Milano: la Città del Futuro

Milano: la Città del Futuro
Lettura boomer
L'evento di Sesto San Giovanni di Blast x UrbanFile tra urbanistica e vivere a Milano.

Sesto Rondò… una rotonda sul mare di Milano, sul bagnasciuga della provincia, dove comincia il pelago metropolitano, con le sue periferie e colate di cemento. La Stalingrado d’Italia, o meglio, le colonne d’Ercole che segnano la fine del mondo conosciuto. Sferza un vento diverso qua. – Sapore di sale – odore di smog.

Un posto perfetto per studiare l’ente-città. 

Milano
Noi nel deserto postindustriale di Milano Nord / Brianza – sublime matematico

Infatti ci siamo rintanati in un baretto della zona, la Maison du – Cafè – Blast, e da lì abbiamo speculato (osservato/ragionato) di città e urbanistica con Urbanfile, un blog da oltre quindici anni impegnato nel raccontare i nostri centri abitati e il loro sviluppo (con un occhio di riguardo per Milano, che ha accolto i primi passi del sito)

Dopo aver fatto del locale un nostro accampamento, un covo di Blast segreto e nascosto, tappezzato di bandiere, Proiettili, fotografie parigine e stralci di articolivi abbiamo trascinato quel moderatone (parole sue) di Claudio Nelli, che di Urbanfile è fondatore, e abbiamo iniziato la serata.

In un attimo siamo entrati nel vivo del discorso, partendo proprio dall’ambiente che ci ospitava.

A pochi passi dalla stazione della Metro rossa (MM1), qui per arrivare dal centro bisogna pagare il biglietto integrativo: piena periferia, verrebbe da dire. Nelli ha però posto da subito l’accento sull’autonomia di Sesto e delle sue realtà territoriali: periferia è ciò che non è indipendente.

E gli orizzonti sestesi potrebbero anche essere liberi dai grattacieli di CityLife che nessuno se ne accorgerebbe … (o quasi)

Milano vive infatti una situazione particolare: si è espansa gradualmente, a macchia d’olio, inglobando via via i comuni limitrofi fino ad arrivare alla Svizzera: si è espansa a Nord e senza soluzione di continuità fino al Canton Ticino, arrivando a contare, con l’hinterland, ben più abitanti del dichiarato milione (e trecentocinquanovemila).

La città è quella che è oggi solo grazie a un tessuto circondariale da cui trae linfa vitale e che è stato in grado, entrando nell’orbita del capoluogo, di mantenere in sé tutti i servizi essenziali per la vita.

Ex quo fit ut: la periferia non esiste.

O meglio. È uno stato mentale.

Almeno a Milano (e, più in generale, nelle città medio-grandi del Nord): difficile che esistano barriere fisiche e distanze siderali tra le zone più esterne e quelle più interne della città. Niente, insomma, banlieue parigine o belghe. La vera differenza, almeno in Italia, tra centro e periferia allora non è tanto da ricercarsi nell’assetto urbano, quanto nelle differenze sociali, etniche e di reddito.

Anche se, almeno a detta di Nelli, le cose stanno cambiando anche in questo senso, grazie ad operazioni di riqualificazione massive che sono state fatte in molte aree della capitale lombarda… Noi, anche se abitiamo a Lambrate (Lambronx/Lambrooklyn), annuiamo e sorridiamo, ma solo perché abbiamo il passaggio di ritorno. Però il Nelli ha un tono molto rassicurante e finisce per convincerci: palazzoni accatastati, perennemente in ombra e lasciati a se stessi quantomeno dovrebbero aver smesso di farli.

Resta ora il problema di capire dove piazzare i meneghini del futuro… Nelle case milanesissime di Alvaro Aaltissimo? Nelli ci dice che ci sono sempre state.

Piccola e perennemente sovraffollata Milano ha sempre cercato di staccarsi da terra, sviluppandosi in verticale e cercando in questo modo di risparmiare suolo.

Un problema storico, quello della dimensione degli appartamenti, destinato solo ad acuirsi che ha sempre avuto persino la borghesia cittadina più benestante… 70/80 metri quadri a famiglia. Persino a Genova si sta più larghi. È il prezzo da pagare per vivere in un posto che offre tanto a livello lavorativo e che deve perciò mirare all’efficienza. Mangia il bruco e stai nel buco: un po’ troppo protestatante per noi provincialotti, abituati come siamo a metrature infinite e a campi sconfinati in cui impiegare tutte le nostre RisorseTM… Ma è così che va qua e sempre andrà…

Milàn, l’è un gran Milàn.

Gestirla non è semplice. Politico e privato devono lavorare sinergicamente, per forza. Senza il primo si rischiano ecomostri e abusi edilizi, senza il secondo cattedrali nel deserto.

