Eppure, eccola qua, la realtà. Sempre pronta a stupirci, a farci ricredere, a distruggere per l’ennesima volta le nostre speranze.
Così è la vita del mematore, costretto ad essere sempre superato dal divenire delle cose, impossibilitato a compiere il suo lavoro sisifeo di meta-immortalazione della verità circostante, alla perenne ricerca di uno sguardo ironico che appena si compie, decade.
Ebbene ragazzi, è successo. Licenziamento causa meme.
Eppure questo è un fenomeno che ci fa dire “Oh my god, what a timeline”, no? Forse no, perché se a essere blastato è un certo pensiero lib-prog, capace di mandare a puttane 25 anni di carriera universitaria per un meme boomerone condiviso sul proprio FB personale può venire più difficile collegare il fatto ai mala tempora in cui nostro malgrado siamo immersi.
Ciononostante, proprio questa frasettina memetica in inglese mi è occorsa alla mente mentre leggevo la notizia. Sarà che mi tocca da vicino. Alla Statale ci vado abbastanza spesso (si dia il caso che ci studi), eppure nei corridoi dell’Ateneo si è appena appena bisbigliato del fattaccio. Solo qualche testata destrorsa o cuckservatrice ha rimbalzato la notizia.
Per chi non sapesse di che stiamo parlando, in breve.
Si è dimesso Marco Bassani, (ormai ex-)ordinario di Storia delle Dottrine Politiche, da un quarto di secolo seduto sulle cattedre dell’Università Statale di Milano.
Allievo di Gianfranco Miglio, grande studioso di Thomas Jefferson, Carl Schmitt, ha all’attivo decine di pubblicazioni accademiche, ma non solo: è un docente molto stimato, specie dai suoi studenti (solo parole di elogio da quelli con cui ho parlato e hanno frequentato il suo corso)
Nel 2020 aveva postato un meme su Kamala Harris, Vicepresidente degli Stati Uniti, che era stato definito sessista e misogino. In questi giorni, dopo tre anni di azioni disciplinari, gogna mediatica, corsi, ricorsi ai tribunali; dopo una dichiarazione, grevissima, del rettore Elio Franzini su La Repubblica – in cui prometteva punizioni esemplari
-, dopo l’ultima sentenza amministrativa (in attesa del ricorso al Consiglio di Stato) e lamentando la totale terra bruciata fattagli intorno dall’Università e dai colleghi, ha “scelto” la via dell’esilio.
Sappiamo perfettamente come vanno queste cose. Si scrive dimissioni, si legge (cripto)licenziamento. Sicuramente esiste un inglesismo anche per questo, ma forse è più chiaro di parlare di “spintarelle”, di “clima ostile”. Certamente è difficile girare per la tua Università a testa alta se sei trattato come “un pedofilo” (parole sue) o un parìa…
Eccola qua: la pistola fumante. Bassa risoluzione, mucho texto (sei righe, solo di sotto), bakekina FB che fa tanto 2013… Il commento, rigorosamente in CAPS LOCK: “HORIZONTAL HARRIS”.
Stesa. Tutto bellissimo (e boomerissimo)
Un po’ banalotto – come credo abbia ammesso anche il professor Bassani – ma non per questo meno veritiero: sesso e potere hanno una relazione vera, reale, che va avanti da secoli e della quale il controllo è detenuto… dagli uomini!
MARCO BASSANI CAPO DEL FEMMINISMO
Marco Bassani è un femminista vero.
Un grande femminista anzi, nell’accezione più nobile del termine. Marco Bassani è per le donne, ama le donne. Il problema è tutto negli occhi dei lettori maliziosi: ipocriti, falsi, si fermano alla superficie della questione. Bassani afferma, con grande semplicità e classe, che sono gli uomini rincoglioniti e dementi che comandano, che basta fargli tirare un po’ l’uccello per vincere una cadreghina! Questa, signor* miei, è semplice comprensione del testo!
Chi sbaglia è chi fatica a digerire che la prima figlia sana del patriarcato è proprio la Harris: woke e progressisti non possono sopportare il fatto che la loro beniamina non sfugga alla legge della Storia. Di una Storia che – ci ricorda il Prof – parte almeno da Cleopatra (per stare stretti di manica) e arriva ai giorni nostri.
Bassani smaschera proprio il dominio maschile, lo indica: “è lì, guardate! E ancora oggi esiste, è vivo!”
