Risposta ai novelli cantori dell’inevitabile confronto globale
Ed è così abituale sentire struggenti chiamate alle armi che non ci si accorge che ciò che abbiamo davanti non è un semplice piatto di uramaki, ma è lo scontro di civiltà che già in noi si compie. E che irreversibilmente si compie giorno dopo giorno.
Con che serenità allora si può dire ancora: è tornato lo scontro di civiltà! Con che noncuranza vaticinare di conflitti globali e guerre nucleari davanti ad un churro di Mr. Dick. Non c’è spazio per alcuna rassegnazione, o dubbio, perchè il pensiero che nella follia globale non siamo così soli è una manna dal cielo. L’essenziale è sapere di avere posto nel mondo, nel nostro piccolo mondo, e non importa granchè il fatto che la strada tracciata porti dritto verso la catastrofe.
Che non ci appartiene, figurarsi! Nonostante viviamo già in un mondo post-apocalittico il nostro sereno crepuscolo pare non spegnersi mai. Si ravviva anzi, ogniqualvolta guardiamo fuori da casa nostra.
Ah la democrazia!
Essa sembra esistere solo come termine di paragone con l'altro.
Avviene dunque il paradosso: se nei nostri mondi essa è polverizzata, e chiunque la scambierebbe volentieri con accrocchi di Comitati tecnici-scientifici, all’esterno riusciamo a scorgerla nell’opposizione fondamentale con tutto ciò che democrazia non è. E ci affanniamo per difenderla centimetro per centimetro. Ma la libertà si sa, non è un prodotto che si può semplicemente rifiutare: o essa è universale, o altrimenti non è. E non essendo ancora fino in fondo, a noi non ci rimane che il senso di colpa per aver acquistato il nostro secondo computer in litio centopercento congolese. Ma questo senso di colpa è insopportabile dannazione! Come possiamo quindi anche solo pensare di lasciare sprovvisti delle libertà democratiche gli altri
? È un pensiero struggente, ipocrita fino al midollo. È cinico pensare di potersi relazionare in modo costruttivo con l'altro
sulla pelle del proprio popolo. Perché il bene dei popoli, lo si sa, risiede nelle libertà democratiche.
Così ci si mobilita, sempre in difesa chiaramente, contro l'altro
che non si conosce, ma si sa per certo essere un autoritarismo. E gli autoritarismi, si sa, sono sempre aggressivi.
Esiste dunque una riserva di forze morali, di cui altrimenti saremmo assolutamente privi, che ci permette di fare la guerra in assoluta serenità perchè l’obbiettivo finale è quello di eliminare la guerra come prospettiva storica, e con essa gli autoritarismi. È così che ci piace pensare al nostro catastrofico futuro. Probabilmente se un italiano di duecento anni fa ci vedesse così intenti a prendere un caffè all’ombra di un conflitto globale ci prenderebbe per ingenui. Ma lo siamo davvero? Cosa c’è di più fantastico che infondere al passatempo più tragico dell’uomo un carattere alto, nobile, morale? Spogliarlo di ogni altra logica: potenza, politica, economica, perfino religiosa e lasciarlo lì, solo, a rimirarsi nel duello eterno contro il Male.
Non è neanche una guerra vera e propria alla fine, è una missione! È fantastico. Al fatto dunque che si senta lo scandalo di una guerra nel 2023 noi risponderemmo logicamente così: non desideriamo piccole guerre, ma apocalissi! Per noi è così, solo in questi termini riusciamo a ragionare, anche perché la nostra coscienza storica si ferma ai due conflitti mondiali. Conosciamo solo esempi di rese incondizionate, di annientamenti, di dittature che si trasformano in democrazie a suon di bombe eccetera. Dunque quando una guerra si appropinqua all’orizzonte del mondo, perché il nostro orizzonte è universale e non può che esserlo, viene trasfigurata in una grande crociata e allora nulla conta più. Le ragioni, lo spazio, il tempo, il contesto niente. Ogni conflitto diventa il nostro conflitto e l’unica pace possibile diventa la nostra.
Ma cos’è la democrazia, per cui valga alla fine tanto macello? Cos’è la società liberale, per cui valga il sacrificio del mondo?
Non si capisce come sia possibile parlare da vent’anni di crisi della democrazia e pensare di esportarla allo stesso tempo. Non si capisce come democrazie malate e involute possano ergersi a modello universale. Non si capisce quali forze ci muovano per difenderla dovunque tranne che nel nostro cortile, dove si trovi la nostra morale quando ci cadono sulla testa piogge di decreti e decisioni di tecnici che nessuno ha mai visto.
