Pochi giorni sono trascorsi dalla dipartita del centenario Henry Kissinger, e se un Requiem se lo è meritato pure lui (che in fondo, di quelli, non era neppure il peggiore) figuriamoci se, dopo più di un anno, pure una giovane antiliberale non ne abbia diritto!
Il nuovo (ma davvero c’è qualcuno che lo pensa?) teatro di guerra apertosi fra Israele e Palestina non deve farci dimenticare che una singolar tenzone la si sta combattendo (e certo non dal 2022) non tanto alle porte d’Europa, quanto IN Europa, dal momento che dalle mie parti risulta che l’Ucraina sia un po’ più in qua di Vladivostok!
E proprio di una profetessa degli esiti di questo conflitto vuole questo scritto occuparsi: lei ce lo aveva detto come sarebbe potuta andare (è di questi ultimi giorni la notizia che –Solo su ilBlast.it! visto che non si sa mai! – sarebbe pronto un piano di fuga per il Presidente ucraino Zelenskij verso la sua terra promessa, che ovviamente non è Thule ma la Florida, da attuarsi entro la primavera del 2024) eppure – una volta ancora – l’Europa (trans)atlantica ha scientemente deciso di non ascoltare uno sciamano d’Eurasia!
Il Signore perdoni la mia spocchia, ma tra queste righe riproverò, dopo anni di mancato allenamento, a recensire un testo poetico. L’ultima volta che mi misurai infatti con tale genere risale alla mia quarta superiore, massimo primissimi mesi della quinta, ed io il diploma l’ho preso nel 2014! Sì, perché lo Stato mi ha reso maturo (?) quando ancora l’esame di maturità poteva definirsi tale, ed avendo io optato allora per la famigerata traccia
C
, ovverosia il tema storico, tutti i miei compiti in classe di italiano, per non dire delle simulazioni di prima prova, hanno puntato in quella direzione; rincontrai poi la poesia negli anni universitari.
Mai però ne scrissi.
Quindi eccoci qua; e dopo questa introduzione (?) che forse puzza un po’ di mania di protagonismo – Dio mi perdoni anche questa! – finalmente posso GRIDARE: IL POLITICAMENTE SCORRETTO CE L’HA INSEGNATO/LEGGERE (DEL)LA FAMIGLIA DUGIN NON E’ REATO (a meno che, presto, nel civile Occidente non lo diventi!)
Il 20 agosto di quest’anno è ricorso il primo anniversario della violenta dipartita di Daria Aleksandrovna Dugina Platonova (1992 – 2022) per mezzo di un attentato la cui mira dichiarata era il di lei padre Aleksandr (o Alexandr o Alexander, le traslitterazioni dal russo e lingue sorelle siano maledette!) Dugin, il cantore, tra le tante altre cose, dei Templari del Proletariato.
Seguace del padre sulla via della militanza politica nel Movimento Internazionale Eurasiatista e della ricerca e divulgazione filosofica e del Padre sul fronte dell’Ortodossia (saranno pure scismatici ma Theotòkos – fingete possa essere una trasposizione esatta dell’intercalare latino “Madonna!” – quanto invidio il loro saper ancora vivere la fede in maniera così viscerale, fisica e spirituale assieme, arrivando addirittura ad immolarsi per Essa!), oltre a questi suoi talenti s’è ritrovata ad espletare pure quello lirico!
AGA Editrice questa raccolta di poesie di Darya Dugina (il nome della giovane poetessa e filosofa, militante e mistica lo traslittera così) la titola semplicemente ma efficacemente Liriche, anche perché qualsiasi altro titolo sarebbe stato fuorviante.
Anche in presenza di due interventi in prosa, uno della madre di Darya e consorte di Aleksandr Natalia Melentyeva, anch’essa filosofa e la trascrittura di un’intervista rilasciata da Dugin padre al giornalista svizzero Guy Mettan è evidente che l’adagio poetico secondo cui ne ferisce più la penna che la spada è vero (e sia chiaro che a chi scrive non dispiacciono né l’uno né l’altro di quegli strumenti)
Testo russo a fronte perché in fondo, anche se non lo si conosce, avere – specie di questi tempi – a casa qualcosa di scritto in cirillico fa Blast e una bella introduzione dell’editore, che di nome fa Maurizio e di cognome Murelli: se siete edotti sugli Anni di Piombo italiani sapete allora benissimo di chi si tratta, non lo foste non è questo lo spazio per spiegarvelo ma comunque un po’ vergognatevi!
