RAGGIUNGERE PLUTONE

RAGGIUNGERE PLUTONE
Lettura boomer
Quando il Grande Arco giungerà al termine della Volta Celeste, là si potrà avere un desiderio, qualsiasi, dal Dio degli Dei.

Così recitava una vecchia storia, prima che il mondo avesse troppo senso, troppo per permettersi simili fandonie. Poi iniziarono a esplorare il mondo, poi lo spazio, poi quello che rimaneva di entrambi, quindi capirono, esclamarono:

Non c’è più niente da esplorare, torniamo a casa.

Tornarono a casa, e scoprirono che dovettero separarsi dai loro compagni di viaggio, e mille dinastie nacquero e mille storie infiammarono il mondo. Quello che sembrava un semplice scopo, si era trasformato infine in un successo.

Guardare le stelle, e poter salpare su una spazio-nave, arrivare a quelle mete, quasi ormai turistiche, nel Nuovo Secolo.

L’esplorazione umana era finita?

Un giorno, metà Agosto, sul pianeta Marte, vi fu una splendida visione: la Cometa.

Nessuno sapeva bene cosa fosse, o la sua traiettoria, molti pensavano a un grosso nucleo di ferro, ghiacciato, che si adirava oltremodo col Sole, tanto da volerlo colpire. Non riuscendoci, voleva invece colpire gli asteroidi. Ma infine, come per magia, deviò: si stava per schiantare contro Plutone, o meglio, distruggersi all’impatto o frammentarsi in quell’atmosfera. Nessuno colse subito quel segno. Quasi nessuno pensò a quella storiella.

Quasi, perché un giovane volette crederci.

Raggiungere Plutone era troppo difficile per gli umani, e non ne valeva la pena.

Qualcuno però, continuava a sussurrare:

Raggiungetelo, raggiungete il vostro desiderio.

Il ragazzo, poco più che diciottenne, si decise di partire all’avventura. Rotolava tra le mani un anello, vecchia memoria, quasi innervosito, quasi ansimante: doveva partire. Non ora, mormorò, ma presto.

In classe, alle superiori, in un piccolo villaggio di bio-coltivatori, di grano e pannocchie, mormorava continuamente che non avrebbe finito l’anno, che sarebbe sì tornato, ma forse dopo qualche mese, non così tanti da saltare tutto il pentamestre, ma sicuramente: tanti per divenire leggenda.

Studiava, e si impegnava, solo nel campo dell’astrofisica, ma non così tanto da saperne equazioni e forze, bensì da sapere che:

  1. Un pianeta ha atmosfera che sbriciolerebbe all’impatto una spazio-nave.
  2. Che le spazio-navi vanno a intricati sistemi di idrocarburi.
  3. Che se finisce l’ossigeno, sei fritto.

Un dì, la giovane professoressa, unica amica, lo prese da parte, e gli disse: anch’io ho bisogno di vacanze, forse un po’ troppo lontane. Non sapeva bene come prendere questa mossa, quasi quotidiana, quasi mondana. Disse:

Beh, vuoi venire con me su Plutone?

Lei lavorava, forse troppo, ma aveva degli ottimi amici, contatti, partite di biliardo e birre che son servite, mormorò, servite a sapere che qualcuno vuole realizzare i propri sogni nel cassetto.

Una spazio-nave, delle più grosse e pesanti, compie un viaggio da Marte alla Terra, di commercio, tra il blu e il rosso, porta viveri, riceve lussi. Quando sarebbe salpata una nave per Plutone?, il ragazzo se lo chiedeva spesso. Lui e la professoressa giravano spesso lungo lo spazioporto, bevendo strani intrugli, e parlando del loro questo e quello, dei loro desideri che speravano di realizzare.

Lui, beh, che quell’anello tornasse al suo legittimo proprietario: suo padre.

Lei, ovviamente, ringiovanire e avere più tempo per studiare le stelle.

Sai, disse la professoressa, oggi potrebbe partire quel mio amico, vuole avventurarsi di Plutone, lui non crede alla Cometa, crede nel carotaggio dei ghiacci di quel pianeta. Un deserto di neve, metano e azoto, e qualche piccola base scientifica, non troppo permanente. Sai, disse il ragazzo, penso ci starebbe, dovremmo unirci a lui, magari io ti farò da assistente e tu dirai che devi studiare l’atmosfera per una tesi.

Partire per Plutone da Marte, seppur alla velocità della luce, non permette così tanta fretta, è un’attesa di un paio di settimane, ma ne vale la pena, così spiegò loro l’amico.

Un’amica, con i capelli colorati, disse che voleva tantissimo sentire il silenzio di quel pianeta, ma che potevano benissimo far festa ogni giorno, in attesa dell’attracco.

Il motore si accese in quel momento, e salparono.

Notte del primo giorno, lui guardava fuori dall’oblò, infilando e togliendo l’anello, credendo di essere finalmente vicino a ciò che tanto bramava. Suo padre era uscito un giorno per lavoro, ed era tornato con le notizie. Riguardavano la sua scomparsa, era un importante fisico quantistico. Non ebbe modo di conoscerlo a fondo, e la curiosità e l’affetto datogli fecero il resto.