Ma questi sicofanti sono abituati a creare categorie ideologiche che possano impugnare e tenere saldamente in mano per tutto il decorso dialettico, per tutto il discorso politico. Guai a usarle e rivoltarle contro di loro. E allora Patriarcato è l’etichetta che comodamente affibbiano solo alle avversarie politiche che abbiano avuto (supposti) rapporti con uomini potenti. In Italia siamo maestri: venti anni di antiberlusconismo ce l’hanno insegnato. Le talentuose amiche del Cavaliere sono olgettine che hanno fatto strada per il bell’aspetto, per la presenza gradevole, perché insomma hanno fatto all’amore con l’Uomo più ganzo d’Italia; ma la povera Kamala… No, lei no, impossibile, pas du tout messieurs. Kamala non risponde a queste logiche!
È fuori dalla Storia, lei! Un angelo! Non si darebbe mai al diavolo per un posticino piccolo piccolo ai vertici dello Stato più potente del mondo!
Un’ipotesi che, per la sua completa assurdità, anche noi ci sentiamo di escludere categoricamente…
Riepilogando, la logica femminista è più o meno questa:
Il patriarcato per voi esiste?
Sì.
E le donne soggiacciono ancora alle sue malefatte?
Sì.
Può capitare però, che – da una posizione comunque subalterna – ne sfruttino i meccanismi contorti e le inefficienze per un ritorno personale?
Sì.
Anche Kamala Harris?
No. Assolutamente no.
Capite che c’è un po’ di malafede… Soprattutto, visto e considerato che la Harris abbia effettivamente inaugurato la propria carriera politica con una liaison con l’allora portavoce della California Assembly (nonché sindaco di San Francisco), Willie Brown, e che in breve questi le assegnò diverse mansioni pubbliche. Probabilmente anche alla più intransigente dei sostenitori della Vicepresidente verrebbe qualche dubbio sulla trasparenza dei primi passi di Kamala nell’amministrazione…
A noi torna in mente un po’ la nostra Barbarella D’Urso, che litigò con Sgarbi pur di difendere il proprio onore dagli schermi del defunto Cavaliere.
Bei tempi quelli, quando il nostrissimo Sgarbi ne diceva quattro alla conduttrice: tempi andati, che non torneranno più: morto Berlusconi, è stata licenziata…
Siamo tuttavia davanti ad un caso inedito. Questo perché per la prima volta in Italia (vado a memoria) ad essere messo sotto inchiesta è un meme.
LA POLIZIA DEI MEME!
Noi di Blast lottiamo contro la Polizia dei meme da ancor prima che questa esistesse. Quando ci dà l’occasione di vederla, quando insomma si manifesta, volano manganellate. Quelle vere, quelle che ti fanno stare zitto. Evidentemente controllare i meme è sempre di più un’esigenza per le istituzioni: troppo liberi, decentrati, inafferrabili. Bisogna fare assolutamente qualcosa.
“Quousque tandem abutere, Memer, patientia nostra?”
“Fino a quando ci romperete le palle con sta roba dei meme?”
Per sempre, rispondiamo noi. La verità è che il potere è veramente troppo più forte di noi e a far la fine del Bassani non ci vuole tanto. Non importa che si menta, o che si faccia ironia: certe cose non le devi RICONDIVIDERE. Forse il reato ipotizzato è pure peggiore di quello di meme… Reato di repost?
Specialmente nelle nostre università il dibattito sta diventando sempre più difficile: non solo per la censura, ma anche per l’attiva volontà di ignorare chi prova a lanciare sfide al grande sistema dell’opinione pubblica. Se non ti ignorano (evidentemente perché sei troppo grosso per essere ignorato), ti coprono di rumore o ti screditano, additandoti come avvelenatore di pozzi e dispensatore di fake news. Così funziona nei nostri grandi atenei. La Statale ce l’ha ricordato anche alla mostra di qualche settimana fa.
Insomma, i meme danno fastidio, ma le sentenze che stanno venendo emesse sono storiche: finalmente si certifica (in negativo) la dignità dei meme come strumenti di lotta culturale e politica, si ammette il loro potenziale eversivo e pericoloso(altrimenti, perché censurare o attivare dispendiose macchine del fango?)
Per ora siamo alla repressione, all’esposizione al pubblico ludibrio, ma sono sicuro che nella testa di qualcuno disarmare preventivamente il fucile memetico di ciascuno di noi sia una ipotesi sul tavolo.
Non ci resta che goderci gli ultimi istanti di libertà memetica, armarci e sparare alla luce del sole gli ultimi proiettili di questa guerra di meme (uno scherzo infinito?), prima di essere banditi come categoria e dover entrare nella clandestinità.
E, chissà, che a furia di sparare, riusciremo a non sparire… Questa è la nostra unica possibilità di salvezza, come sempre d’altronde…
O SPARIAMO, O SPARIAMO!