SIAMO TUTTI PALESTINESI

SIAMO TUTTI PALESTINESI
Lettura boomer
Siamo tutti palestinesi? Se sì, che cosa sta facendo Israele e i suoi alleati in questo genocidio?

Vado in università, in biblioteca, e trovo il cortile completamente riempito da tende e tendine, gazebo e stand. Persino le amache ci sono: stanno in 4 su un albero che sembra l’Isola che non c’è.

Una parte di me si ribella, storce il naso e pensa che tutto sommato questa cosa è pure ridicola: che effetto avrà mai a livello mondiale un pugno di ragazzini accampati in un cortile universitario?

In realtà, a dirla tutta, l’effetto c’è eccome: disservizi nel normale funzionamento della biblioteca, presa di coscienza a livello collettivo, le agenzie d’informazione fanno sempre più fatica ad ignorare la cosa: prima o poi bisognerà parlarne.

Se poi si trattasse di una o due acampadas , beh, allora la cosa sarebbe gestibile, ma non lo è: si tratta di tante tende in tante città e università.

Ma anche se tutto ciò non dovesse avere alcun effetto concreto su quanto sta accadendo in Medio Oriente, è chiaro chi starà dalla parte giusta della storia. C’è chi ha sostenuto che Israele sia l’unico e l’ultimo paese al mondo a difendere i propri valori autentici, la propria tradizione, la propria identità. 

LO POSSO ANCHE TOLLERARE.

Ma se io sono cresciuto in un ambiente veramente cristiano, allora devo difendere i miei veri  valori. Nessun uomo è un’isola, uccidere è sempre sbagliato, la vita umana è sacra, fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. E se non sarò in grado di difendere da solo questi ideali per cui morirei, allora chiedo aiuto a voi, miei fratelli in Cristo, per difendere la mia vita.

Se verrò zittito e silenziato dai media, allora fate rumore.

Che Israele fosse nel torto si sapeva da ben prima del 7 ottobre 2023, quando finalmente ha trovato la scusa perfetta per dare il via al uno dei più grandi eccidi degli ultimi trent’anni in Occidente.

E vedere allontanarsi gli storici alleati di Israele come sta avvenendo negli ultimi giorni è segno di una politica internazionale che ha fallito.

“Ho l'impressione che Israele stia seminando un odio che coinvolgerà figli e nipoti. Hamas è un conto, il popolo palestinese è un altro. Dovevano discernere tra le due cose e fare una scelta più coraggiosa dal punto di vista democratico” Se lo dice anche Crosetto vuol dire che siamo proprio alla frutta…
Israele crosetto

Quando la politica delle alte sfere fallisce la gente ha il diritto di aggiustare il tiro, se si vive in democrazia. Si dà il caso che in Italia, così come in Usa o nel resto d’Europa, si possa parlare quasi esclusivamente di democrazia: questo c’è scritto sull’etichetta.

Ma qualcosa è andato storto.

La gente protesta e si lamenta, si interessa al problema e impara la distinzione tra ebraismo e sionismo, sviluppa un autentico e informato sentimento di antisionismo politico (perché, non dimentichiamolo, la politica rimane cosa per studenti… i politici non fanno politica) e si organizza.

Questo non piace.

Non piace ai padri e alle madri, ai nonni e alle nonne. Non piace a Giorgia e non piace a Elly Schlein. Non piace agli Stati Uniti e alla sua Duma, l’Unione Europea. Non piace a nessuno, pare proprio a nessuno.

Eppure non è così: tutti noi abbiamo almeno un amico che ha pensato forte: Netanyahu starebbe meglio destituito.

Ma finché sono poche mele marce un pugno di bastian contrari, il problema non si pone. Si dà il caso però che questi bastian contrari siano organizzati, strutturati, arrabbiati e radicalizzati.

Perché non stanno difendendo solo la vita dei palestinesi e il loro diritto a esistere.

In Israele si sta giocando una partita molto più importante. Si sta decidendo la credibilità del concetto di autodeterminazione dei popoli:

Una nozione molto cara ai democratici occidentali, eccezion fatta per iracheni, afghani, russofoni del Donbass, libici, siriani e continuate voi. Bella autodeterminazione, direte voi, data la tragedia immane che stanno vivendo i palestinesi. Però se questo popolo ha il sostegno di altri popoli più in alto nella scala di occidentalismo, allora forse qualcosa può cambiare.