Nelli ci fa l’esempio di Bicocca: un tempo quartiere meccanopatico, isolato e piuttosto periferico, oggi accessoriato, quasi autonomo e con una fiorente università. Resta comunque un pugno nell’occhio. Postgeometria da archistar radical chic. Se la soprintendenza congela i centri storici è per paura di debosciati del loro calibro e delle loro matite. Con l’ovvia conseguenza di renderli invivibili e intoccabili (Venezia è, al solito, l’esempio più eclatante – fanculo Calatrava). L’Italiosfera intera è tenuta in scacco da una cupola di architetti assatanati che fa il buono e il cattivo tempo coi nostri spazi.

Se Milano ha perso la sua identità è anche perché non si è riusciti a trovare dei criteri, pure architettonici, che mediassero fra i bisogni dei cittadini, la voglia di sbizzarrirsi di questi megalomani matti-in-culo e la necessità evidente di preservare anche i complessi storici che non avessero una chiara destinazione turistica. Viene in mente il caso tanto dibattuto ed eclatante di piazza Trento…

L’architettura moderna è capace di innalzare capannoni industriali, ma non riesce a costruire né un palazzo né un tempio. Questo secolo lascerà solo le tracce del suo viavai al servizio delle nostre più sordide bramosie.
Nicolás Gómez Dávila – Escolios a un texto implícito

Un fantasma si aggirava per il Salotto: era lo spettro del caro-affitti e degli universitari. Nessuno ne voleva parlare davvero, anche perché è già stato detto tutto, ma siamo stati costretti da motivazioni pubblicitarie. In più la barista, sestese DOC, era molto interessata: inizia a mal sopportare i 20 min di metro fino a Festa del Perdono e ora vuole casa in Area C a meno di 300€ al mese…

Ma ragazz*, ziopera…

I prezzi sono alti perché la domanda di case e alloggi c’è, è reale, è qui, tra noi pezzenti fuori-sede.

Vogliamo stare a Milano perché è pheega, smart, cool, glamour, fashion e soprattutto internescional, dimostrando a noi stessi, alle nostre famiglie e al mondo intero di essere la peggior razza di provinciali: quelli che odiano il posto da cui vengono e hanno i peggiori complessi di inferiorità. Il buon Nelli ci dice: venite, state qua a Milano.

È ovvio, gli studenti portano soldi e fan girare i dané nelle tasche di Brambilloni Fabbriconi Formaggioni Fatturoni… E fan crescere Milano. Ma questa resterà sempre fisicamente piccola (alla geografia non si comanda) e tutti, semplicemente, non ci si sta. L’unica soluzione realistica sul lungo periodo ci sembra quella di aprire campus e sedi anche nelle cittadine più piccole, rendendole attrattive e sgravando la metropoli sia dal problema abitativo che porta sia dal mito della propria crescita infinita.

PRIMA I MILANESI.

La città è loro e se ne devono accorgere. Capiamo le esigenze economiche e la volontà di punire i Salöm che vengono qua in affitto, ma il fatto che questa realtà urbana sia sempre di più solo una vetrina, un grosso centro commerciale, e perda gradualmente la sua dimensione abitativa a lungo andare non farà bene anche a chi è nato e cresciuto qua. Non sono pochi i ragazzi di qua che faticano a uscire di casa e a trovarsi uno spazio proprio accessibile.

L’alternativa, al solito, è accelerare: vogliamo Milano sulla Luna, su Marte, una città infinita, senza confini, che abbracci quantomeno tutta la Lombardia sizziana e si estenda verso spazi sconosciuti. Una gigantesca megalopoli distopica, un tappeto di cemento, case e grattacieli che come i lego infastidisca i giganti che vi camminano sopra. Se non vogliamo abbandonare la città, che sia la città a venire da noi, inglobando tutto in una sterminata conurbazione che si mangi come minimo tutta l’Europa.

MILANESI A CASA NOSTRA.

Milano
Il complotto espasionista milanese!

Milano, centro senza centro di tutto l’Occidente.

Da prima dell’epoca comunale era un Comune. Adesso si è pappata la sua stessa provincia e l’ha fatta “città metropolitana”, avviluppandola nella sua rete di cavi, industrie e strade, secondo uno schema eternato di dinamismo continuo che tutto reclama a sé. Il prossimo passo, chi lo sa, sarà violento, repentino. Forse, però, soltanto così riusciremo a tornare alla natura. Ce lo insegnava un grande accelereazionario:

Un paesaggio retrocede dall’umanizzazione antropogeografica alla sua inumanità geologica quando i suoi abitanti alterano bruscamente le proprie abitudini.
Nicolás Gómez Dávila – Escolios a un texto implícito

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