia stato ucciso è dato per assodato qui in occidente. Ma in realtà è una dietrologia, una supposizione. Non ci sono dati per dirlo, è un po’ un “Jeffrey Epstein didn’t kill himself” ma dello schieramento mainstream. La versione ufficiale è che sia stato vittima di sindrome da morte improvvisa. Cerchiamo di tradurla in parole povere per rendere questa versione più accessibile al grande pubblico: gli è preso un coccolone. E attenzione, potrebbe essere. Siamo oltre il circolo polare artico, con condizioni carcerarie immaginiamo non ottimali (non lo sono nel nostro democratico occidente, figuriamoci in un’autocrazia sanguinaria macellaia mattainculo e così via). Alexei, se mi esci per l’ora d’aria senza neanche una sciarpetta ci credo che poi ti viene la morte improvvisa. 

Bene, abbiamo tolto il primo strato di complotto, siamo giunti alla spiegazione che si è data una babushka di Krasnodar o di Kazan, ammesso che alla babushka importi qualcosa del nostro eroe della democrazia. Ora rimettiamolo quello strato: Putin ha ucciso il suo oppositore perché aveva paura che dal carcere potesse influenzare la popolazione in vista delle elezioni presidenziali di quest’anno. E allora perché semplicemente non sottoporlo ad un regime carcerario più duro? Niente corrispondenza, niente telefonate, isolamento e via, un 41 bis in salsa tartara.

Lo facciamo noi, vuoi che non lo possa fare un regime illiberale? Meno sanguinoso, meno controverso, massimo risultato minimo sforzo, probabilmente noi occidentali non lo avremmo nemmeno mai saputo. Un errore assurdo poi ucciderlo proprio adesso, quando Putin si stava iniziando a trattare con l’occidente per terminare il conflitto in Ucraina ed era da poco stato ospite da Tucker Carlson facendo la figura dell’assoluto chad come ai tempi di Berlusconi in cui cavalcava orsi a petto nudo. Davvero strano, proprio adesso che (ci dice la Bild) si stava prefigurando uno scambio di prigionieri a tre con Germania e Stati Uniti in cui Navalny sarebbe potuto essere merce di scambio. 

È giunto il momento di porsi la domanda focale: a chi giova questa morte?

Ad un Putin forte di consenso in patria, che ha appena conseguito un importante vittoria ad Avdiivka in Ucraina, che si avvicina a trattare con noi buoni da posizioni vantaggiose questo no di certo. Forse è il momento di dare per buone quelle ipotesi di inizio 2022 del Corriere della Sera secondo cui il presidente russo era impazzito a causa di un tumore al cervello. O forse possiamo aggiungere un’ulteriore layer complottistico alla vicenda: dopo aver sacrificato migliaia di ucraini, la macchina bellico-propagandistica occidentale ha deciso di sacrificare anche Navalny per tentare di riunire il fronte dell’opinione pubblica.

Un’opinione pubblica che in massa si è posta contro i propri opinion-makers a Gaza e quindi non crede più che noi siamo i buoni e di là ci sono i cattivi; un’opinione pubblica fiaccata dall’inflazione e che dopo un anno di propaganda martellante ha fatto indigestione di pietismo dal fronte ucraino. Per non dimenticare la camera dei rappresentanti americana, che blocca il nuovo pacchetto di aiuti bellici, forse la sconfitta più inaspettata per le grandi famiglie del NWO.

Gli eroi son tutti giovani e belli, diceva Guccini, e Navalny in carcere stava iniziando a puzzare di vecchio. Solo con la morte gli eroi sono davvero tali e innalzano il loro messaggio al massimo della forza possibile, riunendo a sé non solo i fedelissimi, ma popoli interi.

Navalny, eroe prodotto in vitro dai Rothschild, è stato ucciso da un sicario dei suoi stessi creatori. Magari una spia del MI6 nelle vesti di carceriere? Sembra una roba da film di James Bond, ma perché no? I layer del padrone sono infiniti.

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