Sarete tutti d’accordo che il sottotitolo è abbastanza strano, no? Può costare davvero così tanto un videogioco? Sì, signori, può anche arrivare a costare di più, se si vuole. Consideriamo che dobbiamo anche tornare indietro al 1982, quando ancora i videogiochi erano su mastodontici cabinati arcade. Per produrli servivano tante risorse. E la GDI, Game Domain International, piccolo produttore di Chicago, non le aveva di certo. Su di essa non si sa molto, a parte il fatto di essere stato un produttore di boards e di cabinati, per giochi sotto licenza. Nell’81 produsse Red Alert per la Irem. Un giochetto non tra i più conosciuti della famosa azienda giapponese, ma che garantì un certo introito al piccolo publisher. La GDI però decise di fare un passo ulteriore, il passo che avrebbe portato alla fama e alla gloria. Quel passo si chiamava Slither.
Un gioco creato dalla Century II, piccola azienda misconosciuta di cui si sa soltanto il precedente nome: Century Tech. Un’azienda che sembra aver contributo allo sviluppo di Qix, vecchia gloria della Taito. Tornando a Slither, che fare, allora? Il gioco c’era, concesso su licenza, ma servivano soldi, la pilla, il grano. Capite? Sapete? Su un sito di taratura anglosassone c’è tutta la bella storia di prestiti e debiti che la GDI fece per produrre e rilasciare il gioco. Potrei lasciarvi il sito, ma vorrei sintetizzarvela qui in modo breve e conciso.
Per prima cosa, la GDI decise di vendere a prezzo abbassato tutti i cabinati di Red Alert rimasti, alla modica cifra di 1.299 dollari al pezzo. Impensabile per l’epoca, una mossa fin troppo rischiosa, ma necessaria per guadagnare in fretta. Poi riuscì a farsi prestare denaro da un investitore. 50.000 dollari, tanto per cominciare. La successiva acquisizione della GDI da parte di Destron, azienda che fino a pochi anni prima produceva giochi elettromeccanici, fu un passo ulteriore verso la tanto agognata gloria. Alla GDI servivano fondi, alla Destron serviva un gioco elettronico all’ultimo grido per piazzarsi di nuovo sul mercato, dopo anni di perdite causate dall’obsolescenza programmata. Fatto due più due, l’accordo si fece senza se e senza ma.
C’era, tuttavia, un però in tutto ciò.
La GDI aveva debiti; e non bassi per un publisher di piccolo calibro. 600.000 dollari! 600.000 dollari con un solo gioco prodotto! La Destron pagò il debito, e insieme a ciò intascò 695.000 dollari dalla stessa banca, per le spese di produzione. Calcoliamo quindi tutti i costi avuti finora.
50.000 + 600.000 +695.000 =1.345.000 $
Una bella cifra, vero? È qualcosina di più di un milione e trecentomila dollari, ma ho voluto tenere il titolo un po’ sensazionalistico dell’articolo originale. Il bel prestito di 695.000 dollari bastò a lanciare Slither sul mercato. Un mercato sul punto di essere saturo, come si sarebbe visto un anno dopo.
Alla fine tutto ciò ripagò?
NO! UN CAZZO!
NON VENDETTE NIENTE!
In verità, non proprio. Qualcosa vendette, ma non abbastanza da far decollare le vendite per poter coprire le spese. Nessuno voleva comprarlo, perché considerato un clone di Centipede, qualcosa che non avrebbe venduto. Già c’era Centipede, a cosa serviva un clone che non avrebbe mai attirato l’attenzione dei giocatori? Quindi niente vendite? Niente soldi con cui ripagare i debiti! L’alleanza Destron/GDI, a pochi mesi dal rilascio, era sul lastrico, oberata da debiti di ogni genere. Nel Settembre del 1982, la banca cessò di rilasciare fondi. L’anno successivo, precisamente il 13 Giugno del 1983, entrambe le aziende chiusero per bancarotta. Un’esperienza di un anno, bruciata nell’infamia. Un silenzioso crollo che, a differenza di quello dell’Atari, avvenuto nello stesso periodo, passò in sordina.
