Ecco, gli articoli di questi giornali si possono grossomodo dividere in tre macrocategorie:
Di recente mi è capitato di leggere uno splendido capolavoro di quest’ultimo genere che ci dava questa lieta notizia sulla grande apertura mentale e la straordinaria resilienza dei ragazzi italiani: in ambito lavorativo questi ultimi (dunque il sottoscritto così come il resto della redazione del Blast) cercherebbero lavori flessibili che permetterebbero di viaggiare e di cambiare spesso mansione.
Questo è senz’altro vero. Conosco tantissimi coetanei che non hanno la più pallida idea di che genere di lavoro vogliano fare ma che affermano, con la spocchia di chi sente una persona sveglia e moderna, di voler andare all’estero; gente che ha come passatempo principale quello di aggiornare di continuo il proprio CV su LinkedIn, così da essere preso lavorare da qualche generica azienda prestatrice di servizi, di consulenze, queste imprese nate dalla degenerazione del settore terziario che lavorano solo per altre aziende analoghe, in un circolo chiuso di pippotti tra junior marketing excel experts e competenti simili.
Tutto questo ovviamente solo per fare esperienza prima di passare ad un lavoro più gratificante, perché non scherziamo oh, la stabilità è roba vecchia e noi giovani dobbiamo essere dinamici
(mi raccomando, dite sempre di esserlo ai colloqui di lavoro).
Col lavoro flessibile non si mangia.
Anzi, non chiamiamolo lavoro flessibile, chiamiamolo per quello che è: precariato.
O al massimo lavoro flexibile, nel senso che è una cosa che puoi flexare con il mezzo conoscente o con la vecchia zia che è andata in pensione quando esisteva ancora il quadripartito e crede che il suo nipotino sia un piccolo genio perché parla l’inglese.
La verità è che media, università, grandi imprese, ci stanno crepando.
Queste ultime cercano salariocucchi sempre più privi di radici, pronti a subire qualsiasi umiliazione pur di illudersi di poter fare carriera; le seconde ci overspecializzano con corsi inutilmente settoriali dai nomi anglosassoni per essere pronti e formati per stampare fotocopie per dodici ore al giorno; e i media ci fanno credere che spostarsi di continuo in appartamenti smezzati in sette che sembrano uscire dai video dei ThePills, lavorare come schiavi, avere la possibilità di mettere su famiglia solo quando ormai i propri organi riproduttivi iniziano a scadere, non sia l’unica alternativa praticabile nella nostra economia marcia, ma addirittura la scelta più desiderabile, che ti permette di essere un bravo progressista cittadino del mondo.
Tiriamoci fuori da questa inutile competizione per il titolo fine a sé stessa.
Che tanto lo sanno tutti che l’affitto a Milano per fare lo stage in azienda te lo stai pagando con i rimasugli di pensione di pora-nonna. A sto punto vai a pranzo da lei e la sua pensione, se proprio hai la passione, giocatela alle corse di cani virtuali.