Razionalmente la crociata dovremmo compierla contro noi stessi. Ogni anno ci dovrebbe essere una Rivoluzione Francese, una guerra civile si consumerebbe ogni mese per riportare la democrazia alla sua purezza. Dovremmo svegliarci la mattina tra i corpi di valorosi martiri della Patria e andare a lavorare in bunker scavati in palazzi in rovina. Dovremmo vedere il sangue scorrere a fiotti e non la ghigliottina dei social emettere sentenze. Ma così come è difficile per il convinto sostenitore di una ideologia soffermarsi sulle proprie incoerenze e paradossi, così lo è anche per noi cittadini di democrazie. E dunque possiamo allo stesso tempo batterci per la democrazia e svilirla senza che nessuno avanzi qualche perplessità.
Ma cos’è dunque che ci muove? Lo Stato.
La democrazia è l’ideologia dello Stato moderno, così come il diritto divino lo era per le monarchie degli Stati westphaliani. In sé infatti il liberalismo democratico non è niente, è solo una cornice che fa da contorno a qualcosa di pre-esistente. Che valore politico fondante portano la Costituzione e tutta la serie di diritti che si porta dietro? Nessuno, se non il massimo amplesso di un cambio della forma di governo. Il liberalismo in sé nasce solo come argine al potere costituito, non ha una visione politica distinta da quella statuale. Infatti la dottrina liberale si ferma all’economia e alla società, credendo esse superiori al potere politico. Ma il potere politico è un monopolio dello Stato, esercitato con violenza. È dunque logico pensare che in una situazione di monopolio l’economia e la società possano mantenersi a lungo andare distinte e integre rispetto al potere politico? Si vede in ciò la preponderanza del politico su tutto il resto. E dunque la preponderanza, l’immanenza dello Stato e dei suoi concetti nelle nostre vite. Siamo ciò che esso vuole che siamo, anche quando protestiamo, anche quando ci battiamo per le democrazie, anche quando siamo chiusi in casa. Perché il monopolio della violenza è qualcosa dai contorni assolutamente indefiniti. Secondo Marx la violenza era la levatrice di ogni vecchia società, dunque è nell’esercizio della violenza che si “crea” il reale, si favorisce un suo sconvolgimento, si getta all’aria ogni status quo. Se esiste un soggetto che ha l’assoluto monopolio interno allora non è solo il protettore di quella realtà, ma il suo ultimo creatore.
Non è un caso dunque che in concomitanza con la crisi della democrazia si parli di un rafforzamento dello Stato. A noi pare un rafforzamento che in verità è solo l'emersione di qualcosa che era già presente e che era simbiotico nelle nostre vite.
Lo Stato e la sua logica, che è pura potenza, sono dunque sempre le pre-condizioni necessarie per qualsiasi democrazia e autoritarismo, perché lo Stato stesso è l’unica forma veramente universale. La democrazia è in fondo solo l’immagine legittimante dei disegni di potenza e la stessa Storia è un cammino tra i cadaveri della democrazia. Perché si può pensare che la Francia e l’Inghilterra tenessero veramente alla vita e alle libertà democratiche di qualche migliaio di cittadini libici nel 2011? O che oggi interessi agli Stati Uniti la forma di governo ucraina per inviare miliardi di armi? Lo stesso diritto internazionale odierno basa tutta la sua credibilità solo sulla “forza di persuasione” e sulle leve militari ed economiche che L’Occidente ancora possiede e, forse tra qualche anno, sull’assenso di altre aree del mondo.
Non è quindi allo scontro tra democrazie e autoritarismi che dobbiamo guardare quando osserviamo la tragedia della guerra. Anzi, se si vuole che la tragedia sia limitata e risolvibile qualsiasi sano di mente dovrebbe avversare questa visione totalitaria delle relazioni internazionali e ciò che essa porta: l’ultima guerra per la fine di ogni guerra. La Storia ci ha già pensato a smentire questo sogno che, fintantochè ci saranno uomini sulla terra, rimarrà un sogno, seppur estremamente pericoloso. Per comprendere veramente il problema della guerra non si può non indagare invece sullo Stato, ma per fare ciò è necessaria una buona e spietata dose di realismo, cosa che nessuno, in questo angolo di mondo chiamato Occidente, sembra avere più.
Fino ad allora, ai cantori allucinati dello scontro tra civiltà, opporremo serenamente piatti gonfi di uramaki.