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Gentile Signor Elkann,
Incomincio col dire che sono d’accordo con lei. La seguo da quando, con un colpo da maestro, riuscì a strappare al ministro Brunetta la ricetta della sua pasta e fagioli. È commovente leggere le sue parole, degne di un gentiluomo d’altri tempi. È commovente leggere la storia di un uomo pronto a difendere coi denti la propria intimità, come quel Tomagra protagonista de L’avventura di un soldato, dalla raccolta Gli amori difficili di Calvino.
È commovente leggere che c’è ancora un uomo che in treno legge il giornale e qualche pagina di Proust, vestito di una giacca di lino, eleganza d’altri tempi.
Eppure, un vero gentiluomo non dovrebbe mai ostentare, come lei ha fatto nel suo articolo, che effettivamente risulta alquanto spocchioso.
In secondo luogo, cosa ci andava a fare proprio a Foggia (ricordi Crozza-Feltri!)?
Infine, perché prendere un treno Italo, che notoriamente è affollato dalle peggiori turbe sottoproletarie per via del prezzo solitamente più conveniente rispetto al Frecciarossa? La prima volta che ho preso un treno Italo, solo perché costretto dalla necessità di tornare da Roma a Torino con un mio collega, sono stato catapultato in una realtà distopica in cui tutti i posti erano occupati, le folle occupavano gli altrui posti, non c’era neppure un tavolino su cui appoggiare i propri giornali, il proprio volume di Proust o anche solo il proprio diario di viaggio.
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E che dire dei treni regionali? Ha mai preso, per esempio, il regionale Torino-Savona in una mattinata di piena estate? Io l’ho fatto prima di partire per la Turchia e mi sono ritrovato in un girone infernale fatto di mezzo Piemonte che andava al mare.
Genova per noi è un gruppo di pensionati che guarda meravigliato fuori dal finestrino del treno in cerca di un paese in cui comprare una casa per trascorrere serenamente la terza età a spese della collettività. Genova per noi è un gruppo di ragazzi vestiti con pantaloncini da corsa, magliette traspiranti, calzettoni di spugna e scarpe sportive. Al punto che viene da chiedersi se questi eserciti di marzana si stiano dirigendo al mare o in alta montagna. Chissà, forse la periferia non conosce usi e costumi della gente di mare. Forse questi marzana–marziani si aspettano di incontrare vipere tra le viuzze di un borgo ligure (e vipere ne incontreranno, ma in un altro senso, sotto forma di braccino corto)
E gli uomini preferirono le calze di spugna alle infradito.
Ma arrivati in un piccolo borgo della Liguria, passeggiando per le sue viuzze, li si incontra ancora a decine e decine, centinaia. Marzana standardizzati, evidentemente inadatti al clima marino, o forse disabituati a quella decenza che impone di evitare il maglione di lana a Ferragosto. Tutti uguali, tutti in fila, tutti perfettamente allineati. In fondo non siamo cambiati dai tempi di Bruno Lauzi.
Un marzana tunisino che indossa ciabatte orrende e calze di spugna chiede ai passeggeri suggerimenti su dove scendere. Gli suggeriscono di scendere a Spotorno e poi di andare a Noli, dove c’è tanta spiaggia libera (cosa assai rara nel Tirchistan)
Ebbene, non scende. La melanzana sua fidanzata è quasi in lacrime.
Ma non è così solo sul treno, e neppure solo in Italia. I turisti che camminano sul lungomare con anfibi e calzettoni di spugna sono di tutte le nazionalità, persino di tutte le età. Ci si chiede se debbano andare a fare il bagno oppure la guerra in Albania, ma poi ci si ricorda che i nostri soldati in Albania erano equipaggiati molto peggio.
