Occupanti abusivi,
Non vi chiamo gentili perché di gentile nel senso etimologico della parola non avete proprio nulla. Incomincio col dire che tendo a simpatizzare per la causa palestinese, come forse sarà evidente da alcuni articoli che ho scritto in passato. Lo faccio perché ritengo che la creazione dello Stato d’Israele sia stata la decisione più scelerata del XX secolo (non conosco un singolo esempio di un popolo che sia tornato a reclamare le proprie terre storiche dopo duemila anni!) e perché proprio non ce la faccio a stare dalla parte di un regime che Amnesty International definisce senza mezzi termini apartheid.
Ciò detto, non mi considero antisionista.
Non sono contrario in toto all’esistenza di Israele come entità politica, perché sono realista: da oltre un secolo gli ebrei sono tornati alle loro sedi storiche e occorre prenderne atto, garantire loro un’organizzazione politica, senza per questo giustificare la colonizzazione di terre – come quelle della Cisgiordania – che non erano state attribuite a loro.
Questo perché, se esiste una nazione israeliana, è altrettanto vero che esiste, e sin da tempi immemori, una nazione palestinese. Facciamo un bel ripasso di storia. Terza guerra giudaica. 132-135. All’imperatore Adriano non piacciono i cazzi circoncisi, contrari al suo gusto estetico. Scoppia la rivolta, guidata da Simone Bar Kokhba (‘figlio della Stella’), che si autodefinisce il Messia, mentre i cristiani lo chiamano Bar Koziba (‘figlio della menzogna’). La rivolta parte dai deserti, poi arriva a Gerusalemme e Bar Kokhba diventa re.
Alla fine, Gerusalemme è distrutta e rifondata col nome di Aelia Capitolina in onore di Adriano, mentre la Giudea viene riorganizzata sotto il nuovo nome di Syria Palaestina.
Nuovo nome?
In realtà, no. Il termine è attestato per la prima volta nelle Storie di Erodoto in riferimento alla parte meridionale della Siria, e poi in Ovidio, Tibullo, Plinio il Vecchio, Dione di Prusa, Stazio, Plutarco, Filone Alessandrino, Flavio Giuseppe e molti altri. In effetti, esso corrisponde all’etnonimo biblico Peleshet. Avete presente i Filistei? «Muoia Sansone con tutti i Filistei»? Giudici, 13-16. Ecco.
I Filistei nella Bibbia sono gli acerrimi nemici di Israele.
Essi venerano come divinità principale Dagon, padre di Baal, ed è proprio nell’abbattere il tempio di Dagon a Ekron che Sansone pronuncia la frase proverbiale.
Ekron era una delle città in mano ai Filistei. Le altre erano Ashdod, Gat, Ashkelon e… Gaza! Insomma, i Filistei erano organizzati in città-Stato indipendenti (la cosiddetta Pentapoli filistea) guidate da un re chiamato seren (tenete a mente questo termine!). Durante uno scontro con gli Israeliti, i Filistei conquistarono l’Arca dell’Alleanza e la esposero come trofeo nel tempio di Dagon, tenendola per sette mesi, durante i quali Dio li punì con atroci pestilnze. Sotto il regno di Saul (tradizionalmente, 1047-1010 a. C.), Davide sconfisse il gigante Golia, il campione dell’esercito gittita, consentendo la conquista della città di Gad. Saul divenne invidioso di Davide, segretamente unto da Samuele, e si sentiva perseguitato da uno spirito maligno. Davide stesso fu costretto a cercare rifugio come mercenario presso il re filisteo Achis di Gat. Quando lo spirito di Samuele previde la sconfitta degli israeliti, Saul non volle sentire ragioni e scese comunque in battaglia, venendo sconfitto a Ghilboa. I Filistei avevano conquistato nuovamente l’Arca dell’Alleanza. Sotto il regno di Davide (970-930 a. C.), i Filistei furono sconfitti sull’altipiano, ma mantennero comunque il controllo della costa e furono in grado di sconfiggere nuovamente gli israeliti ai tempi di Geroboamo II (786-746 a. C.), fino a che nel 732 a. C. furono definitivamente sconfitti a opera del sovrano assiro Tiglatpileser III (745-727 a. C.). Sette iscrizioni assire dell’800 a. C. circa si riferiscono alla regione come Palashtu/Pilishtu.
Chi erano questi Filistei?
Essi adottarono il pantheon cananeo, ma come gli ebrei non erano autoctoni. Le iscrizioni di Medinet Habu menzionano i Peleset tra i Popoli del mare che furono sconfitti dal faraone Ramesse III (1184-1153 a. C.) nel 1177 a. C. Qualche tempo prima, Merenptah (1213-1203 a. C.), aveva condotto una campagna in Palestina, contro il vassallo ribelle di Ashkelon, e si era trovato ad affrontare un esercito di 16000 uomini guidati dal re libico Mereye, al tempo in cui i palazzi micenei e l’Anatolia occidentale entravano in declino. Tra il 1190 e il 1185 a. C. cade Ugarit, mentre intorno al 1180 a. C. il re ittita Suppiluliuma II abbandona misteriosamente la capitale Ḫattusa. I popoli del mare conquistano Alalakh e saccheggiano Enkomi, la capitale di Cipro, ma vengono sconfitti da Ramesse III. Nelle rappresentazioni egizie, i guerrieri Filistei indossano elmi con cimieri piumati, corazze di bronzo, scudi tondi di stile egeo, spade e lance probabilmente di ferro.
