È la narrazione del realismo atlantista a dirci che il plebiscito russo non è reale
In quel che è l’eterno confronto tra Russia e Occidente, il 2024 potrebbe essere un anno cruciale. Per una vita durata due decenni, l’Occidente aveva raccontato a sé stesso che in Russia, chi va al comando, non ci va affatto attraverso la democrazia più sincera ma attraverso un potere verticale che non rifletteva la realtà. È la narrazione del realismo atlantista, vera e propria ideologia secondo la quale noi deteniamo – e solo noi – la percezione e il calcolo del reale. Al di fuori di questo recinto c’è il mondo della doxa o dell’apparenza che dobbiamo interpretare in quanto irreale. Il realismo atlantista è ideologia e non una strategia geopolitica. Senza entrare troppo nei dettagli e nelle statistiche, in Russia c’è stato quel che noi in Occidente chiameremmo plebiscito.
Putin ha vinto ed è più forte che mai:
voleva una grande affluenza e il popolo ha risposto (comprese le proteste silenziose in ricordo di Navalny con le file del mezzogiorno). L’affluenza schizza al 74% degli aventi diritto (cifre che noi ci sogniamo)e il presidente russo vince con l’88% dei voti contro una serie di altri candidati che non ci interessano e che forse è anche inutile menzionare. In Ucraina, dove si difendono i nostri valori reali, l’opposizione di sinistra del paese è stata liquidata, messa fuorilegge dal Parlamento, e nel paese non si può assolutamente votare. Ma il recente sondaggio dell’agenzia Socis parla chiaramente: Zelensky (23,7 %) verrebbe sbaragliato dall’ex capo delle forze armate Zalzhuny (42%) in caso di elezioni, motivo per cui quest’ultimo è stato licenziato e allontanato in qualità di ‘ambasciatore’ a Londra (in verità l’apprezzamento del popolo ucraino nei confronti di Zelensky era già abbastanza basso prima dell’invasione, si attestava intorno al 21%)
Il realismo atlantista adesso deve tener conto di questa amara realtà e in qualche modo riterritorializzarla. Com’è possibile che i russi vogliano realmente Putin? E adesso chi glielo spiega alla grande stampa, alle grandi cancellerie occidentali e al Comitato di Ventotene? Come spesso accade, il risultato deve essere minimizzato. E quindi prima il nostro Impero Guida, poi le sue rispettive Dume, hanno urlato all’unisono che
il risultato non è reale perché le elezioni in Russia non sono libere.
Così parlò il realismo atlantista. Ma questa volta lo ha fatto con la voce rauca, strozzata in gola, poco convinta. Denis Volkov, intervistato persino da Repubblicain quanto direttore dell’unico istituto di sondaggi indipendenti in Russia, ha commentato così il plebiscito in favore di Putin (Volkov è considerato dagli apparati russi una spia al soldo dell’Occidente): prima della guerra
«metà dei russi era favorevole a una sua ricandidatura [riferito a Putin], metà era contraria. Dopo il 24 febbraio 2022, i sostenitori di un nuovo mandato di Putin al Cremlino sono saliti dal 45% al 75%, poi al 78% e infine all’80%. Ma se si calcola questa percentuale soltanto tra chi è pronto ad andare a votare sale all’85%» concludendo che «non c’è dubbio che il consenso per il leader sia intorno all’80%».
Ci avevano raccontato di un leader senza consenso e di un paese prossimo al collasso economico, sociale e persino militare. L’intervista fatta a Volkov sembra dimostrare che la nostra era pura fantastizione (la profezia alla Fassino, quella che non si auto-avvera) in quanto smonta quelli che fino a qualche mese fa erano i nostri sogni erotici: le sanzioni Occidentali non solo non hanno funzionato contro i Russi, ma hanno migliorato alcune condizioni socio-economiche del paese:
«grazie all’indicizzazione di pensioni e salari e all’ampliamento dei benefit sociali, c’è stata una grande redistribuzione della ricchezza […] c’è persino gente che pensava sin dall’inizio che fossero un bene, perché dopo anni di dipendenza dall’Occidente il governo avrebbe finalmente investito in infrastrutture e industrie nazionali».
