«Signori, sulla scheda Max Pezzali io alzo le mani. Cantautore clamoroso, artista di un’onestà intellettuale toccante, cantore non della provincia, come molti pensano, ma del tempo che passa e del caos indeterministico che ci risucchia, basti pensare a quel finale de Gli anni, col rientro a casa dalla fidanzata che è la constatazione amichevole della reciproca soccombenza: solo lei davanti a me. Cosa vuoi? Il tempo passa per tutti, lo sai. Nessuno indietro lo riporterà, neppure noi»
(lo Sgargabonzi, Una pezza di Lundini, 06/07/2021)
Gli anni Novanta si aprono con un tragico evento. Il crollo del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’Unione sovietica, i fatti di Mosca del 1993. Francis Fukuyama annuncia euforico la fine della Storia e il trionfo della liberaldemocrazia. E certo la Storia, la Grande Storia, la storia fatta dai grandi uomini, è finita tra le macerie di quel Muro. Se a trionfare sarà la liberaldemocrazia lo decideranno altre macerie, quelle di Bakhmut.
Le nuove generazioni, che già il Capitale aveva divise in mille sottoculture tribali, tutte unite dal consumismo sfrenato, dal conformismo acefalo, dai panini, dalla moda esibita, dall’americanismo e da un anti-italianismo senza precedenti, restano a guardare sbigottite. Una sola voce si staglia nel grigiore della Domenica delle salme. E che voce! Il presidente Jovanotti se ne innamora subito e in Jolly Blu gli impone di finire subito il suo primo album. Si chiama Massimo, Massimo Pezzali – per gli amici Max -, ed è una creatura labranchiana. Max Pezzali è l’uomo nuovo, nel senso che, diversamente da Pasolini e De André, che denunciano l’orrore del consumismo, riesce a esserne divertito, finanche entusiasta, persino nei suoi lati peggiori(questa è l’interpretazione che Claudio Giunta dà del pensiero di Labranca). Labranca tara la sua estetica sui sobborghi della mogoliana Brianza velenosa e non riesce ad apprezzare nulla che non sia industriale o legato al mondo della pubblicità; Max Pezzali ha in testa solo discoteche e ragazze bellissime.
Comunque, è abbastanza sveglio da capire ciò che accade intorno a lui: «alla centrale della polizia»,
«il ministro dei temporali, in un tripudio di tromboni, auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni: “Voglio vivere in una città dove all’ora dell’aperitivo non ci siano spargimenti di sangue o di detersivo”».
So cosa state pensando. Accostare Max Pezzali e De André è blasfemo. E invece i blasfemi siete voi, che avete ucciso Dio, il comunismo, le pennette alla vodka e l’orologio sul polsino della camicia. Il cadavere dell’Uomo Ragno è il cadavere di Utopia. Di più: l’Uomo Ragno muore eroicamente, come Enrico Mattei, per aver fatto qualche sgarro a qualche fusariano globocrate sans-frontière, a qualche turbocapitalista dell’industria del caffè. Vittima della mala, della pubblicità, di Salatino Fulvio Franco. E muore messianicamente, ma con la sua croce ha redento solo Max Pezzali. Infatti, la mentalità conformista, sospettosa e complottista della gente comune non cambia:
«Ma nelle strade c’è panico ormai
Nessuno esce di casa, nessuno vuole guai
Ed agli appelli alla calma in TV
Adesso chi ci crede più»
Il profeta Max Pezzali aveva predetto anche l’indicibile febbre cinese. Il paesaggio urbano ne risulta totalmente snaturato. Una scena di Joker o l’incipit di Beau ha paura. Una di quelle periferie urbane create dal capitalismo neoliberale anglosassone o dall’arroganza occidentale nei Paesi del Terzo Mondo. Una di quelle periferie descritte da Michel Albert in Capitalismo contro capitalismo, o da Serge Latouche ne L’occidentalizzazione del mondo:
