L'Italia può (e deve) agire da Ponte.

L'Italia può (e deve) agire da Ponte.
Lettura boomer
Hic Sunt Leones ci accompagna nel viaggio verso la scoperta di un argomento mal trattato: il nostro rapporto col Mediterraneo. Uscito per la prima volta su Instagram, ora il testo è disponibile su ilBlast.it

Primo Capitolo

L’Italia, un territorio che è stato scelto dalla dea bendata come cuore pulsante dell’area Mediterranea, nonché come potenziale faro del continente europeo, ma stiamo davvero sfruttando le virtualità geo-politiche ed economiche di questa strategica posizione naturale?

Il mare è il grande segreto delle maggiori civiltà e collettività della storia umana, pensiamo all’antica Roma, non sarebbe diventata ciò che è storicamente stata senza un predominio tattico totale sul mar Mediterraneo. L’avevano compreso gli antichi Romani, i Greci e i Fenici, noi uomini moderni a confronto stiamo diventando più terragni dei felini. La chiave di quella prosperità, si poteva desumere, dal connubio flotta, commercio e ovviamente tasse (un mare di tasse), la stessa sopravvivenza di Roma si reggeva su questo equilibrio, per lo più dettato dai flussi di merci da e verso tutto l’impero.

Ma non solo Roma, basti ricordare che, sin dall’XI secolo, grazie al crescente fiorire dell’economia, le repubbliche marinare di Amalfi, Pisa, Genova e Venezia riuscirono a sviluppare flotte mercantili ma anche grandi porti molto ben organizzati per commerciare e far transitare al loro interno un numero incalcolabile di merci destinate a tutta Europa.

Ora ritorniamo tristemente ai tempi moderni, secondo il Logistic Performance Index del 2019 che considera i tempi, i costi e la qualità dei servizi offerti dai nostri porti, interporti e aeroporti, l’Italia si è posizionata 19esima al mondo, con un’inefficienza che costa oggi al nostro paese oltre 70 miliardi di euro l’anno. Dobbiamo lavorare affinché il nostro paese possa tornare ad essere uno snodo strategico non solo per i paesi europei, ma recuperando anche quelle rotte commerciali africane e mediorientali.

Questo breve excursus per definire, in maniera speriamo abbastanza chiara, che chi governa i mari controlla il commercio, chi controlla il commercio governa il mondo. Evidentemente noi questo però abbiamo ancora difficoltà a comprenderlo, o forse a ricordarlo, perchè in verità, ci siamo già passati più e più volte.

Qui il primo post!

Secondo Capitolo

Nel primo capitolo di questa mini-serie abbiamo cercato di definire quanto la posizione peninsulare dell’Italia sia a tutti gli effetti un trampolino naturale verso tutto il continente europeo nonché una piattaforma strategica per tutta l’area mediterranea, ma soprattutto abbiamo tentato di chiarire quanto i porti per la nostra nazione siano da sempre una risorsa di inestimabile valore che purtroppo non viene propriamente valorizzata.

Oggi, dati alla mano, non è scontato specificare che circa l’85% del commercio mondiale in termini di volume avviene via mare e circa un sostanzioso 24% dei container transita attraverso il Canale di Suez, un passaggio creato dall’uomo che attraversa verticalmente l’Egitto collegando il Mar Rosso con il Mar Mediterraneo.

Al momento le navi cargo provenienti dall’Asia che attraversano il canale e dirette verso l’Europa, preferiscono allungare il percorso di miglia e miglia oltrepassando addirittura lo stretto di Gibilterra pur di far transitare le merci nei porti principali del Nord Europa, quali: Rotterdam, Anversa, Amburgo e molti altri, ciò è dovuto principalmente ai costi, alla rete stradale, ferroviaria e alle nostre infrastrutture portuali che ad oggi non sono in grado di gestire un traffico commerciale di questa portata.

Cos’è che si potrebbe dunque fare?

Porre il ruolo dei nostri porti come nodi principali della rete logistica italiana ed internazionale, attraverso una mirata strategia di investimenti volti all’ampliamento e al potenziamento della mobilità stradale e ferroviaria del nostro paese.

Detto questo ci rendiamo perfettamente conto che non sono cambiamenti che si possono attuare dall’alba al tramonto ma è importante realizzare che per ogni euro investito nelle infrastrutture portuali, se ne genera almeno il doppio nell’economia locale in termini di ricadute dirette, indirette e indotto.

Qui il secondo post!

Terzo Capitolo

Pensate al mare come una gigantesca mappa suddivisa in quadranti che aspettano soltanto di essere rivendicati. In questo terzo capitolo parleremo di Zone Economiche Esclusive (ZEE), un argomento di cui si parla troppo poco e che merita di essere approfondito ma soprattutto chiarito.

1982, Montego Bay. L’ONU redige e adotta la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell’utilizzo dei mari e degli oceani, definendo le linee guida che regolano le trattative, l’ambiente, la gestione delle risorse naturali e la possibilità, da parte di una nazione, di esercitare il diritto di giurisdizione esclusivo su una specifica zona di mare. Da un punto di vista tecnico e semplificato: il mare che va dalla linea di base delle coste di uno Stato sovrano fino a circa 22km di lontananza vengono definite acque territoriali nazionali, ovvero uno spazio in cui vige la giurisdizione dello Stato costiero. Oltre invece i 22km di distanza dalla costa di un territorio si parla di acque internazionali, ovvero uno spazio marittimo in cui vige appunto il diritto internazionale.

L’istituzione di una Zona Economica Esclusiva rappresenta la possibilità per un Paese di estendere la propria giurisdizione geo-politica dai già citati 22km di mare fino ad un massimo di 370km, ciò consentirebbe all’Italia di gestire e tutelare il proprio patrimonio marino, di esercitare diritti esclusivi di sfruttamento sia delle risorse naturali, sia delle risorse minerarie presenti al largo, ma soprattutto di utilizzare lo spazio per la ricerca scientifica e per la produzione di elettricità attraverso l’idroelettrico e l’eolico.

Al momento l’Italia non possiede ufficialmente una propria ZEE ma da qualche anno ha incominciato a intavolare concordati diplomatici con i paesi dell’area Mediterranea per delimitare un proprio settore. Questo è il lato positivo.

Il lato negativo è sicuramente il fatto che ci saremmo dovuti muovere molto ma molto tempo prima.

Qui il terzo post!

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