Verrebbe da chiedersi se a questa mutazione antropologica non corrisponda una devirilizzazione dell’uomo. In Viaggio al termine della notte, Céline scrive:
«L’introduzione del ghiaccio nelle colonie, è un fatto, era stato il segnale della devirilizzazione del colono. Ormai inchiodato dall’abitudine al suo aperitivo ghiacciato, doveva rinunciare, il colono, a dominare il clima con il suo solo stoicismo [parola e filosofia che detesto]».
Le calze di spugna sono il colpo di grazia.
Dal Novecento a oggi, la tendenza è stata sempre quella di ridurre progressivamente l’abbigliamento da mare. Se negli anni Settanta Aldo Moro andava al mare vestito in giacca e cravatta, negli Ottanta Fantozzi indossava un costume che arrivava fino all’ombelico con tanto di cintura, nei Duemila si introducono ordinanze per impedire di passeggiare sul lungomare o in paese senza la maglietta.
Oggi assistiamo a un’inversione di tendenza.
Il primo passo è stato l’introduzione dei boxer sotto il costume, quasi le pudenda necessitassero di una doppia protezione. Ma quello era dovuto all’esigenza di mostrare il culo e la marca dei boxer più che a bacchettona pudicizia. Ora, invece, siamo giunti a coprire anche le caviglie, quali moralisti dell’età vittoriana, anche in questo caso più per ostentare la marca dei calzini che per nascondere una parte del corpo o – figuriamoci – per difendersi dal freddo.
Ebbene, sappiano, queste melanzane di città, che il mare l’abbiamo avuto anche noi a Milano.
Poveri illusi costoro che al mare vanno con le calze di spugna e in montagna, chissà, con le chiappe al vento. I laghi, non vanno mai.
Eppure, signor Elkann, i treni non sono l’unico mezzo di trasporto di cui ci si possa lamentare. Anche gli aerei non sono male. Ha presente quella sensazione che si prova quando si propone al signore che dovrebbe sedere alla sua destra se vuole fare cambio di posto e invece lui fa alzare tutti quanti? Oppure, ha presente i cessi di serie A e quelli di serie B di cui parla Sgarbi relativamente ai voli Swiss Air? O il momento dell’atterraggio, quando tutti i passeggeri devono prendere i loro bagagli e si scende disordinatamente, in mezzo a una gran confusione. O ancora all’aeroporto di Istanbul, quando le parlano solo in turco e lei non capisce niente.
Al momento, le scrivo da Sivas, nel cuore della Turchia profonda.
Ha mai preso un mezzo pubblico qui? Sa che l’unico mezzo pubblico qui è un pulmino da 15 posti sempre affollato che si ferma in mezzo al nulla – le fermate non sono segnalate – e che si muove tra le curve montane con la portiera aperta? Sa che la popolazione del posto ha escogitato un sistema per cui coloro che sono seduti in fondo al pullman passano i soldi del biglietto a quelli che sono davanti?
È un’operazione che crea grande confusione, eppure l’autista, in qualche modo, riesce a tenere il conto di tutte le persone a bordo, sa dove devono scendere, sa dove si deve fermare.
Il suo Proust glielo tira in testa.
Signor Elkann, voglio credere, come scrive il Foglio, che lei sia soltanto un elitista e non un classista. Eppure, nella sua disamina, ha dimenticato un principio cardine dell’eleganza classica. Me l’ha insegnato Douglas Mortimer.
Nell’eleganza classica, non bisogna mai essere fuori luogo. In mezzo a quelle pallide melanzane, lei era fuori luogo. Lei sfigurava, lei non era elegante. La prossima volta sfoggi anche lei una bella tuta da ginnastica e dei bei calzettoni di spugna, non saluti, parli di quanto le è piaciuto il culetto di prosciutto del ministro Brunetta e scelga una meta più euforica.
Mi creda, è meglio mimetizzarsi, questi marzana sono pericolosi sovversivi.
Umberto Eco ci insegna che la rivoluzione è fatta dai Franti, non dai Garrone. Ebbene, prepariamoci alla reazione.
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