nuovi partigiani nuovi partigiani nuovi partigiani nuovi partigiani nuovi partigiani nuovi partigiani nuovi partigiani nuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianinuovi partigiani nuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianivnuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianinuovi partigianivnuovi partigiani
Non so se fosse il suo vero nome, o qualcosa di battaglia.
Il freddo era incredibile, più di ogni altra cosa provata in Brianza.
Il freddo, ricordo solo il camminare per la neve, col cellulare spento. Le mani a cercare appigli nella foresta, sguardi assenti, intenti a studiare la mimetica del ragazzo, dell’uomo, non saprei dargli un’età: ha uno sguardo forgiato, ma una pelle morbida. Non saprei dare un luogo, né un tempo, non avendo né GPS, né un orologio al polso.
L’unica cosa che mi aveva lasciato era un semplice blocco appunti, che tornerà utile, si spera, sempre se ricorderò di segnare bene tutto.
Non vi è molto da dire, queste sono le mie ore con la Stella Nera del Varrone.
Sono i cosiddetti Nuovi Partigiani. Gruppi irregolari, diversi dal semplice terrorismo inteso fin’ora, o dalla criminalità organizzata, per quanto ne condividano l’estetica e il modus operandi. Io (Anonimo Milanese) so solo che non potevo dire il mio vero nome, ne potevo parlare di me, solo sentire le loro esperienze. Potrebbe essere che il mio contatto l’abbia fatto per semplice propaganda, l’intervista, dico, il giorno, l’esperienza.
Mettila online, così poi ci seguiranno, chi vorrà.
Il 20 gennaio era una giornata pressoché ordinaria, cercavo però nuovi articoli per ilBlast. Secondo me non è stato casuale, ci osservavano da tanto, un occhio particolare, che sappia spingere certe tematiche, ma di certo non banale. Dopotutto non mi sarei mai aspettato di essere catapultato lì: tra loro, per un giorno. Mentre preparavano qualcosa, a me, poco conosciuto e decisamente: pericoloso.
Facciamo questi piccoli passi insieme, li metto giù ad estratto conto:
- Scrivo su ilBlast da almeno due anni.
- Il mio nome non è conosciuto, o almeno, ho fatto la mia parte.
- Trovo un contatto su Instagram, da lì mi gira il Telegram.
- Seguivamo le stesse cose, e mi aveva scritto per Blast.
- Ci becchiamo a Monza il 21.Capitano
- Mi parla di questo gruppo, Stella Nera, e di come stiano cercando nuovi membri.
- Dico che non posso unirmi, ma di parlarmene di più.
- Dice: se sei di Blast, e soprattutto vuoi scrivere, vieni a Dervio, il 25, da lì saliamo.
- Non portare nulla di valore, solo scarpe da montagna, e un plico di fogli.
Salgo su un furgone per Sueglio, con lui, indossa un cappello di lana che gli copre i capelli, non ne indovinerò mai il colore. Incide con le dita sul telefono, grattandone lo schermo, sta scrivendo alla base. E starà parlando di me. Quando arriviamo mi fa scendere lui. Apre lo sportellone e ne estrae due zaini, il mio e il suo, mi chiede di spegnere il telefono per il prossimo giorno.
Glielo porgo subito dopo, se lo mette in tasca. Lo vedrò alla fine del viaggio.
È per evitare che sappiano. Poi ti farebbe bene starci lontano.
Mentre salgo la neve diventa sempre più fitta, questo mese ha fatto un casino su a Lecco alta.
Annoto la conversazione, o almeno le linee generali. Lui dice qualcosa sul fatto che arriveremo tra un’oretta, se ci sbrighiamo e non troviamo casini.
Io pregusto, già immagino delle tende, una baracca, uomini armati, è una storia che si scrive da sola. Non c’è nulla da dire sulla traversata, solo che non parlammo di me, così da scaricarmi l’ego.
A ogni mia risposta troppo lunga, troppo personale o qualche domanda di un parere suo, lui tace, si tocca la bocca.
Dice che è perché nessuno parla della vita passata, a volte sì, ma solo con esterni. Io avendoli conosciuto, è come se fossi già indagabile, o direttamente un possibile affiliato.