«Giù nelle strade si vedono gangs
Di ragionieri in doppiopetto pieni di stress
Se non ti vendo mi venderai tu
Per cento lire o poco più
Le facce di Vogue sono miti per noi
Attori troppo belli sono gli unici eroi
Invece lui, sì, lui era una star
Ma tanto non ritornerà»
Lui sì, lui era una star. Ah, quando c’era lui… Quando c’era lui, caro lei. Quando c’era lui la Giustizia arrivava in orario. Ma lui non c’è più, e Max Pezzali deve trovare una soluzione. Non più la depressione esistenziale di Gianni Togni, ma una nuova forma di nichilismo, un nichilismo attivo, agonistico. Lo vediamo in Come mai, vero e proprio manifesto della poetica di Max Pezzali:
«Le notti non finiscono
All’alba nella via
Le porto a casa insieme a me
Ne faccio melodia»
Shomer, ma mi-llailah? Sentinella, a che punto siamo della notte? Isaia 21, 11 ci insegna che la notte è quasi finita, ma il giorno ancora non è arrivato ed è nostro compito continuare a cercare. Max Pezzali accoglie l’invito. La vera novità consiste nel riuscire a fare del proprio malessere Poesia. Come Céline, come Trucebaldazzi.
Alla svolta artistica si accompagna una svolta religiosa. La svolta è segnata dall’amicizia con Cisco, vero e proprio Messia che si sostituisce all’Uomo Ragno. Cisco è come Godot, è uno che si fa aspettare:
«Si era detto otto e mezza puntuali al bar
Però lo sapevamo già (scialalà)
Che tra unà cazzata e l’altra c’è Cisco che
Passa in bagno un’eternità (scialalà)»
Eppure, è proprio Cisco a guidare la Rotta per casa di Dio. Una rotta che porterà Max a scoprire i veri valori, come l’amicizia:
«Tutti con in mano birra e Camogli noi
Senza fidanzate, troie né mogli noi
Quattro deficienti a fare cazzate
Come non succedeva da un pacco di tempo»
Questa, in fondo, è la società ideale per Max Pezzali. Un mondo senza donne, un mondo di uomini che stanno da soli a coltivare il proprio orto e a sparare cazzate. Tante cazzate. La via più breve per la Santità.
Sempre a Cisco è assegnata l’enunciazione di leggi universali. Universali come la legge di Murphy. La prima è La dura legge del gol: «mentre gli altri ancora esultano, c’è qualcuno che s’incazza, ed in fondo, ti piaccia o no, questa è l’unica certezza che hai». La seconda è La regola dell’amico: «se sei amico di una donna non ci combinerai mai niente, mai, non vorrai rovinare un così bel rapporto».
Grazie all’amicizia, l’amicizia vera, Max Pezzali supera i suoi amori non corrisposti e la sua timidezza e riuscirà a conquistare il cuore di molte ragazze: dalla regina del Celebrità, bella, magnifica, senza un’età, a quella che è un mito, da anni «còsi irràggiungibilé», da quella che nell’ora di letteré guardava rifletteré sulle domande tranello della prof fino a quella che è Bella vera. Né si tratta di conquiste effimere: nel video di Una canzone d’amore vediamo che alla fine la sposa arriva a coronare il sogno. La donna, il sogno… E il grande incubo?
Il grande incubo, ancora una volta, consiste nell’orientarsi nel caos del mondo moderno:
«Io Di risposte non ne ho Mai avute e mai ne avrò Di domande Ne ho quante ne vuoi»
Eppure, un’alternativa è possibile. E no, non parlo delle favole, dove «non è impossibile stare al posto di quei tizi di cui si fidava lei, far capire chi è più forte, chi ha coraggio». Non parlo di seguire le stelle e nemmeno fantasie giovanili di fuga: «con un deca non si può andar via, non ti basta neanche in pizzeria!», maledetta inflazione!