Insomma, sembra proprio che le uniche parole che rispecchiavano in qualche modo la realtà dei fatti sono state quelle balbettate con imbarazzo da Matteo Salvini (prontamente silurato dagli ideologi del realismo atlantista), che almeno ammette che sull’esito di questa tornata elettorale postsovietica ci sia davvero poco da discutere.
Si, le elezioni non sono libere, ma il popolo sta comunque con il suo leader.
Secondo Volkov è stato proprio l’isteria Occidentale post invasione a far compattare il popolo intorno a Putin, compresi quelli più scettici (anche molti partiti della cosiddetta ‘opposizione’ a Putin, appoggiano la condotta della guerra, dati alla mano)
L’Occidente dovrebbe svegliarsi dal suo incubo per tornare alla realtà, mentre invece decide di continuare a sognare. Ed è così che i leader occidentali, da Macron a Scholz, da Biden a Meloni, non riconoscono il risultato e lo minimizzano. Invece ha ragione Andrea Muratore di Inside Over, quando scrive che
«al netto di ogni legittima critica sulla natura repressiva e autocratica, è chiaro che appare difficile spiegare unicamente con la coercizione questo risultato. Putin ha avuto una torsione plebiscitaria alla Napoleone III, desiderando presentarsi come “imperatore” incoronato dal popolo. Ora potrà governare fino al 2030 arrivando a toccare i 31 anni al potere tra fasi da premier e periodi da presidente come in Russia solo Josif Stalin è riuscito a durare dal crollo dell’Impero zarista in avanti. E potrà reclamare di avere un Paese compatto alle sue spalle».
La presa di coscienza deve essere la seguente: i russi difendono la loro patria, al di là di chi governa, e fanno testudo davanti a chi agisce in modo ostile nei loro confronti. L’Occidente a questo punto potrebbe utilizzare questo risultato per identificare l’aggressività di Putin con quella del suo popolo, giungendo alla conclusione che l’unica possibilità che abbiamo di «spezzare le reni alla Russia» è accettare una guerra totale contro di essa. Il popolo russo è pronto ad accettarlo, se necessario, perché coltivano ancora un’idea di patria, di nazione e di impero. Sentimenti cari anche al defunto Navalny – e gli ucraini lo sanno bene – che invece il realismo atlantista ama immaginare come uno dei nostri.
Certe cose si devono sussurrare sottovoce nel nostro giardino: pochi giorni fa Olena Zelenska, moglie del presidente ucraino, ha rifiutato l’invito statunitense che la voleva presente al discorso di Joe Biden sullo Stato dell’Unione, perché sarebbe stata presente anche la vedova di Navalny. Gliucraini non hanno mai dimenticato il fatto che Navalny, nonostante fosse un oppositore di Putin, aveva appoggiato l’’invasione’ della Crimea perché, da buon imperialista di destra, la considerava parte integrante della sua patria. L’ultima cosa che Navalny sognava era vedere il suo paese sconfitto (magari senza Putin, ma comunque una Grande Madre Russia).
Noi occidentali invece, narcotizzati dal consumismo e dall’individualismo più sfrenato(unici valori reali che sinceramente e intimamente coltiviamo) siamo pronti ad accettare questa realtà dei fatti? Siamo pronti alla guerra totale? Oppure rinunciamo, prendendo atto del nostro fallimento, denudandoci davanti alla plebe, cercando di dimenticare tutto con una nuova serie Netflix?
Perché un giochino giapponese ha conquistato il mondo dei meme, cos’è, com’è, perché? E soprattutto è Blast? È figo. Gioco a Touhou Project da 8 anni. Ed è pieno così di meme.
Oggi è il mio compleanno, sono un anno più vecchio. Non è una semplice citazione al Padre della Brianza, unico vero fautore della giustizia sociale nella mia terra, ma anche una verità, come i meme.