Il campo della Stella Nera è una sorta di rave party, una tendopoli, e qualche baracca alla buona. Non si respira nulla se non estremismo, vite infrante e pronte ad essere raccontate. O a non essere mormorate.
Sandro dice che mi fa conoscere il Capitano a breve, e che devo dargli del tu, non vuole gerarchie.
Mi indica una tenda, che da su un piccolo ruscello, dove una ragazza sta attingendo con un secchio. Veste una mimetica forestale, probabilmente italiana.
Va bene, rispondo, sono abbastanza eccitato, tremo sia per il freddo che per quelle scariche di adrenalina.
Capitano
Bene, prendi posto, fai pure.
Mi siedo su uno sgabello dentro una tenda piuttosto alta – quasi tutte le tende qui sono più alte del normale – davanti a me un ragazzo giovane, per quanto deciso, come Sandro, anche con lui non saprei azzeccare l’età. Veste un passamontagna nero.
Non posso parlare, almeno se non per chiedere. Le domande sono tutte buone, dice, ma le mie risposte devono essere integrali.
Non osare editare.
Chi siete?
Siamo ragazzi e ragazze, delle superiori e universitari, siamo in tutto una trentina. Alba la presero in duemila, ricordi? A Fiume erano decisamente di più…
Noi tentiamo di riprenderci quel poco della Alpi, una occupazione che sappia far riflettere. I vecchi sicuro ci odieranno, non capiscono e non sono svegli. Noi puntiamo ai pochi giovani non illusi dal sistema. Noi puntiamo a portare, anche grazie a te, quante più persone sui monti. E meno in città, meno in quelle lande. Più alla lotta.
Noi siamo ricercati, o almeno pensiamo di esserlo, dal sistema: siamo deviati che hanno rinunciato alla produzione, siamo deviati per loro, martiri e santi per noi. Stella Nera è il nostro nome, e ci rifacciamo agli eroici moti partigiani, nonché alle esperienze più intimamente violente: futurismo, arditi, sia del popolo che della fiamma nera, terrorismo piombesco, anarchici, abbiamo addirittura ragazzi che si facevano prima di conoscerci. Ora si fanno, ma solo per combattere. Molti di noi non parlano del passato, di politica, di sesso o di stronzate. Parlano di azione, di vita, futuro:
Farò questo, farò quello, puoi giurarci…
Abbiamo avuto cinque morti. Pietro, Alessandro, Carla, Samuel e Antonietta. Erano tutti sotto i trenta.
Sono caduti durante rapine, espropri, uno è morto di freddo, una si era suicidata, poco prima di incontrarci, ma la chiamiamo martire: perché almeno aveva capito l’illusione, solo non ha retto.
Quando arrivi al momento esatto in cui esplodi, e vuoi solo scappare da Milano, da Roma, o dalla provincia più estrema, cosa fai? Internet? E se non bastasse, e capissi l’inganno? L’uomo è fatto per sopravvivere.
Come vi rapportate con l’attuale sistema italiano, cosa odiate, cosa elogiate?
Non si elogia il nemico, si fa solo quando ti ha sconfitto. Al momento, abbiamo avuto perdite, ma nulla che ci pieghi. Io non sono morto, Sandro non è morto, nessuno è morto inutilmente almeno. Se hai le palle di venire in montagna, farti tutta quella strada, rinnegare e tagliare la tua vita con il coltello: allora forse sei già nostro, quantomeno mentalmente.
L’Italia ha un male, il passato.
L’Italia ha un futuro, autodistruggersi.
Stiamo solo sopravvivendo e cavalcando la tigre finché è fuori dalla gabbia.
Quando tornerà dentro, il sole ci bacerà e sapremo di essere sopravvissuti.
Tu chi sei?
Non oso rispondere, io sono solo una mente. Sai quanti hanno sviluppato culti della persona anche con cinque babbei di militanti? Ti ricordi Casapound quanto spingeva, e il PC di Rizzo? E i CARC? E Forza Nuova? Leader forti, militanti deboli.
Un re deve stare nella sua torre d’avorio?
Che alla minima crepa, cade e cade?