Lei studiava in una cella della spazio-nave, un tomo elettronico, pagine su pagine, scansioni su scansioni di un vecchio codice, leggeva fiabe di mondi ormai persi addirittura nella storia umana. Epopee ed epiche, e si domandava se avessero senso. Quel che voleva era un sentimento oscuro, ringiovanire e non pensare più al tempo. Aveva perso occasioni, aveva perso amori. Si era ritrovata a ventinove anni, sola e occupata fino alla pensione.

Quando lui guardò nell’oblò notò di averla dietro di sé, era la terza notte. Per quanto parlassero insieme, erano sempre seguiti da sguardi degli altri due, marito e moglie. Loro non sentivano i banchi di scuola e la lavagna, sentivano un’affinità, come se lei fosse una sorella maggiore per lui, e lui, un disperato tentativo di ringiovanire. Il ragazzo si girò, la salutò, avvicinati, fece con la mano.

La quarta notte, d’un lampo, lei si avvicinò alle sue spalle e iniziò a singhiozzare.

La sesta lui cercò in ogni modo di spiegarsi.

La nona, lei lo abbracciò.

Ritroverai tuo padre, disse.

Ultima notte, pensò lei che non lo avrebbe più rivisto, ormai felice dal desiderio espresso.

Non sapevano se avrebbero preso la stessa spazio-nave al ritorno.

Avanzò verso di lui, con fare deciso. Gli disse come stava, gli domandò se volesse continuare ad essere amici anche dopo. Lui mormorò: te lo prometto.

Lei gli prese la mano, e la adagiò sulla sua spalla, si avvicinò. Lo guardò negli occhi.

Lasciare Plutone

Il deserto ghiacciato. Le mani intimorite dal vento, l’atmosfera rarefatta, così brevi i respiri, della maschera convertitrice, che sembravano asmatici.

Camminavano, lungo il sentiero, tracciato da scarponi, ore prima. Processione silenziosa, senza condanne, solo silenzio.

Il deserto ghiacciato, non contempla la parola.

Arrivarono a un piccolo ammasso di ghiaccio.

Buttarono le tende automatiche, rottura del silenzio.

Il primo giorno era passato, il secondo albeggiava all’orizzonte. Le rocce, si credevano superiori, all’umanità, avendo vissuto più loro, che tutti i primitivi.

E le rocce fecero rimbalzare il sole sulle tende. E su un uomo, che li osservava.

Vestito di nero, un grosso medaglione al collo, grossa barba. Lui era l’Antonio di Plutone. Il Macario del ghiaccio. E una parola uscì, appena gli ospiti del suo planetario monastero, uscirono dalle tende.

Fuggite dalla Voce.

Ascoltate il Verbo.

Non badarono al folle, ma pensarono al desiderio, per questo la Voce iniziò a scorrere in loro. E più la bramosia di quel desiderio, così futile agli occhi del ghiaccio, si faceva sentire, più loro ricercavano dentro di loro: sogni e progetti.

Finalmente rivedrò papà. Finalmente sarò di nuovo giovane.

Buttarono le tende automatiche, vicino a una grossa montagna. Stanchi, morenti, abbracciati nella notte, lezioni private. All’albeggiare, le rocce sapevano benissimo indicare il tracciato. Mille e più impronte, tutte in cerchio lungo un cratere. 

La trovarono, era la Cometa.

Vicino al ragazzo, un berretto. Vicino alla professoressa, una cinghia

Nessuna cosa è lasciata a caso su Plutone.

Felicitazioni, mi avete trovato, sussurrò la Voce. La Cometa brillava di luce, riflettendo il Sole in miriadi di caleidoscopi, il terreno, irrorato da quei raggi caldi scacciò il freddo, e la vita si impossessò di tutto.

Un grosso arbusto iniziò a risplendere di verde, smeraldo tra il grigio. I fiori germogliarono, fiorirono e fecero frutto in un secondo. La luce risplendeva, una Età dell’Oro. E loro, gli eroi.

Si accasciarono in ginocchio, mormorando il nome di chi mancava e di cosa avessero bisogno, di cosa desiderassero.

Uno alla volta, disse la Voce.

Il silenzio è una tomba orante.

Il ragazzo disse: mio padre, voglio rivederlo.

L’arbusto, presto detto, diventò sempre più verde, fino a far male agli occhi, finché: ne uscì da un frutto suo padre, vestito come l’ultima volta che lo vide, stesso aspetto, stessa barba.

Provò ad abbracciarlo, ma le sue mani, così umane, non riuscivano a toccarlo, si decompose, errore digitale.

La Voce sussurrò:

I desideri non sono gratuiti.

Vuoi riabbracciarlo?

Offrimela.

Lei cercò di sfuggirgli, ma lui la prese subito per mano, bloccandola.

La Voce rise, e la professoressa si incenerì tra le sue braccia.

Suo padre, fatto di carne e ossa, non abbracciò suo figlio.

Disse di voler morire di nuovo, pur di non avere un bambino così cattivo.

Il ragazzo, in lacrime, si accorse dell’errore.

I due amici erano già scappati, o smaterializzati. Solo un piccolo ciuffo di capelli colorati dietro di loro.

Lui urlò alla Voce di ridarglielo.

È tuo padre, non volevi far di tutto per riaverlo?

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