Noi non siamo editori, ma solo umili servi nella vigna di Gog.
Intermediari, pontefici, vestali.
Adoriamo GOG e pubblichiamo i libri che da lui ci vengono suggeriti in sogno.
Libri come incubi, allucinazioni.
Andate al salone del libro di Torino, ci ha detto, e portate il mio verbo.
Eseguiamo gli ordini.
Torino: città di algidi pavidi sfarzi come dice la poetessa russa che non sta zitta un attimo.
Lo stand è in periferia. Nell’angolo più remoto della fiera, di fronte a un muro, accanto ai cessi. Nei pressi editori per modo di dire.
Di fronte a noi una onlus di ipovedenti. Fai il salone per guadagnarci almeno in visibilità. Neanche quella. Va tutto male. Va tutto bene. Va tutto come deve andare direbbe GLF, che ci aspetta al Cerreto per la consueta benedizione prima del ritorno a Roma
.
Che accade al Salone? Niente.
Che si dice al Salone? Niente.
Si fanno code.
Code per andare in bagno, code per mangiare, code per comprare, code per entrare in sala.
Prove generali per il mondo che verrà.
Per quando ci saranno code per amare, per fare la rivoluzione, code per andare a spasso.
Vuole acculturarsi? Si metta in coda.
Ma c’è più cultura alla Vucciria, in un panino con la milza preso all’angolo di un strada, c’è più cultura negli occhi di mia nonna il giorno dei morti.
Ma non importa.
Passeggiamo tra i cimeli, è tutto un mausoleo, piramidi pubblicitarie, carta da parati a nascondere il vuoto. Gli standisti zombie non sanno cosa vendono.
I relatori non sanno cosa dicono. Le loro parole sbattono sulle vetrate di ingresso, non vedranno mai la realtà.
Poi Inni alla lettura, al ruolo benedico e salvifico della lettura, come se fosse uno yogurt con tanti fermenti lattici, una seduta di yoga, una sessione di pilates.
Leggi ti dicono dappertutto, leggi e sarai salvo. Non importa cosa leggi. Tu leggi.
Che alla fine vuol dire compra. Compra e sarai salvo.
E allora voi che ci fate lì dentro, ipocriti, approfittatori, paraculi?
Noi vogliamo solo un po’ rompere il cazzo, anche dall’angolo più buio e triste.
Anzi proprio dall’angolo più buio e triste, di fronte al muro, accanto ai cessi.
Per ricordare che la lettura può fare anche male, può piegare rompere spezzare una certezza, rinnovare un dolore non lasciandoci mai intatti.
Che la letteratura può anche puzzare di piscio, che leggere corrompe perverte deprava
e che ogni tanto si muore
anche.
Qualcuno una volta è morto per un verso.
Eserciti si sono battuti per un libro. Barricate si sono sollevate per un manifesto. Quindi non leggere.
È l’unica cosa che ci viene da dire al Salone del libro di Torino, a tutti quelli che hanno comprato il biglietto-indulgenza
, in cerca di una salvezza qualsiasi:
NON LEGGERE
Lo scriviamo sul muro. Lo scriviamo male.
Come un promemoria. Situazionismo da quattro soldi e fuori tempo massimo. Il giorno dopo la scritta non c’è più. Sono arrivati gli imbianchini a cancellare tutto.
Due mani di vernice grigia. Il muro è pulito.
Ed è giusto così. Il salone procede placido, nell’indifferenza generale.
Niente accade: va tutto bene, va tutto male.