La storia di una delle tante compagnie che intasarono il mercato con roba di poco conto, fino al crollo finale di quest’ultimo. Poco conto? Vogliamo vedere se questo fantomatico clone di Centipede è così clonoso e di poco conto?
Rispetto a Centipede, già dalla schermata introduttiva, siamo già a livelli migliori dal punto di vista grafico. Guarda che canyon! Guarda che rocce! Guarda la scritta fighissima fatta con i serpenti! Dettagli buoni per il 1982? Per la verità esistevano già videogiochi con grafica migliore, ma considerando il suo essere stato sviluppato da un piccolo produttore, siamo comunque a buoni livelli. Dal punto di vista del sonoro, Slither pecca di essere vetusto, essendo più simile a qualcosa dell’anno prima. Effetti sonori che in certi casi possono anche risultare irritanti, ma non stiamo a soffermarci più di tanto sul comparto audiovisivo, più che decente. Quello che mi interessa è altro. Il gioco in sé! E qui un po’ casca l’asino.
Dopo una breve introduzione musicale alle note di When the Saints go marching in, il gioco si presenta come un clone di Centipede, con i serpenti al posto del menzionato animale, ma rimanendo comunque un clone di quest’ultimo.
Lo è davvero? In parte.
La differenza maggiore, oltre alla presenza di multipli esseri striscianti al posto di uno solo, è anche il sistema di comandi. Con il nostro bel blaster, che qui sembra tanto simile a un omino che tiene un arco, dovremo far fuori le orde di serpenti che marciano lungo l’arido terreno, oltre a vari altri nemici che faranno da occasionale ostacolo.
Potrebbe perfino essere un nativo americano, considerando l’ambientazione. Un nativo americano ben più agile dell’europeo gnomo (così definito in alcune guide) presente in Centipede. Tale Cherokee è infatti in grado di muoversi liberamente per tutta la mappa, oltre a poter sparare sia su che giù. Anche le tattiche d’attacco dei serpenti sono molto diverse dal cugino più insettoide. Non si limitano ad andare a destra e sinistra, ma girano in tutte le direzioni. E se nei livelli iniziali sembrano abbastanza stupidi, nei successivi iniziano a inseguirti quando si ritrovano piuttosto accorciati. Il gioco può quindi diventare anche molto difficile a quel punto.
Ad aggiungere difficoltà, nei livelli più avanzati, alcuni serpenti risultano parzialmente invisibili. Per fortuna possono ucciderti soltanto toccandoti con la testa, e questa è un’altra differenza importante, rispetto a un videogioco in cui puoi venire ucciso anche soltanto per sfioramento. Differenze queste che lo distaccano un poco dall’essere un semplice clone con una formula di gioco ben strutturata, sia dal punto di vista della giocabilità che dei comandi. Una formula ben architettata in Centipede, e qui riproposta in una versione davvero niente male. Tirando le somme, è un brutto clone?
No. Né come clone, né come gioco a sé stante.
Ho constatato che a tratti può risultare perfino più difficile dell’originale, e questo forse può far desistere dal farci ulteriori partite, che è un grosso problema per un gioco indirizzato soprattutto ai giovani (GIT GUD!). Tuttavia, è un gioco che sa prendere, anche se richiede di starci dietro. Un buon gioco, e anche un buon clone, per quanto leggermente vetusto sotto il comparto audiovisivo. Un clone con le sue differenze. Un clone che, in mia opinione, avrebbe potuto certo meritare qualcosina di più dell’oblio più totale… Quasi totale, se non fosse stato per la conversione per Colecovision. Una buona conversione, oltretutto, che ho avuto anche l’occasione di provare.
Slither. Un clone che forse tanto clone non era. Un clone molto costoso, perfino.
Un clone che ha fatto fallire un’intera corporation, portandosela dietro nell’obscuritas! Da ManMachine-6581 è tutto, cari miei slithers del metaverso!