E il cambiamento fa paura.

Chi ha in mano le redini della società di massa lo sa che non serve sedare le rivolte: quando un secondino picchia un detenuto quello diventa un simbolo, è così che funziona la cristologia. Ma se il detenuto viene silenziosamente e gentilmente accompagnato in isolamento, tutto sarà più facile: il sedizioso morirà dentro soffocando nella sua solitudine.

È questo ciò che intende fare il buon Mark Zuckerberg limitando i contenuti politici sui social: la vera censura è quella che non si sente. Come ha cercato di spiegare nelle sue opere Aldous Huxley, e Antonio Gramsci prima di lui, la dittatura perfetta non ha bisogno della repressione fisica, non ha bisogno della censura plateale, non ha bisogno della repressione poliziesca: la dittatura perfetta indirizza il pensiero delle masse in modo tale che non servano interventi plateali. Non serve mettere un attivista alla pubblica gogna, basta isolarlo e aspettare che la solitudine della non condivisione lo divori da dentro (Julian Assange docet)

Perché quando l’uomo ha morso la mela dell’albero dei social si è ritrovato trasformato nel Sisifo con il suo masso di MiPiace: metti il like, togli il like, pubblica contenuti , ricevi like. Dettagli allegato

EH… MA TE DEVI IMMAGINARTI SISIFO FELICE.

Bella idea di merda, signor Camus: Sisifo è felice fin quando non scopre che esiste il mondo. Ma fino ad allora il meccanismo dell’apprezzamento ci costringe ad un percorso ripetitivo e  circolare. 

Come rompere questo circo(lo) di soddisfazione? Con il dolore.

Solo in relazione con l’Altro si può soffrire perché, rimanendo in relazione solo con il Sé saremo sempre noi a stabilire come e quando raggiungere i nostri traguardi, saremo sempre noi a decidere quando ritenerci soddisfatti. Io non sarò mai creatore della mia delusione, per questo il social network è un prolungamento perfetto dell’Io che si espande nell’infosfera.

Il nostro ego scrolla il feed, polleggia galleggiando nella melassa social dell’infosfera quando ecco che incontra le immagini del dolore dei palestinesi.

È così che si entra in (doloroso) contatto con l’Altro, e solo così che si resta umani: uomini massacrati, video di amara satira politica che ci fanno sentire completamente impotenti, bambini operati senza anestesia, donne che partoriscono tra le macerie.

E Hamas? Che sta succedendo ad Hamas? Israele sta perseguendo una strategia per eliminare i ‘terroristi’ una volta per sempre?

Spoiler: NO.

Sono stati gli stessi vertici militari israeliani ad ammetterlo pochi giorni fa, quando hanno chiesto a Netanyahu un ‘vero’ piano di guerra. Quindi fino ad oggi  40 mila palestinesi sono morti a causa della retorica del ‘diritto israeliano a difendersi’, senza un piano di guerra che l’Occidente dava per scontato.

E allora il social network deve scegliere: continuare a permettere il vero social networking o continuare a venderci cartonato spacciandolo per hashish?

Evidentemente, Zuckerberg ha scelto di algoritmizzarci in piccoli Sisifo, accelerando la nostra soddisfazione a forza di video di gattini e indiani che fanno esplodere cose. È qui che ha inizio la vera battaglia: esiste una guerra mentale al di fuori del prolungamento dell’Io che è il social network?

Sì, questa guerra esiste e merita di essere combattuta, anzi, DEVE essere combattuta. E questo fa paura, perché significa che non tutto è controllabile, non tutto è divertibile.

In altri termini, si può essere d’accordo o meno con chi protesta per la Palestina: non stiamo discutendo di questo.

Si deve sempre essere d’accordo con chi protesta perché protesta, perché non si fa infinocchiare dalla smania di soddisfare i propri genitorireali o putativi che sianofacendo il bravo figlioccio che prosegue su un sentiero già tracciato.

Chi sta lottando ora per la Palestina sta lottando per il nostro diritto a dirci d’accordo o meno.

Mettere in discussione la propaganda sionista significa mettere in discussione un intero sistema che ne fa da megafono, che comprende giornali cartacei e online, notiziari nazionali e importanti webtv.

È importante che questo atteggiamento non rimanga circoscritto solo alla tragedia di Gaza, e si spera che i manifestanti se ne accorgeranno anche su altre tematiche.

Per adesso va bene così.

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