1 anno

Quel video di Prigozhin

Quel video di Prigozhin
Lettura boomer
Un curioso filo nero sembra collegare il mondo dell’editoria europea alla guerra in Ucraina, in particolare a Bakhmut.

Tutto in stile molto mockumentary: la luce della torcia illumina il volto nosferatesco del capo della Wagner che inveisce contro la videocamera su uno sfondo nero-ombra. A Bakhmut è notte. I bersagli principali della violenta invettiva sono i vertici delle forze armate russe, il Ministro della difesa Shoigu e capo di Stato Maggiore Gerasimov (decorato Eroe della Federazione russa). Ad un certo punto l’inquadratura e la torcia si concentrano sullo sfondo rimasto in ombra, illuminando e riprendendo una pila di cadaveri:

Il sangue è ancora fresco. Sono venuti qui come volontari e sono morti mentre voi ingrassate negli uffici’

tuona Yevgheny Prigozhin.

Un video girato di notte, dietro una pila di corpi dalla pelle ormai bianco-morte, ma non ancora in stato di decomposizione: realmente uccisi da poco. Un video che in una manciata di minuti annienta sia l’epica della retorica russa che i trionfalismi occidentali. Specie questi ultimi, con i loro spot edulcorati e oleografici –come è bella la patria, ma solo quella degli altri; come è bello vedere gli altri che muoiono per la patria: aiutiamoli a casa loro– vengono decostruiti dal video del capo della Wagner che ci rilancia mediaticamente un aspetto della guerra tanto banale quanto volutamente dimenticato da tutti: la guerra è una questione anche e soprattutto di morti. La guerra è una pila di giovani cadaveri. I sommersi. 

E quanti ne ho visti

E quanti ne ho visti che morti in trincea
Erano rimasti in piedi, la testa inclinata
Appoggiandosi semplicemente contro il parapetto

Ne vidi quattro una volta che una stessa granata colpiva
Restarono così a lungo morti e molto spavaldi
Con l'aspetto inclinato di quattro torri pisane…

[Guillame Apollinaire, Caligrammes]

Nella prima metà del Novecento la letteratura è entrata in un rapporto quasi osmotico con l’esperienza delle due guerre mondiali. Pochi scrittori hanno saputo raccontare le istanze di quell’epoca come Louis-Ferdinand Céline, cane rabbioso della letteratura europea e autore dell’immaginifico Viaggio al termine della notte (1932), uno che fece della guerra il suo trauma originario

Ho preso la guerra nella mia testa. La guerra è chiusa nella mia testa.

Nel 2021 fu data notizia della scoperta del suo ‘tesoro nascosto’ di Céline, le sue carte scomparse. Nel 2022 la casa editrice francese Gallimard pubblica il primo di questi testi: Guerre. Ritorna Céline, ritorna nello stesso anno la guerra in Europa (sempre rimanendo ancorati a quella narrazione tutta occidentale che rimuove dalla propria memoria storica i fatti in Serbia del 1999). Un curioso filo nero o, per i più cinici, una coincidenza, uno scherzo del fato. Quando ho iniziato a leggere Guerra, tradotto e pubblicato da pochi giorni da Adelphi, fin dalla lettura delle prime pagine la mente è andata a quel video di Prigozhin che, sempre per uno scherzo del fato o in virtù del curioso filo nero, veniva lanciato su Telegram il 5 maggio 2023, esattamente un anno dopo la pubblicazione francese di Guerre (data di uscita: 5 maggio 2022). Il romanzo si apre con il protagonista Ferdinand, memorabile antieroe céliniano e alter-ego dell’autore, che si risveglia in un campo delle Fiandre: ferito, fisicamente e psicologicamente, in mezzo ai cadaveri e ai mezzi fumanti, di notte, durante la Grande Guerra. Nessun trionfalismo, nessun sentimentalismo, nessuno slancio epico, nessuna retorica. La morte e il suo putrido odore avvolgono il paesaggio descritto al momento del risveglio:

Sarò rimasto lì ancora una parte della notte dopo. A sinistra tutto l’orecchio era appiccicato a terra con il sangue, la bocca pure […] Lì accanto Kersuzon era stecchito sotto l’acqua a peso morto. Ho allungato un braccio verso il corpo. Ho palpato […] Non lo sapevo dov’era l’altro braccio. Era schizzato in aria altissimo, vorticava nello spazio e poi ridiscendeva a trafiggermi la spalla, nella carne viva […] e gli altri? Erano passate ore e ore, una notte intera e quasi una giornata da quando erano venuti a maciullarli. Ormai erano solo piccoli montarozzi sul pendio… 

‘Il sangue è ancora fresco. Sono venuti qui come volontari e sono morti mentre voi ingrassate negli uffici’

Erano venuti come volontari, ora sono piccoli montarozzi accumulati sullo sfondo del video di Prigozhin, personaggio che ormai ha catalizzato l’attenzione mondiale sia per le dinamiche prettamente belliche, sia per i rapporti di forza interni al Cremlino, sia perché ha scalato ogni classifica per numero di linee rosse oltrepassate nella storia della Russia putiniana: ha insultato pubblicamente i vertici militari, ha definito il presidente russo unnonno stronzo’ -epiteto che gli aveva rivolto solo Aleksej Navalny ma senza lo ‘stronzo’-, ha invitato i soldati a ribellarsi contro i superiori incapaci, ha elogiato la resistenza del nemico ridicolizzando l’esercito russo dopo la caduta di Bakhmut (scrisse a Zelensky un’ironica lettera in cui si congratulava con i militari ucraini, secondi nel mondo solo alla Wagner, declassando l’esercito russo in una posizione inferiore a entrambi). Che sia tutto reale o un doppio-triplo-quadruplo gioco di Mosca non lo sappiamo, lasciamo queste analisi a chi di dovere. Ma non si può negare che l’antieroismo di Prigozhin abbia portato un modo diverso di comunicare l’esperienza della guerra in Ucraina: molte bestemmie, poca diplomazia, macabro estetismo, senza rinunciare a una buona dose di cafoneria: céliniano. 

Benché non se ne voglia parlare, Bakhmut è caduta, ridotta a cumulo di macerie e a un cumulo di corpi: secondo alcune stime sarebbero almeno centodiecimila i soldati caduti nel ‘tritacarne Bakhmut’. Ma queste cifre si mormorano sottovoce dalle nostre parti: basterebbero sei numeri in fila per mandare in crisi la retorica dei giornali che, da oltre un anno, raccontano la guerra in Ucraina in chiave tolkeniana, uno scontro tra bene e male, mentre in mezzo altri più coraggiosi di noi ci rimettono con la carne viva. Poche cose descrivono la guerra meglio di un paesaggio di corpi senza vita. Ce lo ha raccontato Céline. Ce lo ha ricordato –involontariamentePrigozhin

Che miseri i patrioti con la patria degli altri.

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