Nei componimenti in versi di Darya, che vanno inseriti in termini paradigmatici all’interno della tradizione poetica russa moderna e contemporanea, come ci spiega la traduttrice Rossella Maraffino, si fondono sentire russo ed echi del poetare europeo/Occidentale.
A leggerli, ci si potrebbe chiedere come possano ambire a una recensione su di una rivista cyberpunk e accelereazionaria (anche se, per quanto riguarda l’ultima parte dell’ultimo termine…) come IlBlast delle liriche che, oggettivamente, si presentano come quanto di più tradizionale in materia possa esserci, derogando a ciò solo tramite l’utilizzo del verso libero.
Ebbene, ciò che è indubbiamente degno di un’attenzione Blast è il sotteso, il non-scritto, il pensato da Darya, tra le poesie della quale si possono scovare gli echi di Madre Russia in tutte le sue successive riformazioni/rinascite:
Gli echi degli zoccoli dei cavalli dei Tatari di Crimea che avanzano, l’Armata Bianca da una parte e la Rossa dall’altra con in mezzo, a contrastarle entrambe, il Barone Sanguinario, aspirante duce di una teocrazia buddhista euroasiatica, i Kadyrov, i caduti per la Novorossija e i wagneristi anonimi.
In ciò, Darya si dimostra davvero degna figlia di cotanto padre, un uomo che ha legato il proprio essere conosciuto alla disciplina geopolitica ma ha contemporaneamente battuto diversissime altre strade, purché tutte avessero il minimo comun denominatore del dissidente e del non conforme: è anche un po’ colpa di Dugin padre se chi sta scrivendo è un accanito lettore di Evola e Guénon ed ha in camera da letto appese la bandiera zarista e quella dell’URSS affiancate, il tutto di fronte a un’icona lignea di fattura cattolico–orientale raffigurante la Presentazione di Maria al Tempio e sulla scrivania, sempre pronti alla consultazione, un’edizione della Sacra Bibbia appartenuta alla mia bisnonna paterna (classe 1886), le edizioni Adelphi di Vangeli e Apocalissi gnostiche, infine i due volumi de Le dimore filosofali e I misteri delle cattedrali di Fulcanelli.
Tornando al fulcro dell’articolo, ciò che più mi ha colpito dalla lettura di questi componimenti poetici è la sensazione che siano stati scritti a scopo introduttivo per qualcosa di più grande; è l’editore stesso a farne brevissimo cenno nell’introduzione, parlando di un libro, dal probabilissimo titolo Zeta, che AGA Editrice si rende disponibile a far uscire in versione italiana (in data di ripresa della scrittura di questo pezzo ancora non è uscito ma, edito sempre da AGA, è uscito un altro saggio di Darya dal titolo La mia visione del Mondo – Ottimismo Escatologico) e che, tra i suoi capitoli, ne conterrà uno comprendente alcune lettere che Darya scrisse a madri di soldati russi caduti sul fronte ucraino; ne sia riprova la presenza, a metà del libretto di cui qui si sta trattando, di una lirica dal titolo “Solo mamma” che così termina:
“Tutto è possibile,
perché sarai sempre con me.
Anzi, perfino se ci sarà un seguito
io continuerò, sarò solo più protetta
con una coperta e una benedizione”.
Poi sembra pure che il genio della sapienza profetologica così propria del cristianesimo orientale si sia impadronito di Darya durante la composizione di “Con papà”, la quale – lirica che allude, per quanto indirettamente, ad una sepoltura “doppia” in cui la poetessa si trova al fianco del padre Aleksandr – si chiude totalmente mancante di speranza con:
“Se inciampi, colerai a picco,
nessuno afferrandoti ti salverà”.
Ebbene, noi dobbiamo sentirci investiti di un compito ben preciso: attingendo a ciò che ciascuno ritiene più opportuno poiché confacente al proprio essere del breve vissuto e specialmente dell’opera (forse poco accele ma molto reazionaria e sicuramente criptocristiana) di Darya essere gli afferratori di coloro che inesorabilmente stanno inciampando o già sono caduti colando a picco, al fine di portarli o riportarli all’interno della matrice Blast!
Per un’Italiosfera, un’Eurasia ed un Mondo più gagliardi che pria!