Proclamo eletto Presidente della Repubblica Sergio…
Scroscio di applausi, applausi, applausi…
Congratulazioni.
Ovazioni.
Suvvia! Veramente qualcuno ha pensato anche solo per un secondo che tutte le querelle viste siano sincere? Sappiamo da fonti certissime infatti che molti bramavano servire al colle più alto ben altri candidati… il jolly Amadeus, il veterano Vespa, il sempre spendibile Greggio, la sorpresa Corona per arrivare all’innominabile (e stuzzicante) Siffredi. Rappresentanti autentici dell’italiosfera. E noi avremmo pure approvato, dannazione! Avremmo esultato furiosi di fronte a questo rigurgito nazionale. Invece no! Si preferisce sopire nel Limbo anziché sprofondare nell’assurdo. E così ancora una volta il vecchierel canuto e bianco ascende benedetto il suo santissimo e delicato capo al timone della nave-bordello. Puah! Nemmeno un suicidio come si deve riescono a compiere i tribuni del popolo, preferiscono cedere invece la katana a un fresco ottuagenario. Che poi tanta pena non fa (mortacci al lacrimoso e compassionevole quanto spietato condominio di Instagram) visto che l’ha messo nel posto al concorrente più agguerrito senza incrinare di un millimetro la sua imperturbabile espressione da salice piangente.
Ebbene, non piangiamo per il trasloco e la caparra che esso aveva già pagato, ma disperiamo perché questa parte clinica del globo terracqueo non riesce a fare altro che ammirare i suoi resti e a crogiolarsi tra le colonne abbattute e quelle ancora in piedi. La politica italiana è dannatamente bucolica, imperturbabile nei suoi paesaggi e spensieratamente allegra nella decadenza ammiccante di una cartolina stereotipata. Eppure eppure… persino l’immobilità è il segno di un movimento. Mostrandosi dunque come una maschera, paradossalmente nella punta estrema del bucolismo politico, atta a celare cambiamenti sempre più marcati, decisivi, radicali, ma frenati dalle rigide forme e regole dell’italiosfera.
Non bisogna certo essere discreti politologi per sentire quel grido lontano che viene dal vicino futuro e che dolcemente fa:
Bruci la Costituzione, crepino i partiti…
Che alle orecchie di un politologo potrebbe suonare così:
Abbasso il bicameralismo perfetto, a morte la democrazia rappresentativa, al rogo l’articolo (inserire il numero), viva la democrazia diretta!
Ah-ah! E’ inutile girarci intorno: la nostra democrazia, quella partorita nel 1946, sta inesorabilmente morendo, scomparendo tra le pagine dei libri di storia.
E’ lì… riesco a vedere la sua fine! Ed è più vicina di quanto immaginiamo, direbbe il veggente. E i veggenti possono fare solo due cose: ostacolare o anticipare gli anni che incedono. E noi lo facciamo, lasciamo condurre la mano verso la pagina bianca che precede la Fine. Ma non perché siamo fondamentalisti del cambiamento a ogni costo o, peggio, quel tipo di utente medio da: “siamo-nel-2022-è-ora-di-progredire che il signore li fulmini”; perché semplicemente si riconoscono già i segnali, e noi stessi portiamo le stimmate di quel fatidico cambiamento. Volenti o nolenti incarniamo l’avvenire, addirittura lo favoriamo inconsciamente. E d’altronde altro non potremmo fare visto che siamo con più di un piede nella fossa del meta-mondo. Guai a coloro che sottostimino quella sottorivoluzione che è stata l’avvento dei social! Guai a loro, perché sono ciechi e sorda è la loro ragione.
Se infatti qualcuno può ancora avere dei pensieri sulla fondamentale necessità degli organi intermedi come i partiti, movimenti, sindacati, beh! è meglio che si ricreda. Tutto è obsoleto! Non c’è più alcuna distanza da colmare, alcuna notizia e richiesta da filtrare. Ogni impulso è diretto, veloce, sottoposto a plebiscito istantaneo. E ciò altro non causa che l’emancipazione finale del leader dall’apparato e dall’apparato dei suoi eletti in Parlamento. Il singolo, sciolto dalle catene partitiche, si rapporta direttamente con la tribuna plebiscitaria rispecchiandone i caratteri, reclamando legittimità e calamitando l’opinione pubblica. Scene già viste? Ovviamente, più che nel passato, molto di più nel recente passato: Giuseppe Conte a reti unificate che giganteggia sul Parlamento (e sui partiti) e più recentemente Draghi con la sua statura da tecnico dichiaratamente a-partitico e, di conseguenza, arbitro superiore di due Camere allo sbando e senza visione. Tutto questo ha un nome per il nostro politologo: presidenzializzazione della politica. Soprattutto di una politica, quella italiana, che è sempre stata in una certa misura estranea ai rischi (ritenuti tali al tempo) di figure con troppo potere esecutivo, preferendo il predominio del partito e della forma a lui più congeniale: la democrazia rappresentativa. La quale a sua volta sacrifica la prospettiva di una governabilità fattibile del sistema-Paese.
Così, l’elezione di Sergio al più alto tra i Colli non rappresenta che questo: la spinta verso forme presidenziali più stabili, più immediate e con meno filtri, durature e con responsabilità molto maggiori nel precario panorama parlamentare italiano. Una spinta che può realizzarsi anche nella figura del Presidente del Consiglio, sempre meno primus inter pares e sempre più primus, come già indicava il breve periodo dei dpcm, ovvero un tentativo di espansione delle sue prerogative. Al che tutto questo ci porta alla democrazia diretta, o meglio plebiscitaria, in una forma che rispecchia l’essenza dei social quali templi del cittadino post-moderno, ambasciatore e servo della tecnica. Alla presidenzializzazione si affianca dunque la tecnicizzazione della politica, la quale è a sua volta una conseguenza della democrazia plebiscitaria: alla rovina degli organi intermedi quali bacini e “filtri” della classe dirigente non rimane altro criterio selettivo che la meritocrazia, ovvero la competenza, ovvero la tecnica, ovvero una presunta aura di superiorità morale e di imparzialità che esiste solo negli encefalogrammi di poveri disgraziati. Oppure, di contro, in mancanza della fantomatica competenza (Draghi), un mix di comunicazione accattivante e demagogia da clickbait (Conte) che, d’altronde, è nient’altro che l’altra faccia del meta-mondo…
Un momento… il politologo ha sentito qualcosa dal futuro, un nome che è un programma:
Tecnocrazia diretta…
Che a noi suonerebbe:
Bruci la Costituzione, crepino i partiti…
Noi non vogliamo certo essere ipocriti, e la Costituzione la bruciamo, o almeno quello che ne rimane dopo anni di scempi. Le lacrimose immagini da “costituzione più bella del mondo” le lasciamo ai suoi silenziosi sicari che, mentre l’accoltellano, la piangono amaramente. E con essa i partiti, il bicameralismo… anticipiamo i tempi prima che essi ci si parino davanti con scelte obbligate, inevitabili. Dobbiamo farlo, invece di aspettare con trepidazione o con terrore l’arrivo di un De Gaulle. Ma forse è già passato e, nel caotico immobilismo italico, ha piantato i suoi semi e silenziosamente se n’è andato.
Dunque ancora una volta, al riparo dagli scrosci di applausi e dalle ovazioni dei palazzi-catacombe dell’Urbe, noi gridiamo, con le lanterne accese in pieno giorno come folli veggenti, la fine di un mondo antico e l’abbattersi di uno nuovo e terribile:
Bruci la Costituzione, crepino i partiti…