Minchia, Bestiale.
Era il primo episodio della quinta stagione, Black Mamba, mi ricordo che iniziava con Giancarlo Magalli che veniva trucidato mentre faceva una doccia cantando Kobra di Donatella Rettore. Venni incuriosito e attratto da questo incipit decisamente bizzarro, comico e allo stesso tempo violento, oltre che dalla sigla atipica per una fiction poliziesca italiana.
Della Rai oltretutto.
L'istinto non mi aveva ingannato e il venerdì sera successivo tornai su Rai2 per la puntata seguente, e così via.
E pensare che nel 2020 mi ruppi perfino il dito medio della mano destra, proprio come succede a Coliandro in Sempre Avanti.
L’ Ispettore Coliandro è infatti la miglior serie televisiva italiana di sempre, se la gioca con Don Matteo. Forse.
Quella che fu la prima scena che vidi in realtà era un po’ la sineddoche del resto della fiction:
Comica, violenta e paradossale, una sorta di metafora della vita. Questo non deve far pensare ad un prodotto all’americana di stampo tarantiniano, ma piuttosto come ad una reazione indubbiamente italiana a quel tipo di cinema. Ma non dilunghiamoci troppo su queste stronzate da cinefili.
Di Coliandro bisogna parlare innanzitutto come una serie del popolo, una serie che può contare su fan accaniti, definiti dagli stessi registi, i Manetti Bros, degli ultras
, boomeroni
Organizzatissimi su gruppi Facebook che più volte sono riusciti, attraverso insistenti richieste e intimazioni ad obbligare mamma Rai a rinnovare una fiction che spesso è stata ad un passo dall’essere cancellata.
La pagina Facebook ufficiale di Coliandro poi è meravigliosa: autoreferenzialismo puro alternato a contenuti estremamente basati, un po’ l’emblema della serie stessa.
La verità è che i punti di forza di questa fiction sono tre: i dialoghi, l’azione e i personaggi. I primi, nonostante i contesti a volte assurdi, sono sempre realistici. Le scene d’azione sono le migliori che la televisione italiana abbia mai prodotto. I personaggi vanno descritti uno ad uno per rendere al meglio l’idea.
Partiamo dalle seconde linee:
L’agente Gargiulo è la dimostrazione che il tuo amico nerd potrà anche non essere il tuo migliore amico, ma sarà sempre il tuo amico migliore, perché oltre a rispettarti, ti ammirerà. Gargiulo è il miglior amico e l’alleato di sempre di Coliandro, anche se a differenza dell’ispettore non è attratto tanto dalle donne o dall’azione ma dagli anime e dai giochi di ruolo. Compagno di avventure improbabile e geniale, Gargiulo dimostra che affrontare la vita con ingenuità e umiltà è spesso la scelta migliore, speriamo che ritorni nella prossima stagione.
I restanti colleghi e amici di Coliandro rappresentano due delle minoranze più bistrattate del nostro Paese:
Gli omosessuali e i pugliesi.
L’ispettore Bertaccini è l’unico esempio nella storia della televisione di personaggio omosessuale realistico e non cringe. Questo perché il suo lesbismo è sempre preso di mira da Coliandro che, oltretutto, non smette mai di sfotterla per la sua condizione di poliziotto femmina. Nonostante questo l’ispettore Bertaccini si dimostra una donna forte ed emancipata, alla faccia del vittimismo woke.
Il pugliese, l’ispettore capo Gamberini, ostenta spesso il suo sapere frutto di una laurea triennale in Psicologia, motivo per cui Coliandro lo prende spesso in giro, oltre che per la sua risata a sfiato.
A loro volta sia la Bertaccini che Gambero ridicolizzano costantemente Coliandro, a differenza del buon Gargiulo, per l’incompetenza e la sfiga dell’ispettore.
I superiori di Coliandro sono il commissario De Zan e il sostituto procuratore Longhi, sempre pronti a disconoscere i meriti dell’ispettore e a impedirgli il tanto agognato inserimento nella squadra mobile di Bologna, quella che Coliandro chiama la Serie A
.
Ciò che rende unica la fiction però sono i criminali improbabili con cui l’ispettore si trova ad avere a che fare:
Motociclisti satanisti, maghi del voodoo e serial killer catapultati nella terra delle lasagne e del liscio.
L’Ispettore Coliandro è l’unica fiction dove vedrete un pappone interpretato da Nino Frassica e Guè che impersona uno spacciatore (come nella vita tra l’altro). In ogni puntata Coliandro è inoltre aiutato o meno da una ragazza scopabile
della quale si innamora ma che alla fine della puntata lo lascia sempre e inevitabilmente solo.
Ma parliamo dell’eroe, dell’icona di questa serie.
Il protagonista dello show, Coliandro, è la rappresentazione più realistica del poliziotto italiano che si sia mai vista sul piccolo schermo, altro che Montalbano (troppo esistenzialista) o Rocco Schiavone (troppo localismo romano). L’ispettore, infatti, pur non essendo politicamente schierato si dimostra puntualmente razzista, omofobo, sessista e decisamente reazionario nei confronti della gioventù di Bologna, città nella quale la serie è ambientata, scatenando spesso gag iperrealistiche e politicamente scorrette.