In Amos 9, 7, si dice che i Filistei venivano da Kaftor, un nome che ricorda molto i Keftiu che dipinsero le cappelle di Tebe di Hatshepsut (1473-1458 a. C.). Secondo l’archeologo tedesco Eimar Edel, alcuni testi del tempio di Amenhotep III (1390-1352 a. C.) situerebbero a Keftiu le città cretesi di Cnosso, Festo e Amnisos. In effetti, Geremia 47, 4 fa riferimento a Kaftor come un’isola, mentre Ezechiele 25, 16 (no, non 17!) usa il termine Cretei per maledire i Filistei. Torniamo al seren, una delle poche parole filistee superstiti: molti linguisti lo mettono in relazione con il greco tyrannos, il che dimostrerebbe l’origine indoeuropea dei Filistei. Nome che, però, è stato anche messo in relazione con un altro etnonimo, Pelasgi, con il quale i Greci chiamavano le popolazioni pre-elleniche.
L’archeologia dimostra la presenza di ceramica importata del tipo definito del tardo Miceneo IIIb negli strati precedenti al 1200 a.C. e la produzione in loco della ceramica micenea del tipo IIIc (submicenea) negli strati successivi, mentre un testo egiziano del 1100 a. C. circa, l’Insegnamento di Amenemope, rende certa l’identificazione dei Peleset con i Filistei: Ramesse III li avrebbe autorizzati a restare comunque sul territorio, ma sotto il controllo egiziano.
Vorrei continuare il racconto. Vorrei dirvi che ceramica submicenea è stata trovata anche a Frattesine e Torcella, a Campo di Santa Susanna presso Rieti, in Sicilia e in Sardegna. Vorrei dirvi che alcuni bronzetti sardi sono iconograficamente simili ai Peleset delle fonti egizie. Vorrei esporvi le teorie di Giovanni Garbini secondo le quali nei secoli X e IX a. C. il Mediterraneo fu probabilmente un mare in gran parte filisteo. Vorrei raccontarvi che nell’Iliade i Pelasgi/Pelasti compaiono nel primo gruppo di alleati dei Troiani, quelli che vengono dalla Troade, accanto ai Troiani stessi, ai Dardani e agli Zeleiani. Dei Pelasgi si dice che vengono da Larissa e ci sono molte città con questo nome, tra cui una a sud di Troia e una in Tracia, e la prima sembra più probabile.
Vorrei dirvelo, ma non sono in grado di farlo, perché l’accesso alla biblioteca di studi storici, dove potrei trovare testi di approfondimento, mi viene impedito da voi quattro deficienti che avete occupato Palazzo Nuovo.
La mia fonte per questo articolo, mi tocca confessarlo, è stata Wikipedia.
In altre parole, cari occupanti, mi state impedendo di dimostrare l’esistenza della Palestina e le ragioni storiche della sua diversità etnica rispetto allo Stato d’Israele, il che immagino vada contro i vostri stessi interessi.
Vorrei davvero convincervi dell’indoeuropeità, anzi della grecità, della Palestina, ma voi preferite invitare gli imam e portare la religione in uno spazio laico. Allora, lasciate che io vi dica solo due cose.
La prima è che non mi è chiaro perché stiate protestando o contro che cosa stiate manifestando, mulini a vento a parte.
Infatti, l’università di Torino è stata la prima a sospendere gli accordi con le università israeliane (decisione a mio avviso sbagliata: non si ferma la ricerca solo perché c’è la guerra, e del resto nessuno ha messo in discussione le collaborazioni con le università afghane in mano ai talebani).
Decisione sbagliata ma inevitabile quando hai un rettore più pavido di don Abbondio, che non appena ha visto Palazzo Nuovo occupato, anziché invitare gentilmente voi abusivi a uscire, si è limitato a dire che le lezioni si sarebbero svolte online.
Un rettore con le palle avrebbe detto: bene, da oggi non si fa più lezione. Così tutti si sarebbero incazzati e sarebbero andati a manifestare contro i manifestanti. E poi via, a riprendersi l’università come ai tempi d’oro:
La seconda è che non mi piace il modo in cui usate la parola genocidio. ‘Genocidio’ è un termine coniato nel 1944 dal giurista Raphael Lemkin per descrivere la politica razziale della Germania nazista. Secondo la definizione ufficiale approvata dall’ONU e dalla Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, esso consiste in «una serie di atti (che inizia con l’omicidio dei membri di un gruppo) commessi con l’intenzione di distruggere, interamente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale, religioso in quanto tale». C’erano dubbi sull’applicazione di questa parola al Ruanda, dove in cento giorni ci furono tra 800mila e un milione di morti, invece oggi si associa questa parola alle foibe (un atto di rappresaglia spacciato per pulizia etnica per pulire le coscienze degli italiani brava gente), all’Holodomor (unica conseguenza possibile delle politiche di Stalin, nonché giustificazione storica del nazionalismo banderista), all’invasione russa e, appunto, ai bombardamenti israeliani. Bene, vi voglio dire che tali bombardamenti sono un atto di guerra. Una guerra asimmetrica contro un nemico che non c’è, un avversario fantasma come il terrorismo, ma pur sempre una guerra, non un genocidio. E che cos’è la guerra, se non la continuazione della politica con altri mezzi? Le parole sono importanti. Se usate così liberamente, finiscono per non voler dire più nulla.