Ok, lo ammetto, forse non sono la persona più adatta per parlarvi di Garibaldi. O meglio, a me Garibaldi starebbe pure simpatico, è un personaggio, azzarderei, come il Cerutti Gino cantato da Gaber, insomma, un vero personaggio che ti farebbe esclamare “che personaggio!” con aria non poi così sorpresa, avendone già prevista la natura.
Il Cerutti, tuttavia, non ha cercato di unificare l’Italia, si è limitato a rubare una Lambretta e a farsi il gabbio.
Tra i due, mi vien da dire, l’eroe Nazional-popolare è il secondo.
Fatto sta che Garibaldi con la sua barba, i suoi jeans genovesi, i suoi mille scappati di casa che poi non erano esattamente mille, i suoi rapporti a dir poco burrascosi col potere statale (leggasi coi Savoia), il suo amore per gli animali (ha fondato l’ENPA) e il suo girare il mondo, è un personaggio terribilmente attuale: questa descrizione farebbe onore a un hipster con le birkenstock, la borsa di tela, e la tessera di più Europa.
Peccato che a noi gli hipster con le birkenstock, la borsa di tela e la tessera di più Europa non piacciono.
O forse sì…
Se non sono la persona più adatta per parlarvi di Garibaldi, viste le mie note simpatie Veneto-liberiste, federal-secessioniste (sono un eterno indeciso decisamente pragmatico), sono abbastanza formato per parlarvi del Marsala, il vino di Garibaldi.
O forse no.
Negli anni ruggenti d’Italia, s’intendono gli anni ’60-’70, anni molto diversi in realtà, i primi in boom-economico, i secondi in boom-terroristico e in recessione; negli anni ruggenti, dicevamo, si andava al Bar e si chiedeva una Marsala.
Ovviamente nel panorama dei Bar e delle Osterie del Bel Paese, si beveva un po’ di tutto e ogni regione aveva le sue abitudini. Sicuramente in Sicilia non si beveva come in Veneto, ma l’unità culinaria dell’Italia di allora può sorprendere, o forse la mia visione è campanilistica, provinciale e padano-centrica:
E va bene così.
In un’epoca in cui il vino era bianco e rosso (e si vendeva principalmente sfuso), il brandy veniva chiamato Cognac (con buona pace dei francesi e le loro Denominazioni di Origine) e la birra era solo bionda e autarchica (fanculo le IPA dei frichettoni), in un’epoca insomma in cui si aveva ancora fame e solo qualche borghese poteva permettersi di farsi le seghe su nomi, denominazioni e tipologie dei prodotti enogastronomici, si andava al bar e si trovava lui: il Marsala.
Oggi sfido chiunque entrare in un bar/pub/osteria e trovare il Marsala in mescita.
Come Fleximan: introvabile.
Entrando in un Bar/Pub/Osteria – ovviamente locale finto quest’ultimo – troviamo 10 birre di importazione, 15 birre “artigianali” fatte con le stesse materie prime di quelle industriali con la differenza che il mastro birraio – quando c’è – beve più birra di quella che vende, 20 tipi di gin (che poi è lo stesso Bosford travasato sulle bottiglie fighe), 25 vini di cui metà “naturali” (uno più difettato dell’altro) e neanche mezza bottiglia di Marsala.
Con la fine della Prima Repubblica, gli Italiani (che a volte mi sembra una parola un po’ campata per aria) hanno deciso di mandare a casa una serie di cose; alcune effettivamente se ne sono andate: Craxi, la DC, il PSI, il PCI, l’MSI, i CCCP, Claudio Villa, il Deltone integrale, le pennette panna e salmone con la decorazione di prezzemolo… Altre sembravano sparite ma in realtà sono ancora qui, magari si sono trasformate, ma sono ancora qui: Craxi, la DC, il PSI, il PCI, l’MSI, Claudio Villa, il Deltone integrale, le pennette panna e salmone con la decorazione di prezzemolo (F per i CCCP).