“La natura va rispettata: i maschi con le femmine, i bianchi con i bianchi e i neri con i neri”
“Donne nella polizia, so io dove dovrebbero stare invece”
“Gioventù dimmerda”
Ispettore Coliandro
“Fanculo i musi gialli, me ne vado a sparare”
Queste sono solo alcune delle migliori citazioni originali dell’ispettore. Dico originali perché Coliandro stesso durante le puntate cita continuamente i suoi idoli: Clint Eastwood, Charles Bronson, Robert De Niro eccetera.
L’ispettore è infatti una citazione vivente di tutti i personaggi che ha sempre ammirato e che lo hanno spinto a intraprendere la carriera in Polizia.
Citazione fin troppo umana dei vari Callaghan e Bond che dir si voglia, Coliandro si dimostra solitamente un incompetente, volgare e imbranato poliziotto merdionale, vestito sempre allo stesso modo e con una cultura limitata ai film d’azione americani che guarda e al jazz di Fausto Papetti, musicista del quale ammette di comprare i CD solo perché sono presenti donne nude sulle loro copertine.
Per non parlare dei periodici fallimenti sentimentali dell’ispettore, ragazze distanti da lui per quanto riguarda ideologia o etnia, di cui Coliandro si innamora durante il corso della puntata e che al massimo ricambiano con un bacio o una scopata l’interesse dell’ ispettore o, peggio ancora, approfittano dell’infatuazione e della scarsa lungimiranza del poliziotto per circuirlo. Coliandro è anche vittima della mancanza di riconoscimento da parte dei superiori riguardo le sue fondamentali azioni sul campo, per quanto non autorizzate, superiori che gli affidano puntualmente gli incarichi più inutili e improbabili. In entrambi i casi l’ispettore si trova a fine puntata solo e deriso dai colleghi.
A questo punto potrebbe sembrare che Coliandro sia semplicemente l’alternativa italiana ai personaggi (letteralmente me)
prodotti dal cinema americano, non vi spiego cosa sono perché ne ho già parlato in un altro articolo. In parte lo è: l’ispettore è uno sfigato solitario con idee decisamente anacronistiche per il suo tempo e inappropriate per la città in cui vive e lavora. Piuttosto è un (letteralmente me)
al quadrato: lui stesso si ispira ai personaggi dei suoi film preferiti, personaggi che cerca di replicare costantemente in tutto ciò che fa (spesso con poco successo). Per questo Coliandro è un personaggio altamente memabile: oltre ad avere le caratteristiche generali dei (letteralmente me)
e dei poliziotti come l’essere basato, presenta il qualunquismo tipico dell’italiano medio.
Ma a differenza dei (letteralmente me)
standard, l’ispettore manda un messaggio ispiratore.
Coliandro infatti subisce l’alienazione che la società riserva agli uomini come lui, quelli che credono negli ideali (la giustizia e la legge) inseguendo i loro miti e patisce la mancanza di meritocrazia tipica del nostro sistema dato che viene sempre ridicolizzato e rimproverato dai suoi superiori e colleghi nonostante sia sempre lui a risolvere i casi, seppur con metodi arbitrari e cacciandosi in situazioni molto più grandi di lui.
Ma l’ispettore non si abbatte, è consapevole che ciò in cui crede merita di essere onorato, nonostante le difficoltà della sua vita da sbirro, nonostante la sfiga, nonostante i giudizi degli altri.
Perché se sei un vero poliziotto, il tuo non è un semplice mestiere, ma una ragione di vita.
Non deve contare una promozione o lo stipendio da fame, ma il fatto di salvare delle vite o assicurare dei criminali alla giustizia.
Gli è lecito essere sessisia, omofobo e razzista, perché ciò in cui crede veramente non è il razzismo, la redpill o la teoria dei gender, ma la giustizia. Ad un uomo così si perdona l’essere volgare, sprovveduto e imbranato, perché agisce con le giuste intenzioni.
Inoltre Coliandro, risolvendo situazioni improbabili e pericolose malgrado la sua (apparente) inettitudine e le sue paure, è l’ennesima riprova che essere coraggiosi non vuol dire non avere paura ma avere paura e agire lo stesso, anche solo per dovere, come fa l’ispettore.
Attualmente in Italia operano 100.000 poliziotti.
Se tutti e 100.000 fossero come Coliandro, l’Italia sarebbe sicuramente un posto migliore.
Perché l’Ispettore Coliandro non è una guardia, è un’avanguardia.
Ringrazio Coliandro per avermi insegnato ad usare la parola minchia
al posto di cazzo e bestiale
al posto di greve.
Ringrazio Coliandro per avermi dimostrato che rivolgersi a una (bella) ragazza chiamandola bambina
non è un atto sessista ma di dolcezza. E anche se fosse sessista…
Ringrazio Coliandro per avermi fatto capire che i veri eroi sono quelli che possono permettersi dei difetti.
Se essere un basato conta come difetto.
Ringrazio Coliandro perché mi ha fatto ritrovare la fiducia nell’industria cinematografica italiana e nelle forze dell’ordine.
Ringrazio Coliandro perché mi ha fatto capire che non passo il venerdì sera chiuso in casa a guardare una fiction su un poliziotto perché sono solo, ma perché sono unico.
«Per carità! Non si cambia un “cult”. A rovinare certe serie tv è stata proprio la mania di far “evolvere“ il protagonista. Ma quale evolvere? Ma quale crescere? Coliandro è sempre il solito irruento, generoso, impacciato, bislacco detective “vecchia maniera”. A cambiare è la realtà intorno a lui e i casi che deve affrontare».
Giampaolo Morelli, interprete dell’Ispettore Coliandro.