Non penso, Federico il Grande stava tra i suoi uomini, Renzo Novatore lanciava le bombe con figli di contadini e prostitute. I briganti spezzavano il pane con sconosciuti, all’anima sua.
Io sto con i miei fratelli e nelle mie preghiere ricordo i famigliari a casa, i martiri nel Cielo e il futuro radioso che si prospetta. Sono l’unico a pregare, ma sono l’unico che deve farlo. Lavare i piedi al lebbroso.
Come mai non state in città?
La città ha visto in noi il paziente terminale, e ha deciso di staccare la spina. Ci ha lussato le spalle con il lavoro, fagocitato neuroni con l’istruzione, ci ha tolto amici, parenti e futuro con le chiusure, ci ha donato incautamente illusioni, che ora sappiamo usare contro di essa.
Vedi questa cicatrice?
Mi fa vedere un taglio che ha sotto l’occhio, calando il passamontagna nero.
Questa è autoinflitta. Volevo cavarmi gli occhi e le orecchie, non sentire e non vedere tutto. Non volevo morire, ma sopravvivere e adattarmi. Nell’epoca digitale non siamo ancora adattati a questo o quel Cyberspazio, a quella Infosfera, eccetera. Mentre cercavo con il taglierino la cornea, il sole è esploso dalla finestra, irrorando la camera, nasceva dai monti. Sapevo dove andare. All’inizio ero io e qualche amico, raccattato pochi giorni dopo. Poi arrivò gente da varie amicizie comuni, pochi restarono.
Il resto è storia.
Poi prese una pausa, azzardai una domanda, ma lui si alzò.
Non ora, mi disse.
Lo seguii fuori dalla tenda.
Il Capitano si dileguò dopo poco, salutandomi con un cenno, non penso lo vedrò più. Non oggi almeno. Sento in lontananza un furgone, lo stesso di Sandro.
Mi avvicino a lui, seduto per terra, davanti a un mucchio di caricatori, sta infilando proiettili, calibri che non conosco, per bocche che mirano al petto.
Sandro, chiedo, te chi sei?
Ti avevo detto di non farmi domande, mormora, sei rimasto a secco dal Capitano?, domanda. Rispondo che non voglio andare a casa con così poco materiale.
Vuoi sapere come agiamo, non ti pare abbastanza chiaro?
Sandro prende un caricatore, lo inserisce nel fucile ADC che tiene sulla schiena, mira al cielo, ma non può sparare nessun colpo. Alla fine la posa, ricarica due altri caricatori, e inizia a spiegare subito dopo.
Ieri siamo scesi a valle, abbiamo fatto la spesa, cioè, abbiamo preso a rendere da un Esselunga. Non rapiniamo i negozietti, o gli alimentari, solo le catene. Non rapiniamo perché hanno figli, nipoti, e familiari da mantenere. Non solo lo yatch in Costa Smeralda. Di solito preferiamo prendere beni materiali, che servono i soldi, se sei un reietto?
Alla fine, basta avere la pancia piena e il fucile carico.
Penso la tua intervista verrà bene, ci spero.
Lo ringrazio, lui mi fa cenno di allontanarmi, dopo qualche secondo sento uno sparo, e l’odore della terra, vermi che escono da una zolla sollevata.
La sera arriva rapida.
Sono tutti seduti intorno al fuoco, e io penso di aver abbastanza materiale, mi dicono che Sandro mi riporterà a valle, a breve, visto che dormire con loro, e cioè sparire, potrebbe attirare sguardi.
Alcuni ridono tra loro, l’atmosfera è conviviale, noto che mancano sette persone all’appello, quindi mancano il Capitano e altri, l’unico volto familiare è Sandro. Saranno andati a valle, penso. Non dispero.
Quando scendo a valle, scendo con più interrogativi che risposte. Mi avranno perculato? Perché sui giornali non c’è notizia di loro? Ma sanno che qualcuno, io o lo stato, stiamo ancora pensando a loro?
Forse era solo un’allucinazione.
Non saprei, so solo che non sono gli unici che mi hanno contattato e lascio al lettore il privilegio del dubbio.
Pronti ad attaccare, armati, pieni di rancore. Scenderanno a valle, scenderanno in città, la metteranno a ferro e fuoco. O forse sono già qua.