Il primo è letteralmente Matteo Renzi, i secondi rivivono muoiono di una lunghissima agonia intergenerazionale nel PD, il terzo è al governo, il quarto ha cambiato nome e ora si fa chiamare “el filosofo” VillaBanks, il quinto è ciclicamente vittima di soprusi in casa FIAT (roba da violenza domestica), le seste si sono camuffate da specialità Hawaiane e vivono una seconda giovinezza nel Pokè (davvero ragazzi, mangiatevi il fegato piuttosto). L’unica cosa che non rivive (per fortuna mi verrebbe da dire a questo punto) è il Marsala, il vino di Garibaldi.
Attenzione! Pippotto storico.
L’Inghilterra della prima rivoluzione industriale aveva parecchi interessi in Sicilia.
Nel 1770 il mercante John Woodhouse, fu costretto a ricoverare la nave a Marsala. All’epoca si produceva l’antenato del Marsala, il Perpetuum. Questo si chiamava così perché la botte non si svuotava mai del tutto, una parte veniva tolta e venduta mentre la botte veniva ricolmata con vino nuovo: un vino senza età. Giovanni Casadilegno capì subito le potenzialità del prodotto, somigliante al Madera portoghese già commercializzato dagli inglesi, ne spedi a Londra dove fu venduto fast. Ciò lo convinse a comprare terreni e strutture a Marsala e a diventare il primo vero produttore di Marsala.
Dunque il nostro amato Marsala nacque come imitazione del Madera.
Ciò che distingue ancora oggi questi vini (Marsala, Madera, Porto…) è che a metà o alla fine della fermentazione viene aggiunto alcol puro, un conservante naturale. Alcolista o meno (lascio a voi giudicare), il nostro John era uno squalo e lucrò anche sui fondi statali (modern entrepreneur) garantendosi la fornitura di cinquecento “imperial pipes” alla flotta inglese di stanza a Malta. Apprezzato anche da Horacio Nelson, gli inglesi iniziarono a chiamare il Marsala in quarantamila modi diversi, sempre meno di quelli con cui gli italiani chiamano la mona (la fessa, la patacca, la gnagna…). Tra questi ricordiamo: Victory Wine, Black jack, Sicily Madera, Sicily ebbasta. Diversi altri mercanti inglesi si misero quindi a produrre Marsala: James Hopps, Benjamin Ingham, Joseph Whitaker…
Cosa ci insegna questa storia?
Assolutamente niente, per fortuna non siamo su una pagina “business-mindset”
– LAVORATORE! PRETENDI IL LAVORO –
Fino all’arrivo a Marsala dei Forio nel 1830, dunque, il Marsala rimase un vino prodotto da e per gli inglesi. Solamente dopo i Florio (ovvero sessant’anni dopo l’inizio del successo commerciale) arrivarono i siciliani. L’11 maggio 1860, invece, arrivarono i Mille (o poco più) e il viceconsole inglese a Marsala (nonché direttore del baglio Ingham) vietò ai borbonici di sparare sui garibaldini (c’erano pur sempre le navi inglesi alle loro spalle).
A quel tempo, tra tonnare, cantine, battelli a vapore e una banca, i Florio controllavano mezza isola; non a caso, due anni dopo, Garibaldi torna in Sicilia e gli fa visita. La leggenda narra che in quell’occasione l’hipster nizzardo gradì particolarmente la versione dolce del Marsala che fu ribattezzata “Garibaldi Dolce”.
Ai siciliani voglio bene ma in questa storia, come al solito, non hanno fatto un cazzo. Primo vino “italiano” a vedersi riconosciuto un proto-disciplinare di produzione nel 1931, il Marsala non gode certo della fama che meriterebbe.
Eppure ci sarebbe tutto:
un vino buono che dura nel tempo,
un tuttopasto – io ve la butto là, abbiniamolo con la cacio e pepe –
una bella storia su cui farci le campagne marketing…
Fosse stato padano il Marsala godrebbe di fama ben diversa, o forse non sarebbe neanche nato. Elucubrazioni inutili.
Il Marsala è Nazional-Popolare
Esattamente come Pippo Baudo e la tv generalista di Berlusconi – si lo so che hai votato Marco Rizzo – ma, ammettilo, anche tu da bambino fantasticavi sulla Cipriani e la Fico, ma soprattutto, sulla gatta nera – il Marsala è Nazional-Popolare per elezione, per spirito intrinseco, per estetica.
Per il Marsala fu Perpetuo,
il tempo e lo spazio perirono ieri.
Oggi rischia di perire anche lui.