Parlo, invece, della più alta manifestazione del pensiero filosofico di Max Pezzali, ovvero Come deve andare. La condizione esistenziale di Max è ben esemplificata da quel Peugeot che arranca in salita, superato da un accelerazionista col Fifty nero, oppure da Max in persona che nel video lava il pavimento per i due grandi campioni sovietici di scacchi, Kolosimo e Kedrov (Kedrov sembra Labranca, Kolosimo porta il cognome del celebre fantarcheologo marxista)
La ragazza che presenta l’incontro annuncia, in russo ovviamente, che ci sono due modi di affrontare la vita: come gli americani, giocando a poker, o come i russi, giocando a scacchi.
«Eranò le
Vacanze di Natale
Nell’anno di
Quel freddo micidiale
Il mio Peugeot
Col gelo arrancava
Tossiva un po’
Partiva e si fermava
Mi superò
Uno col Fifty nero
Lo vidi che
Rideva, son sicuro
Dall’alto del suo Fifty sia di me che del Peugeot»
«Così tornai
A casa un po’ umiliato
Col ghiaccio che
Dal chiodo era entrato in
Profondità
Nel mio orgogliò ferito
È allora che
Al volo ho realizzato
Qui rischio di
Passare la mia vita
Sopra un Peugeot
Che arranca in salita
Mentre uno con il Fifty ti sorpassa, ride e va”»
È il compromesso, l’accettazione delle regole del gioco, ovvero la competizione spietata del capitalismo. Come dirà il Maestro Bini, sta andando tutto male, ma ci s’illude che «tutto va come deve andare, o pérlo
meno còsi
diconò; e tutto va come deve andare, o pérlo meno melo
augurò». Lo so, sembra il teorema di Pierino:
«+ melo –
+ vengo –
x non venir + -
non melo - +
o x lo –
melo –
di -»
Ma ci occuperemo in altre sedi della poesia futurista di Alvaro Vitali. Torniamo a Max Pezzali.
«Poi se ne andò
Il tempo delle mele
Ed arrivò
L’inferno delle pere
Amici che
Non avrei più rivisto
Sbattuti là
Scaraventati in pasto
A una realtà
Che qualche anno dopo
Avrebbe già
Riscosso il suo tributo
Da sola o con le quattro letterine magiche»
È FINITO IL TEMPO DELLE MELE, PUTTANA! E arrivano le quattro letterine magiché: non quelle per Hogwarts, bensì l’AIDS. Ma non per tutti:
«E c’eranò
Quelli già sistemati
In società
Temuti e rispettati
Guardavanò
Con schifo malcelato
Persone con
Qui avevanò vissuto
Non era più
Il tempo di parlare
Con gente che
Erà così inferiore
Ridendo di un Peugeot in salita che non ce la fa»
E d’improvviso, l’illuminazione. La constatazione che il Progresso non è che un falso mito, che occorre rallentare, tornare indietro, o comunque procedere a piccoli passi.
L’anticonformismo di Max Pezzali si manifesta nel rifiutare i dogmi dell’Età della Ragione, l’Illuminismo, la liberaldemocrazia, in una parola la Cattedrale di Mencius Moldbug.
«E siamo qui
Ai piedi di una strada
Che sale su
Ripìda e dissestata
La chiamanò
Età della ragione
Ci passanò
Miliardi di persone
Io sperodì
Poterla fare tutta
Guardare giù
Quando arrivèro in vetta
Anche arrancando come quel vecchissimo Peugeot».
La soluzione è, come il cesso, in fondo a destra. O a sinistra, purché si torni indietro, purché si reagisca. Eppure, al Festival di Sanscemo i Tretriti sono sicuri: «È vivo, è vivo, è vivo l’Uomo Ragno, con la sua tutina rossa nella ragnatela grossa. Sta bene, sta bene, sta bene l’Uomo Ragno, l’hanno visto anche in Sardegna a fare il bagno in uno stagno».